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Subbuglio nel piccolo cimitero
Ripescando tra i ricordi dei primi anni ottanta.
Ogni santo giorno di ogni mese e di ogni anno il tortuoso percorso tra il cimitero e la periferia del paese, visto dall'alto, sembra un andirivieni di formiche da e per il formichiere. Invece si tratta del grottesco via vai delle nero vestite vedove inconsolabili che, con qualunque tempo, non rinunciano al quotidiano pellegrinaggio alla tomba dell'adorato (da morto) marito. Non importa quando sia avvenuto il trapasso, se poche settimane o sei lustri prima, la determinazione che li spinge a un simile andirivieni è immutabile nel tempo.
Se viene chiesto loro perché lo fanno la risposta, tra sospiri struggenti e quasi singhiozzanti, è sempre la medesima "vado a trovare il mio amato bene!" Altra risposta "senza di lui la vita non ha più senso!" oppure ancora "per non lasciarlo solo!", che poi è tutto da dimostrare.
Come da dimostrare è la vocazione delle vedove durante il tragitto, infatti di tutto parlano tranne del loro amato e inconsolabile bene. Passi fin quando gli argomenti di conversazione riguardano problemi casalinghi e sociali, come il caro vita o la pensione sempre più insufficiente al mantenimento loro e dei viziati nipoti che non possono comprarsi il nuovo SUV a km. 0 o, mal che vada, aziendale, ma diventano strabilianti quando a imperversare è il puro malevolo pettegolezzo.
Appena varcata la soglia del cimitero la foce del tortuoso fiume, come un delta, si espande nelle varie direzioni e, tempo pochi minuti, l'intera sacra area riecheggia di pianti disperati da prefiche consumate con tanto di mea culpa, di pacche più o meno sonore date sulle spalle se non addirittura sul volto, ma più verosimilmente di battimano, sconsigliato al casuale passaggio nelle vicinanze di moscerini e insetti vari.
Grida, urla, invocazioni sul "Perché mi hai lasciato? - cosa ne sarà della mia vita? - oh schianata me? (tradotto "me disgraziata"), eppure, a ben guardare, spesso si tratta di vedove di lungo corso che di tempo per sbiadire sensazioni e sentimenti ne hanno avuto a iosa, soprattutto le "chiacchierate" che, cessata la liturgia, tornano, come si suol dire, a cavalcare la cavallina.
Tutte hanno in comune una reale (sic) lamentela verso l'amministrazione comunale, quella che in tanti anni non è stato provveduto a collegare il cimitero all'abitato con una linea di bus urbano, lamentela, peraltro, espressa dopo il ritorno in centro quando le malevoli conversazioni hanno fine.
Un secondo reclamo, per anni presentato sempre oralmente, è la mancanza di una cabina telefonica pubblica (oggi con tanti telefonini in circolazione il problema non sussiste più) utile per ogni evenienza. Per la verità una linea ci sarebbe, quella diretta tra il casotto del guardiano e l'ufficio dei vigili urbani, ma serve esclusivamente ad avvertire il becchino dei tempi tecnici inerenti i funerali in corso.
In quegli anni ottanta una delle più assidue frequentatrici del cimitero era donna Assunta Labella, vedova di don Salvatore e madre dell'unico figlio don Gualtiero. Tanto per fugare ogni equivoco nelle vene dei suddetti non scorre nemmeno una goccia di sangue nobile, solo un portafoglio sempre ben fornito unitamente a cariche sociali di un certo riguardo. Il defunto Salvatore è stato uno dei maggiori latifondisti di Montepiano e il figlio Gualtiero, oltre ad ereditare tale ricchezza, era il primo cittadino del paese, cioè il sindaco. Lei, donna Assunta, un intoccabile asteroide brillante di luce riflessa, ma bisogna per la verità dire che spesso e volentieri la luce emessa era maggiore di quella riflessa per via di un caratterino piuttosto marcato.
La portavoce di ogni lamentela verso l'amministrazione comunale, peraltro rappresentata dal figlio, era proprio lei, l'indomita donna Assunta che, dai e ridai, era riuscita con il tempo a farsi capo di un piccolo e agguerrito esercito nero (per l'integro colore del lutto). Memorabile fu, infatti, l'ardore con cui attaccò tutto l'assessorato quando una comare svenne davanti il cancello del cimitero un giorno d'estate, forse per il troppo caldo o forse per un collasso ipoglicemico. Allora la veemenza di donna Assunta fu tale da far arrossire l'intero paese per l'imbarazzo, maggiormente dovuto al fatto che le prime cure rivolte alla malcapitata comare furono date da un veterinario di passaggio. Ma come si suol dire passato il temporale ritorna il ciel sereno, ovvero dopo l'accaduto tutto tornò a sonnecchiare come prima, a quanto pare anche donna Assunta, verso la quale si iniziavano ad avere sospetti circa il vero scopo delle filippiche, ovvero che tirasse l'acqua al mulino del figlio dato che si stavano avvicinando i tempi per le nuove elezioni comunali.
Donna Assunta, fiutando con un certo anticipo l'aria di diffidenza che si cominciava a respirare, trovò opportuno dedicarsi ad un'altra battaglia, quella dei furti dei fiori che un giorno sì e l'altro quasi pure, avveniva tra le tombe. Il sospetto che qualche comare, nella confusione mattutina, riuscisse a trafugare garofani e crisantemi dalle cappelle per depositarli sui propri defunti, era condiviso dalla totalità delle comari, il problema era come cogliere le ladre (perché di tali tutte erano convinte) sul fatto.
Avvenne così che un giorno in cui la guerriera Assunta teneva banco contro l'amministrazione per la mancata raccolta dell'immondizia, per lo più composta di fiori marciti e quindi puzzolenti, salita per l'occasione sul cassonetto di un Fiorino per innalzarsi sulla piccola folla, colse di sfuggita un movimento sospetto proprio davanti la cappella di famiglia non molto distante dall'ingresso del cimitero. Le era sembrato di vedere una sagoma, ovviamente femminile, vestita a nero che, prima entrava e dopo qualche secondo usciva dalla cappella e furtivamente si dileguava. Tanto era bastato dal farle distogliere la concentrazione su quello che stava perorando che alcune tra le più agguerrite seguaci se ne avvedessero e le chiedessero, dopo l'oratoria, cose le fosse successo.
Spontaneo e sincero fu lo stupore quando il sospetto di donna Assunta pervase anche loro tanto da imbastire seduta stante una santa crociata, subito sedata dalla accorta Assunta che propose, invece, di tendere un tranello alla probabile ladra.
Dopo vario e titubante conciliabolo corredato da numerosi segni di croce e baci ai grani delle corone fu escogitato che donna Assunta si sarebbe nascosta nella cappella, abbastanza grande da ospitare una persona appiattita e non vista in un angolo e pronta ad assaltare la malvivente. Per l'occasione due delle più fidate comari si sarebbero nascoste nelle cappelle adiacenti pronte ad intervenire. L'esca sarebbe stato un bel mazzo di crisantemi e garofani rossi che l'astuta donna avrebbe recato al tramonto del giorno prima. Dopodichè si sarebbe nascosta, con le compagne, per passare la notte al cimitero. Era d'estate e quindi la notte non faceva freddo ma, per ogni evenienza un plaid ciascuno l'avrebbero portato. Il coraggio di passare l'intera notte li dentro? Beh, erano in tre e con l'ausilio di un buon fiasco di vino si sarebbe fatto.
Così fu, le tre comari ebbero tutto il tempo per chiacchierare su almeno mezzo paese di loro conoscenza, decantando i lati negativi di ogni loro conoscente. Verso l'alba il fiasco da un litro e mezzo era quasi finito e donna Assunta era più animosa del solito. All'arrivo del guardiano e all'apparire delle prime visitatrici le tre donne si eclissarono nei rispettivi nascondigli e donna Assunta finanche armata di un piccolo ombrello che portava sempre con se.
Appiattita tra la porta della cappella e lo spazio vuoto dove negli anni futuri sarebbero state alloggiate le cassette con i resti dei defunti più lontani nel tempo, ella non dovette attendere molto, infatti, poco meno di mezz'ora dopo la stessa sagoma che aveva intravista il giorno prima varcò la soglia della cappella. Donna Assunta frenò un attimo la sua irruenza per meglio cogliere sul fatto la rea ma immensa e sconvolgente fu la scena che ne seguì. La donna, infatti, ignorò del tutto l'accattivante mazzo di fiori esposto in primo piano ma, con rapida mossa, trasse da una piega dello scialle che le copriva le spalle una sola stupenda rosa rossa che con estrema delicatezza pose ai piedi della tomba di don Salvatore, mormorando struggenti parole d'amore.
"Ecco, amore mio, nel ricordo dei tanti momenti felici che abbiamo passato insieme. Mai, mai scorderò l'ardore dei tuoi baci, la passione delle tue carezze. Amore mio, ti dono questa rosa in ricordo del primo giorno che ci ha visti uniti, per sempre nell'amore" e, fattosi il segno della croce e mandato un bacio alla fotografia di don Salvatore, ella si dileguò lasciando donna Assunta, trasecolata e incredula nel suo nascondiglio. Passarono alcuni minuti senza che desse segno di vita e quando le due comari la raggiunsero la trovarono ancora così, istupidita da fare impressione. La scuoterono energicamente finché il colore riprese a circolare e a ridarle la vita sul volto. Allora lei inasprì i lineamenti del viso, con le braccia allontanò, quasi strattonandole, le amiche e con tutto il veleno che aveva in corpo apostrofò la tomba del fedifrago defunto.
"Miserabile bastardo che non sei altro!, Figlio di una grandissima puttana! Rotto in culo di un ricchione! Come hai potuto farmi questo! Fare questo a me, povera immacolata disgraziata che per tutta la vita ti ho servito e riverito e accontentato in tutto e per tutto! Tu, ignobile bastardo, traditore della famiglia! Ah, se potessi averti tra le mani! Prima te lo strapperei con le mie mani e poi ti strozzerei! Porco! Porco immondo! Che tu possa marcire all'inferno tra le anime dannate, per tutto il resto dell'eternità!"
Alla fine, esausta, anche per l'effetto delle abbondanti sorsate di vinello rosso trangugiate per tutta la notte, donna Assunta crollò priva di sensi, appena sorretta dalle fidate amiche. Nel frattempo una piccola folla di curiose si era raccolta davanti la cappella e, forse tra loro anche la misteriosa e inconsolata amante del defunto, presto sparpagliate dalle energiche sollecitazioni delle comare e del guardiano sollecitamente accorso sul posto appena accortosi della innaturalezza delle urla di donna Assunta. La poveretta venne presto rimessa in sesto e a testa bassa, incurante delle occhiate bramose di tutti i presenti accompagnata al cancello del cimitero dove, miracolosamente apparsa dal nulla, un'automobile provvide ad imbarcarla e portarla a casa.
Da quel giorno donna Assunta, non si recò più al cimitero e neanche provvide a fare vita sociale. Nessuno la rivide più in circolazione e di lei se ne parlò solo otto anni dopo quando compì anch'essa l'ultimo viaggio verso quel luogo prima tanto amato e poi detestato per sempre.
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0 recensioni:
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- Gianmarco, il personaggio è quasi vero, era la madre di un sindaco, nota con l'appellativo di donna sì sì.
Grazie per la visita
Ciao
Anonimo il 09/10/2010 18:42
Cribbio, quant'è spavalda donna Assunta! Ironica trama ben considerata. Michele, sei geniale!
- Che bello tornare dal mare ed essere gratificato dai vostri commenti.
Grazie Maurizio
Grazie Tore
- Complimenti Michele, un bel racconto che sembra venire dalle più struggenti telenovelas, invece sono le cronache del tuo paesino

Anonimo il 13/08/2010 13:55
Bel racconto. Complimenti!

- È bello scooprire quante storie si possono scrivere sul cimitero!!!
Ben scritto molto bravo Michele, un abbraccio e grazie
- Ciao Guido, ben tornato. In verità sono sempre stato un attento osservatore della vita in ogni sua sfaccettatura.
Grazie ancora.
Ciao
MIchele
- Grazie Nunzio, felice quando riesco a strappare al prossimo un sorriso.
Ciao
- ciao Michele! secondo me questo racconto è tra i più maturi che tu abbia scritto. molto terreno, ma con spiccate doti acrobatiche.
sei sempre bravo
Guido
Anonimo il 03/08/2010 03:47
Ciao Michele, è con colpevole ritardo che ti leggo, ma ieri è stato un giorno di quelli che...
Il cimitero è importante rivelatore dello spirito di una comunità, ne svela il lato più intimo.
Molto divertente, stile "Amici miei" al femminile. Ottimo Michele.
Ciao.
- Perdonatissima, anch'io come puoi vedere ne ho fatto uno scrivendo una cosa mentre ne pensavo un'altra, alla fine le ho scritte tutte e due.
Ciao di nuovo
- No non è un gergo giovanile, purtroppo per me!!! Volevo scrivere "tirandoli giù" o meglio stampandoli. Ho commesso un errore di battitura!!!!
- Grazie Rainalda, ma devi togliermi una curiosità. Cosa sono i timdomeli? è la prima volta che sento m'imbatto in questo termine, è per caso un gergo giovanile?
Grazie ancora.
Ciao
- Mu sono molto divertita a leggere il racconto e questa volta devo dire : "troppo breve" oppure doveva essere brevissimo e fulminante. Bravo!!! Leggerò altri tirndomeli giù per leggerli con calma, Ciao...


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