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Barba di muschio
Il vecchio albero si trovava lì, dove era sempre stato.
Aveva una particolarità, una barba di muschio cresciuta nel tempo e nel dolore. Nel tempo perché gli anni erano ormai tanti e tanti altri ne rimanevano, nel dolore poiché lì davanti a se aveva visto passare vite intere: il bambino che gioca a fare l'adulto, l'adulto che si esercita a fare il vecchio ed il vecchio che impara la morte dalle forme di vita che sfuggono agli occhi dei più, e che mai vengono notate prima di quel momento. Conosceva le sue radici che, salde alla collina, non permettevano movimenti d'ispirazione.
Nell'immobilità di quattro paesaggi l'anno i pensieri diventavano sempre più diversi e coloriti delle stagioni. Raramente qualcosa cambiava. Raramente qualcosa accadeva. Ma il senso di movimento che i pensieri davano a quella forma di vita statica rendevano l'albero mobile quel tanto che basta per considerarlo un viaggiatore. Il suo interesse per l'orizzonte lontano non era un mistero per gli altri abitanti della collina. Insetti, uccelli e tanti altri animali raccontavano e chiedevano consiglio a chi tanto tempo ha per meditare, e cosi la vita sembrava anche utile.
Tutto cambiò quando qualcun altro trovò interessante quel paesaggio. Era un uomo, uno che era stato visto dallo stesso albero quando da bambino si esercitava a dare ordini, uno che non guardava le stagioni dalla collina, ma viveva delle stagioni e pensava di poter vivere anche della collina. L'omino portò con se recinzioni e cartelli. Non tardarono ad arrivare macchine ed attrezzature per l'edificazione delle idee umane.
Intanto il vecchio barba di muschio capiva che la vita che sembrava lunga ed interminabile aveva subito un'improvvisa accelerazione. I quadri costituiti dalle stagioni cambiavano drasticamente. La fisionomia del territorio diventava dura e geometrica, i colori sbiaditi, tendenti ad un grigio triste ed uniforme che arrestava la profondità dello sguardo come un vetro invisibile fornendo un paesaggio fisso, immobile nel tempo, dai cambiamenti periodici ma prevedibili, forse inesorabili. Sembrava lo scenario di una battaglia avvenuta molto tempo prima, dimenticata, ma al tempo stesso ben impressa in quel posto.
Ora mancava l'ultimo atto, la conquista della collina. Sembrava scontato. Eppure continuò a non avvenire. Negli anni tutto era cambiato salvo la collina, che era rimasta lì, come una miniatura racchiusa in una sfera di vetro da agitare di tanto in tanto per gustarne il movimento.
L'albero non si sentiva parte del nuovo paesaggio ma soltanto triste contemplatore che non sa, ma immagina, la fine lenta ad arrivare e celere nel compiersi.
L'autunno arrivò prima del solito quella volta, come a volersi sbrigare con la forte volontà di non rimanere in quel posto più del dovuto. Le foglie a terra, ormai tappeto, generavano nell'albero la sensazione che qualcosa di suo se n'era andato ormai per sempre e mai sarebbe più tornato. Quando il buio scoloriva la collina, la corteccia diventava fredda, come mai lo era stata prima di allora, quasi un tessuto che permette all'aria di attraversarlo impedendo di trattenere il minimo calore al suo interno. Il tempo passava, e le giornate non finivano mai.
Arrivò un giorno, dopo un interminabile acquazzone notturno, che si colorì di nuovi pensieri, e di una flebile ma sentita speranza. L'idea era quella di parlare come aveva fatto una volta, in gioventù, parlare al bambino racchiuso nel corpo cresciuto e nutrito del capo costruttore, far appello alle memorie rimaste, al fine di dissuaderlo dai suoi scopi. In quanto albero non poteva fare altro, ma questo si, l'avrebbe fatto.
I giorni a seguire li trascorse immaginando continuamente come si sarebbe svolto il dialogo con l'uomo. Giorno dopo giorno sentiva di essere più convincente ed abile nel sensibilizzare il prossimo. Diventava più sicuro di se, dei suoi argomenti. Parlava con il cuore ad un altro cuore, per questo non temeva alcuna barriera.
Ormai si era esercitato a lungo, ma non veniva mai nessuno, e lui non permetteva a se stesso di perdere la speranza. Nei momenti di maggior sconforto ricominciava ad argomentare, a volte per notti intere arrivando a vedere l'alba esausto.
Finalmente vide un polverone in lontananza che nascondeva un veicolo. Il momento era giunto. Tre uomini cominciarono a salire su per la collina separandosi ad altezze diverse, ognuno intento a delimitare la sua zona. Nessuno di loro era il capo costruttore.
Barba di muschio sentì abbattersi su di se lo sconforto faticosamente ignorato per giorni e giorni. Fu una sensazione così forte che i rami scricchiolarono.
All'improvviso, una mano sul tronco lo ridestò. Non poteva vederlo, ma aveva la sensazione che fosse il capo costruttore. L'incapacità di voltarsi, per un momento lo bloccò, ma si sentì meglio quando riconobbe la voce dell'uomo. Era lui. Concentrò le sue forze e cercò di parlare. Non emise un fiato. Non ci riuscì. Forse era passato troppo tempo, forse la stanchezza, forse l'improvvisa considerazione dei sogni del bambino l'avevano reso muto per sempre.
Quando l'uomo si mosse per scendere dalla collina si udì improvvisamente un crepitio seguito da un suono secco, uno spacco nella corteccia. Barba di muschio rimase appeso tutto sul lato sinistro trattenuto dai filamenti di legno della parte interna del tronco ormai irrimediabilmente in vista. Un'ultima ferita prima del tonfo finale.
Non cadde da solo, furono i tre operai ad abbatterlo aggrappandosi ai suoi rami come scimmie della morte. L'ordine lo diede l'uomo che racchiudeva il bambino che si era esercitato tanto a dare ordini. In meno di un'ora barba di muschio venne fatto a pezzi. Legna per gli operai.
La sua barba per il presepe del capo costruttore, che tra un ordine e l'altro sapeva sempre cosa fare.
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