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Faccia da patrizia
Francesco la guardava passare quasi ogni mattina, da circa vent'anni. Si salutavano come si salutano quelle persone che si sono conosciute per un breve periodo della loro vita ma che dopo anni le loro storie non si sono più incrociate. Francesco, sulla porta del suo negozio di ferramenta in pieno
centro storico, le sorrideva facendole un cenno con la testa e rallegrandosi interiormente quando lei ricambiava quel saluto. Altre volte la scorgeva di straforo da dentro il negozio fra gli utensili esposti in vetrina rammaricandosi di non essere uscito due minuti prima a fumare una sigaretta. A volte lei passava con un ragazzino di circa dieci anni che aveva visto crescere e che da molto tempo aveva capito che era suo figlio. A volte invece passava da sola e camminando veloce si infilava nella galleria di un enorme agglomerato di uffici alto quattro piani che abbruttiva quello scorcio di città.
Francesco non era mai riuscito a scoprire in quale di quei circa sessanta uffici lavorasse. Poi a volte la vedeva passare con quello che sicuramente era il marito, un bell'uomo visibilmente più anziano di lei e mentre camminavano sembravano quasi due sconosciuti che occasionalmente si ritrovano a fare la stessa strada fianco a fianco. E questa a Francesco sembrava la sintesi del matrimonio. Un marito, un figlio e un lavoro d'ufficio. Solo questo sapeva di lei. Anzi no, sapeva anche il suo nome. Patrizia. Un nome quasi antico, di quelli che ormai non si usano più nei battesimi. Come Donatella o Loredana. Ci sono persone alle quali il nome calza a pennello e col tempo diventa un tutt'uno col volto e il nome Patrizia abbinato a lei era quanto di più azzeccato ci potesse essere. Ogni suo lineamento ed ogni suo gesto avevano un qualcosa di nobile che rimandava agli antichi patrizi romani. Patrizia era ancora molto bella, di quelle bellezze che non hanno bisogno di rossetto o fondotinta per essere riconosciute tali. Occhi verdi e bocca carnosa sopra due seni ancora prosperosi. I capelli erano sempre ben curati e di un elegante colore rosso. Inoltre il tempo le aveva risparmiato l'eccessiva rotondità dei fianchi e Francesco pensava che probabilmente si teneva in forma fra palestra e piscina. Non era mai riuscito a parlarle e d'altronde non sapeva neanche come cominciare eventualmente il discorso e se darle del tu o del lei. Perché Francesco si ricordava di Patrizia ma non era sicuro del contrario. Magari lei ricambiava semplicemente il saluto di un negoziante che lavora vicino al suo ufficio nel centro storico di una piccola città balneare di provincia. Magari se avesse avuto una boutique o un alimentari qualche volta se la sarebbe vista entrare per provare una gonna o per comprare del prosciutto e magari avrebbero parlato di quella volta. Ma con un negozio di ferramenta le speranze erano ben poche. Qualche volta l'aveva incontrata nel bar all'angolo ed ogni volta la sua timidezza gli aveva impedito di andare oltre il solito saluto fra negoziante e passante. E così si era rassegnato a fantasticare su come sarebbe stata bella la sua vita con lei invece che da solo.
Era stato un bacio lungo e appassionato. La festa in spiaggia era capitata a fagiolo in quella calda e noiosa serata ferragostana. Le luci e la musica di Bob Marley avevano attratto Francesco e i suoi amici tutti appena ventenni e un attimo dopo erano al bar a districarsi fra birre, gin-lemon e salatini.
L'aveva notata subito quella ragazza simpatica, con quel sorriso candido e l'aria di chi sta bene dappertutto. Per tutta la serata fece in modo che lei lo notasse mentre ballava e rideva e salutava tutti. Poi alle due di notte e al quinto whisky e coca le si avvicinò.
"Ciao"
"Ciao" rispose lei.
Ecco, questo è quanto ricordava del loro colloquio che però a detta dei suoi amici andò avanti per un'oretta abbondante. Oddio, più che un colloquio fu un monologo, lei parlava e lui annuiva. Poi dalla panca del bar si trasferirono su un lettino in spiaggia seduti uno di fianco all'altro ma sempre con lei che parlava e lui che annuiva. Poi, prima che l'effetto dell'alcol gli facesse chiudere gli occhi, si decise e la baciò. Così, semplicemente. Senza parole, senza domande, senza incertezze. Le appoggiò delicatamente la mano sulla nuca e avvicinò la bocca alla sua augurandosi che lei non svenisse per l'odore di alcol che emanava il suo alito. Ma lei non svenne, anzi. E fu un bacio lungo e appassionato. Poi all'alba i suoi amici lo svegliarono e Francesco si chiese come era stato possibile addormentarsi di fianco ad una simile bellezza. Tornarono a casa caracollando e raccontandosi a vicenda ciò che avevano combinato in quella bella e inattesa festa in spiaggia in una calda e noiosa serata ferragostana. Quando riuscì a mettersi a letto, dal turbinio dei ricordi annebbiati cercò utili elementi per poterla rivedere e piano piano affiorarono faticosamente tre nomi. Patrizia, che era il suo. Perla, che era quello della sua cagnolina. E Melaverde, che era il nome della discoteca all'aperto che lei
frequentava d'estate. Un buon inizio.
Ogni volta che passava davanti al suo negozio di ferramenta si chiedeva se lui si ricordasse. Se si ricordasse di lei e di quella serata in quel bar sulla spiaggia. Lui si chiamava Francesco, se lo ricordava bene. Chissà perché quando gli passava davanti non diceva mai "Ciao Francesco!" ma si limitava ad un contenuto cenno del capo e magari un sorriso ogni tanto. Forse perché avrebbe poi dovuto spiegare a quel bell'uomo il perché lei sapesse il suo nome e quindi poi lui avrebbe avuto due reazioni. Si sarebbe ricordato di lei e l'imbarazzo le si sarebbe manifestato sulle gote. Oppure non si sarebbe ricordato di lei, e questo forse sarebbe stato peggio. Di lui ora sapeva solo che aveva quel negozio vicino al suo ufficio e che per una forma di cortesia "commerciale" salutava tutte le persone che vedeva passare davanti alla sua attività. Niente altro. Una volta era stata tentata di entrare per comprare un paio di quei forbicioni da cucina che servono per tagliare di tutto ma poi aveva rinunciato. Perché? Perché la gente ha spesso quella strana paura ad affrontare il passato? Certo, ora lei era sposata e aveva uno splendido figlio. Ma due parole con Francesco la avrebbero aiutata a far sembrare meno dura la sua vita che ormai era diventata una routine. Casa, ufficio, casa, spesa, casa, letto. Ma era chiaro che se lui non l'aveva più cercata quella volta era perché non gli interessava. Lei gli aveva detto dove poteva trovarla ma lui non si era fatto mai vedere al Melaverde, almeno finché rimase aperto. Certo, adesso con i telefonini e internet è più facile ma quella volta bisognava andare a memoria o con i bigliettini. Avrebbe potuto scrivergli il numero di telefono di casa ma era troppo sicura che lui l'avrebbe comunque cercata in quella discoteca. E
invece no, evidentemente a lui lei non piaceva così tanto. D'altronde uno come lui di ragazze come lei ne avrà avute a bizzeffe. Peccato, perché quella sera si era illusa di aver trovato il vero grande amore. Ma forse era solo perché aveva vent'anni.
Il Melaverde era un discoteca che apriva a giugno e chiudeva a settembre. Potevi andarci a ballare tutte le sere tranne il lunedì e il martedì ma a luglio ed agosto era sempre aperta. La classica discoteca estiva, insomma. Era situata in una traversa del lungomare e vi si accedeva tramite una piccola scalinata che scendeva di qualche metro sotto il livello del mare. Le luci stroboscopiche si infrangevano su un enorme palla girevole appesa al soffitto ricoperta di decine di specchietti che rimandavano i fasci luminosi in ogni angolo del locale. In uno di questi angoli c'era un biliardo col panno consumato e due videogame, un Packman e l'ultima versione di Space Invaders. Vicino partiva il bancone del bar con gli sgabelli perennemente occupati. Dall'altra parte del locale c'era la cabina del deejay al quale potevi anche richiedere la canzone che ti piaceva. Poi c'era una porta aperta da dove si accedeva ad un giardino poco illuminato pieno di tavolini, panche e un paio di dondoli. Un piccolo gazebo vuoto stava ad indicare una certa attività di musica dal vivo. Francesco l'avrebbe portata lì, in quel bel giardino all'aperto. Era arrivato alle nove a mezza ed il locale era già abbastanza pieno fra militari in libera uscita, qualche turista e numerosi esponenti della locale fauna maschile. Donne poche, per il momento. Per fare pace con l'alcol della sera prima Francesco si era concesso un gin-tonic che aveva sorseggiato in compagna di un ex compagno delle medie incontrato vicino al biliardo. Si era piazzato lì perché da quella postazione poteva vedere se Patrizia arrivava. E verso le dieci la vide entrare con due sue amiche. Era bellissima nel suo vestitino nero e Francesco non poteva staccarle gli occhi di dosso. La seguì con lo sguardo avendo cura di tenersi in penombra mentre le note di "Enola Gay" trascinavano Patrizia e le sue amiche nella piccola pista circolare. Aveva notato che ogni tanto lei si guardava intorno e il pensiero che stesse cercando lui lo spinse a fare il passo. Si avvicinò alla postazione del deejay e gli disse direttamente nell'orecchio libero dalle cuffie
"Mi chiami una ragazza di nome Patrizia?"
Il ragazzo gli fece un cenno di intesa e si annotò il nome, poi roteando il polso e l'indice gli fece capire che l'avrebbe fatto di lì poco. Francesco si allontanò di un paio di metri avendo cura di rimanere nella zona d'ombra. Voleva farle una sorpresa. Dopo due minuti sentì partire dalle casse la fatidica frase.
"PATRIZIA ALLA CABINA DEEJAY!"
In quel momento Francesco ebbe la netta sensazione di aver raggiunto un punto di "non ritorno" e che quella sera se la sarebbe ricordata per un bel pezzo o magari per tutta la vita, chissà. Cercò Patrizia con lo sguardo ma non la vide più in pista. Si chiese perché ci metteva tutto quel tempo per sapere chi la stava cercando quando all'improvviso capì. La vide uscire dai bagni in compagnia di una delle sue amiche, evidentemente non aveva sentito. Subito si riavvicinò al deejay e gli chiese
"Quella ragazza... Patrizia... l'ho vista uscire del bagno, magari non ha sentito... puoi richiamarla per favore?"
"Ok, la richiamo subito. PATRIZIA ALLA CABINA DEEJAY!"
Francesco arretrò cercando il buio angolo amico dal quale vide che Patrizia era tornata a ballare e non faceva cenno di schiodarsi dalla pista saltellando allegramente sulle note di "Video killed the radio stars". Francesco non riusciva a capire il perché del suo comportamento e trovò buffo che lei
fosse anche l'unica Patrizia lì dentro visto che nessun'altra ragazza si era presentata per sapere chi la stesse cercando. Guardò con aria supplichevole il deejay il quale alzando le spalle, allargando le braccia e stringendo le labbra gli fece capire che lui aveva fatto tutto il possibile e difficilmente
l'avrebbe richiamata. Si chiese ancora il perché del suo comportamento e pensò che l'essersi addormentato la sera prima mentre era con lei gli aveva azzerato ogni futura chance. Poi magari lei lo aveva visto mentre parlava col deejay e sentendosi chiamare aveva capito chi era che la cercava e non si era presentata volutamente. Ma Francesco aveva ancora una carta da giocare. Poteva sempre incontrarla "per caso" mentre girava per il locale e fingendosi sorpreso le avrebbe offerto da bere, la avrebbe invitata nel giardino, si sarebbero seduti su una di quelle panchine al buio e lì l'avrebbe baciata per la seconda volta in due sere. Mentre immaginava tutto questo cominciò ad aggirarsi per il locale ma non la vide più. La cercò nella piccola pista, al bar, nel giardino, buttò un paio di volte un occhio dentro i bagni delle donne approfittando della porta aperta mentre qualcuno entrava o usciva. Si affacciò un attimo sul piazzale esterno, rientrò e ricominciò il giro di ricerche. Niente, niente, niente. Sparita, volatilizzata, dissolta, evaporata. Doveva proprio averle fatto schifo, la sera
prima.
"Pazienza, me ne farò una ragione" pensò mentendo a sé stesso mentre usciva da quel locale non sapendo che quella sarebbe stata l'ultima volta che ci aveva messo piede. La settimana seguente un corto circuito danneggiò seriamente il Melaverde e l'anno dopo al suo posto aprì un ristorante cinese. L'unico collegamento che aveva con Patrizia fu sostituito da due involtini primavera e un pollo alle mandorle.
È arrivato il giorno, Francesco si è deciso. Oggi fermerà Patrizia e le parlerà. Niente di particolare, non vuole dare l'impressione di quello che ci prova con tutte quelle che passano davanti al suo negozio. Vuole solo fare due chiacchiere con lei e magari un giorno se si riparleranno di nuovo tirerà fuori con delicatezza la storia di quelle due strane serate. Le dirà che al Melaverde lui quella sera c'era andato e che l'aveva fatta chiamare ben due volte dal deejay ma lei era troppo indaffarata a ballare e così... Poi forse si faranno due risate, forse un giorno prenderanno un caffè insieme al bar all'angolo, forse una sera si vedranno, forse... Eccola laggiù, Patrizia sta arrivando. L'osserva mentre cammina veloce con un'andatura sensuale. Vabbé, ormai era arrivato al punto che le piaceva qualunque cosa lei facesse. Si era già preparato il discorso e se lo ripassava mentalmente dalla mattina con le varie domande e risposte ed era più o meno questo - Ciao Patrizia. Come so il tuo nome? Beh, tu non ti ricordi sicuramente ma una ventina di anni fa ci siamo conosciuti ad una festa in spiaggia e poi tu mi hai dato l'appuntamento per la sera dopo e poi io ti ho fatta chiamare del deejay e poi tu eri lì che ballavi ma non sei venuta e poi...- ECCOLA! Era arrivata a meno di dieci metri e Francesco calcolò il momento esatto in cui fingere di andare da qualche parte per arrivarle vicino e fermarla. Stava per farlo quando all'improvviso una donna raggiunse Patrizia affrettando il passo e chiamandola da dietro "Stefania!" lei si voltò e le rispose "Ciao! Vieni in ufficio?" "Sì" e proseguirono insieme verso il loro lavoro. Francesco le guardò entrare nella galleria del palazzo e improvvisamente capì. Si chiamava Stefania e non Patrizia, ecco perché.
Maledetto alcol.
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