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Lettera d'amore non corrisposto
Non ne ho più voglia. Ecco tutto.
Nessuno mi ha mai capita davvero.
Il mio Rod ogni tanto ha colto parziali scintille del mio dolore, sporadici fulmini di tragedia umana nelle mie pupille chiare. Ha pensato di lenirlo, ma non è mai riuscito davvero.
E come avrebbe potuto, mi chiedo.
Solo con gli anni, i pochi tristi anni della mia piccola vita, ho capito che sono diversa, estranea a tutto ciò che mi circonda.
Sono una bolla di sapone, pronta a finire, con la stessa velocità con la quale è nata, circondata da minuscole laboriose formichine, che pensano a lavorare, sopravvivere ed incendiare giorno dopo giorno i sogni di chi le circonda, che mi hanno creato si, ma sono altro.
Quell'altro che ha sempre lasciato che giorno dopo giorno, lentamente morissi.
Nessuno si accorgerà della mia morte, perché nessuno si è davvero accorto della mia nascita.
I miei mille amori, hanno fallito miseramente tutti.
Non c'è speranza ch'io possa restare con voi. Tutti coloro i quali professano di amarmi non saranno insieme a me, quando deciderò di porre fine al mio nulla.
Mentre guardo laggiù, oltre questo tetro balcone, dove la viuzza macchiata di larve umane che corrono, urlano, pregano e succhiano linfa vitale a ciò che li circonda, mi accorgo per un attimo come sia insignificante piegarsi al sacrificio di sé stessi e di chi si ama, solo per denaro.
È solo un mezzo per procurarsi beni, eppure per la gente diventa scopo di tutta una vita. Forse è quello il vero cancro. Si ci ammala di un veleno che aumenta e cresce minuto dopo minuto.
Basta, divago. Devo andarmene. Dove? Non saprei.
Non so dove andrò esattamente, dopo questo lancio.
Un lancio. Il modo più vero di morire. Doloroso, allo stesso modo di come è stata la mia vita. Dolorosa. Perché mai noi mortali comprendiamo quanto sia prezioso il benessere solo provando il peggior malessere? Dunque morire, per capire durante l'esalazione dell'ultimo respiro, quanto sei e sarai preziosa per me.
Mille amori. Si. Mille. Ma soprattutto vuoti, insignificanti.
Forse prima di te non ho mai amato davvero, forse è stata solo illusione d'amore provato, ma mai realmente ricevuto.
Quelli che si son definiti amici e mi hanno poi abbandonata, l'università dove le mie colleghe si fanno la "scappata" dal prof per avere trenta.
Poi perché mai? In che modo, mi chiedo, un numero che misura la qualità della nostra performance in un esame può valere quanto tutta la nostra dignità?
Sono sbagliata, di una realtà diversa e sconosciuta a voi e anche a me.
E invece forse no.
È questo viscido nero che non capisce me.
Viscido nero che brulica, spasima, irrompe, cancro nero putrido intorno a me.
Forse sono troppo chiara per diventare nera anch'io. Chiara si, ma di un chiaro luminoso, eppure impalpabile, sfuso in mille bolle d'aria, anch'essa forse viscida un po', labile e mutevole natura dell'anima mia.
Forse avevo ragione, magari sono io che non vado bene.
Quand'ero bambina mio fratello giocava di rado con me, sembrava molto introverso.
Mai una carezza, mai.
Un pomeriggio d'inverno accadde ciò che avrei compreso solo molti anni dopo. Avevo dieci anni. Vivevo la spensieratezza propria della fanciullezza.
Non l'avrei ritrovata da allora.
Nostra madre ci disse di stare buoni e che sarebbe tornata qualche ora dopo.
Papà non c'era. Lui non c'è mai stato. Sempre a lavoro, giorno e notte.
Si sarebbe rivelato un inganno. Era con la sua assistente che stava mio padre.
Credo ci stia anche tuttora.
Un giorno andai a trovarlo in ufficio per fargli una sorpresa. Vidi da uno spiraglio della sua tendina che si intratteneva con lei in modi tutt'altro che professionali, con le dita le toccava il sedere.
Fu un'immagine che turbò ogni mia visione degli uomini in modo radicale.
Mio fratello, Stefano, in quel pomeriggio d'inverno, si buttò su di me, come a volermi picchiare, ed io non capii.
Mi spogliò con modi piuttosto spicci e fece su di me qualcosa che solo più avanti compresi realmente.
Ricordo solo che sentii un dolore violento, atroce nel basso ventre. Trattenni il respiro, chiusi gli occhi ed i pugni divennero duri. Immaginai che si trattasse di una sorta di iniziazione a qualcosa.
Il cuore batteva tanto forte nel mio piccolo petto che pensai stesse per scoppiare.
Era la quarta volta che accadeva.
Lui aveva sedici anni.
Prima di andarsene mi avvertì, come ogni volta, di non parlare con nessuno di ciò che aveva fatto o, appena fossi rimasta sola, l'avrebbe rifatto fino a farmi morire.
Come, mi chiedo ora. Fu la cosa più stupida e crudele che in quel momento potesse dirmi. Una frase allo stesso tempo atrocemente stupida e violenta.
Ma in quel pomeriggio, rimisi i vestiti frettolosamente e, rimasta sola nella mia camera, iniziai a tremare violentemente.
Abbandonai a terra la bambola di porcellana dai lunghi capelli d'oro con la quale amavo giocare. Non l'avrei mai più toccata.
Quella sera ebbi la febbre.
Mia madre al ritorno trovò un clima quasi gotico.
C'era un'enorme penombra, perché né io né Stefano avevamo acceso la luce in casa.
Trovò me pallida come un cadavere e in camera di mio fratello solo un biglietto.
Senza dirmi niente era scappato.
Nel biglietto scrisse di avermi lasciata sola senza avvisarmi per non spaventarmi.
Da allora non lo avrei rivisto, se non due anni fa.
Dopo quell'episodio ebbi un rapporto tormentato con chiunque fosse di sesso maschile, evitavo persino la compagnia di mio padre.
Ai miei occhi gli uomini erano cambiati per sempre.
Mi apparivano burberi, violenti, traditori, o che comunque per loro natura avrebbero prima o poi tradito.
Da allora continuai a studiare, come avevo sempre fatto, ma mi convinsi che dovevo essere la migliore, in questo modo mia madre si sarebbe finalmente accorta di me.
In quegli anni le ricerche per ritrovare mio fratello continuarono, ma senza dare frutti.
Era sparito.
Mia madre continuava a vivere solo per lui, era la sua unica speranza e ragione.
Iniziai la scuola media, entrando come studentessa brillante quale ero, ma lei mia madre, sembrava non accorgersene mai; del resto non si era mai presentata ad un solo ricevimento, per sapere come andavo o anche solo per la curiosità di guardare in faccia i miei insegnanti che, da parte loro, come pugnali nel cuore, mi chiedevano sempre increduli come mai non avessero mai conosciuto anche solo un mio genitore.
Lei non sapeva niente di me, ed io niente di lei, parlavamo di rado e solo perché, suo malgrado, vivevo nella sua stessa casa.
I giorni passavano veloci e grigi, mentre mia madre sembrava imbiancare prematuramente.
A volte avrei voluto una guida che mi indicasse la strada giusta, qualcuno con cui parlare, ma sapevo che avrei sempre dovuto cavarmela da sola.
L'unica preoccupazione di mia madre era prepararmi da mangiare, ma poi spesso subito dopo andava via, senza mai dirmi dove, quindi avrei anche potuto buttare via tutto.
Era come se i suoi doveri minimi fossero assolti, così che nessuno avrebbe mai potuto puntarle il dito contro.
È mia madre, mi ha messa al mondo, ma non mi ha mai resa felice. Mai.
Al secondo anno di scuola media persi la testa per un ragazzo più grande di me, Gabriele.
Veniva sempre a vedermi quando uscivo da scuola. Un giorno si presentò e parlammo a lungo.
Una settimana dopo mi chiese se volevo un passaggio e da quel giorno venne a prendermi a scuola tutti i giorni.
Era gentile con me e lentamente riuscivo a lasciarmi andare con lui.
Nel mentre mi ero iscritta ad un gruppo di militanti femministe che si battevano per i diritti delle donne.
Ben presto scoprii che la maggior parte delle iscritte erano ragazze omosessuali.
Ero l'unica così piccola, poiché l'iscrizione era vietata alle minorenni, ma io riuscii ad iscrivermi dando l'età falsa; dissi di aver appena compiuto diciott'anni.
D'altronde nessuna mi dava meno di quell'età, sembro molto più grande della mia età, forse grazie alla necessità per me di crescere in fretta.
Iniziai a frequentare ogni pomeriggio il gruppo delle militanti e la sera vedevo Gabriele.
Nel gruppo feci amicizia con una ragazza di ventitré anni, Valentina.
Aveva dieci anni più di me, ma non poteva saperlo, ed io cercavo di mostrarmi più grande.
Mi truccavo e amavo vestirmi in modo provocante.
Non sapevo che non avrebbe risolto i miei problemi, mia madre continuava a guardarmi con aria indifferente o a non guardarmi affatto, donna generatrice che poi abbandona la figlia nel mare terribile dell'indifferenza.
Le mie compagne di classe lamentavano la severità dei genitori.
Io non ho mai parlato di "genitori".
Fisicamente c'è solo mia madre con me, ma in realtà anche lei non è insieme a me.
La verità è che avrei pagato per uno schiaffo, per un rimprovero, ma a lei non importava nulla di me. L'indifferenza mi stava già lentamente uccidendo.
Ormai credevo di essere felice, non lo ero.
Un giorno Valentina mi baciò le labbra ed io mi allontanai di scatto, le spiegai che per me lei era solo un'amica e che speravo fosse la stessa cosa anche per lei, così si infuriò.
Mi disse che mi amava e che con lei sarei stata più felice che con Gabriele.
Quel giorno finì bruscamente la nostra amicizia, e al suo posto rimase solo un'amara delusione. Avevo deluso e ferito una persona a cui tenevo, ma non capivo esattamente in cosa avevo sbagliato.
Me ne andai dal gruppo, dove inoltre avevano scoperto la mia vera età, e continuai la mia storia con Gabriele.
Mi sentivo felice e lui diceva di amarmi. Mi faceva sentire importante, speciale. Mi faceva sentire amata. Era una sensazione strana, nuova per me e non mi chiedevo mai se fosse vero amore. Credevo di essere felice e nulla poteva distogliere la mia attenzione da questo. Anche se forse quella di allora era più una non-attenzione.
Il giorno prima di festeggiare insieme i nostri due anni, andai a casa sua per fargli una sorpresa.
Mi aveva detto che doveva studiare e che ci saremmo visti la sera.
Gli preparai una torta di mirtilli.
Lo trovai a letto con due ragazze. Non una, ben due, visibilmente più grandi e sviluppate di me. Il pavimento si riempì di rosso e di panna e dello squallido dolore che con le mie lacrime amalgamava i due colori in un triste rosa pallido.
Una delle due era Valentina, che vide il fatto solo come un dispetto mosso da vendetta personale.
In quel momento capii che l'amore che sembrava mostrare nei miei confronti era nient'altro che fumo grigio sugli occhi.
Del resto né mi cercò, né si ricordò che il giorno dopo sarebbe stato il nostro piccolo anniversario.
Mi resi conto che in due anni ero stata solo ingannata. Uno schiaffo al cuore che sarebbe durato non meno di qualche anno.
Iniziai il liceo. Furono anni apparentemente sereni.
Frequentai molti ragazzi, senza però prendere mai seriamente l'idea di legarmi a loro.
Al quarto anno di liceo incontrai il mio Rod.
Presumo per uno stupido capriccio, i genitori lo hanno chiamato Rodoaldo.
Preferisce però di gran lunga Rod.
Pensavo sarebbe stata un'altra mia ormai tipica toccata e fuga e invece no.
Era, ed è, un po' impacciato in fatto di sentimenti, ma mi ama davvero, questo lo so, anche se nel corso del tempo lo ha dimostrato a modo suo e nonostante non abbia ancora trovato un modo per giustificare con me stessa la sua "fuga" proprio ora che sei arrivata tu, proprio ora che avrei avuto tanto bisogno di lui.
E non c'era bisogno che me lo dicesse sempre, lui me lo dimostrava ogni giorno il suo amore, con le piccole cose.
Quei piccoli pensieri che in una coppia, si sa, fanno sempre piacere.
Da allora sono stati tre anni d'amore, pur negli alti e bassi che s'incontrano strada facendo.
La prima volta che mi chiese di fare l'amore con lui finì solo per sfiorarmi il collo con le dita per accarezzarmi, poi fui presa da un terrore irrefrenabile, scappai dall'altro lato della stanza e iniziai a tremare violentemente. Incubi terribili sfiorarono la mia mente e non andarono più via.
Non sapevo cosa mi fosse preso.
Così lui mi chiese di sedermi accanto a sé per parlare.
Lentamente mi avvicinai rivestendomi e lui mi abbracciò.
"Che ti prende?" mi disse.
Ricordo che iniziammo a parlare, così mi trovai a parlargli di quel terribile pomeriggio d'inverno, uno di quei tanti pomeriggi d'inverno in realtà... sui quali non avevo mai proferito parola con nessuno fino ad allora, gli parlai di mio padre e di mia madre, della mia storia con Gabriele, gli parlai di tutto.
Lui stava fermo ad ascoltare, con quei suoi bellissimi occhi corvini fissi su di me.
Non appena finii di parlare, mi guardò e disse: "Piccola mia, il passato è passato, ok? Ci sono io adesso. Non ti tradirò mai, capito? E nessuno mai ti farà del male, perché io non lo permetterò mai."
Mi avrebbe tradito anche lui, ma in modo diverso da Gabriele.
Restammo a casa sua, ma a vedere un po' di tv insieme.
Ricordo che stetti tutto il tempo con la testa sul suo petto, mentre lui mi stringeva forte a sé, per la prima volta mi sentivo al sicuro davvero.
Da allora in poi la nostra intimità aumentò considerevolmente.
Lo portai anche a casa mia.
Lo presentai a mia madre, ma lei accennò un sorriso finto, si voltò di spalle e tornò ad occuparsi delle faccende di casa; fu una cosa che mi mise molto in imbarazzo, ormai non riuscivo più neanche a soffrirne davvero, o forse il dolore era tanto che non lo sentivo più.
Ma lui fortunatamente capii e mi disse di non preoccuparmi.
Tutto cambiò l'anno dopo, quando a strani sintomi si aggiunse un notevole ritardo delle mestruazioni, di oltre tre mesi.
Sottovalutai tutto per parecchio, perché spesso mi capitavano ritardi lunghissimi, ma questa volta era diverso. Mi sentivo strana, diversa.
Feci un test di gravidanza per sicurezza, ma ero certa di non essere incinta.
Sono piccola - pensavo - di sicuro sono solo brutte sensazioni e non significano niente.
L'esito fu positivo.
All'inizio restai sconvolta, avevo solo diciannove anni.
Ne parlai con Rod, che mi rassicurò dicendomi che mi sarebbe stato accanto. Nonostante mi rassicurasse, per la prima volta non era in grado di tranquillizzarmi.
Era freddo, sentivo che non era sincero, ma negavo a me stessa la verità.
Poi le cose andarono esattamente come più temevo.
Rod iniziò a farsi sentire e anche vedere sempre meno, divenne sempre più freddo, si allontanava costantemente da me. Capii solo successivamente che
Ormai eravamo solo io e te.
Non sapevo ancora di che sesso fossi.
Dovetti trovarmi un lavoretto per pagarmi la ginecologa, fu molto dura.
Vivevo con incubi incessanti, notte e giorno.
Vivevano ferite mai rimarginate dentro me e la continua ricerca di un aiuto, sempre delusa, continuava ad uccidermi lentamente.
Mia madre cercò un medico che fosse disposto a farmi abortire, nonostante fossi già al quarto mese. E scoprii che Rod si era allontanato tanto da me su consiglio di mia madre.
Evidentemente anche lui sperava mettessi fine alla tua vita.
Voleva assolutamente mettere fine alla mia gravidanza. Ma io non volevo.
Tu dovevi vivere. Eri la prima cosa bella davvero che capitava nella mia vita.
Ormai eri una creatura dentro me, sentivo che sin dall'inizio esisteva un fluido magico che ci univa.
Comunicavi con me ogni giorno, mi trasmettevi tutto quello che avevo sempre cercato.
Io ti proteggevo con il mio amore e tu mi davi ogni mattina la forza di asciugare le lacrime della sera prima, per afferrare la vita per i capelli e conquistarmela passo dopo passo.
Non avrei messo fine alla tua piccola vita, così scappai.
Decise di ospitarmi una mia collega di università, Carlotta.
Mi disse che potevo stare finchè volevo, a lei faceva piacere. In quel momento fu la nostra salvezza.
Dissi a Rod che mi ero trasferita perché non andavo più d'accordo con mia madre.
Anche lui sarebbe stato favorevole all'aborto, come dicevo prima e avrebbe fatto di tutto per convincermi.
Lui non avrebbe mai capito.
Ma io avevo paura, per me e per te.
Soprattutto per te, di me non m'importava più granchè da anni ormai.
Del resto, se nessuno si era mai preoccupato davvero per me, ci sarà un motivo.
Magari concludere tutto qua è il mio destino.
Dopo che sei nata è divenuto un tormento pensare di darti a qualcuno che ti avrebbe potuto dare quelle cure che io non potevo in nessun modo offrirti.
Non è un problema economico, piccola mia.
Temo di non poterti dare l'amore che io in questa misera vita ho sempre cercato.
Temo di essere per te come mia madre è stata per me.
Temo di non riuscire a crescerti senza che il mio dolore distrugga anche la tua vita.
Non ti ho abbandonato piccola mia, ti ho affidato a Sara, un'amica, una cara amica.
Sara gestisce un gruppo, un'associazione che si occupa di creature sole come te, tesoro mio.
Non può avere bambini. Ora si è sposata e ha adottato due bimbe.
E'una donna di stampo raro, so che ti saprà dare quell'amore che io provo per te, ma che non sarei capace di mostrarti, perché nessuno me l'ha mai insegnato amandomi.
Non è un comportamento codardo, ed io ho voluto ardentemente che nascessi.
È un atto d'amore piccola mia, spero tu mi capisca.
È stato terribile separarmi da te.
Per nove mesi sei stata nel mio grembo e da quando ho scoperto che c'eri non ho fatto che parlare con te.
Spesso sembrava mi rispondessi.
Ti parlavo di me, dei miei problemi, ti facevo ascoltare la mia musica e accarezzavo il pancione sperando che potessi sentirlo.
Scalciavi sempre e mi bastava qualche carezza per tranquillizzarti.
Sai un giorno ho temuto di perderti: mentre andavo dal dottore per una visita, ho visto mia madre per strada, in lontananza e mi son messa a correre per paura mi vedesse, così sono inciampata e ho fatto una brutta caduta. Per fortuna non ti sei fatta nulla.
Quando ti ho visto la prima volta mi sono innamorata di te, eri e sei la creatura più bella che abbia mai visto, e subito ho capito che non ti meritavo.
Inizialmente pensavo che infondo il mio amore ti sarebbe bastato, ma poi ho sentito che non poteva essere così semplice.
Tu meritavi e meriti una vita migliore di quella che ho avuto io, meriti di vivere la tua ricerca della felicità, che a me è stata tanto a lungo negata.
So che può sembrare che io stia scappando dalle mie responsabilità, ma non è così.
Il tuo nome è il mio augurio di una vita piena e felice. Sii felice, sempre.
La mia assenza non deve farti soffrire, mai. Ricorda che io sono e sarò sempre accanto a te.
Sara ti ha già conosciuto qualche settimana fa, era insieme a me in sala parto mentre nascevi.
Ho lasciato, insieme a questa lettera per te, anche una lettera per Sara, dove le spiego tutto e le chiedo di lottare perché le venga concesso il tuo affidamento.
Sii forte piccola mia, e non permettere a nessuno di ferirti, mai.
Ascolta i consigli di Sara, saprà aiutarti a crescere bene. So che sarà un'ottima mamma adottiva.
Ricorda che il mio amore per te è immenso e indescrivibile.
E per qualunque cosa tu abbia bisogno, chiedi aiuto, sempre.
Ti adoro piccola moretta riccioluta.
Addio mia piccola Gaia,
Caterina
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1 recensioni:
- le tue parole toccano rami nascosti dell'animo, quelli che portano il frutto del dolore, complici di sofferenze da ignorare che tu affronti splendidamente... bravissima
- Grazie mille! ^^
- davvero triste. purtroppo di questi argomenti se ne sentono parlare parecchi, ma quando sono descritti come tu hai fatto sanno diventare ancora più tristi... complimenti
- Davvero molto bello, pieno d'emozioni ben descritte che arrivano davvero
- Grazie Michele, ditemi sinceramente cosa ne pensate, per me è davvero importante.
- Un racconto davvero a tinte forti. Ben scritto e dosato nelle descrizioni emotive. Complimenti. Sul contenuto nulla da dire, è sacro.
Ciao
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