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82, Washington Road (Episodio 6)
Sarah tentò di liberarsi con tutte le sue forze ed assestò un pugno alla cieca che provocò un grugnito di dolore e sorpresa, ma smise di lottare quando venne introdotta in un magazzino ingombro di scatoloni e, successivamente, in un negozio di elettrodomestici. Guardandosi intorno alla luce dei neon si rese conto che non erano mostri ad aver preso lei e Jake, bensì persone impaurite almeno quanto loro.
Uno degli uomini che l'avevano trascinata dentro era Anthony Corliss, il farmacista di Rockford, un ometto smilzo dall'aria eternamente persa, che le lasciò andare un braccio e si allontanò da lei tamponandosi il naso sanguinante col dorso della mano. Era stato il bersaglio involontario del suo pugno, evidentemente, mentre l'altro uomo che l'aveva presa era Rod Hensenn, il tuttofare della città, alto quasi due metri e robusto come un tronco di sequoia; per lui i suoi pugni erano soffi di brezza.
<<Non abbiate paura>>, la rassicurò Sonny Meltzer, il proprietario di quel negozio, andandole incontro dopo aver messo a sedere uno sperduto Jake Sanders sulla scatola di una stampante. <<Sappiamo cosa vi è capitato, è successo a tutti noi, sta accadendo in ogni angolo di questa sventurata cittadina.>>
Sarah non faticò a credergli, avendo visto con quanta velocità si propagava quella maledizione, tanto da raggiungere casa di Jake nel giro di un paio d'ore dopo quello che era successo a scuola, abbastanza da invadere Rockford prima di mezzanotte. Tuttavia restò immobile e muta, diffidente per natura e più ancora in una situazione tanto assurda. Inoltre era preoccupata, la qual cosa la sorprendeva non poco, per Jake, il quale se ne stava fermo con lo sguardo vuoto dopo che era fuggito via alla vista dei genitori morti. La sua accusa le opprimeva il petto, nonostante sapesse che non c'era altro da fare, niente se non morire, e desiderava che lui si riprendesse per potergli spiegare, per potersi scusare. Per ragioni che non sapeva dire, le importava di lui.
Meltzer attese invano qualche parola da lei, poi tornò da Jake e lo osservò per qualche istante. <<Sei il figlio dei Sanders, vero?>> gli chiese senza ottenere la minima attenzione. <<Di Alex e Mary?>>
Stavolta Sarah non restò immobile. Raggiunse Jake e sedette accanto a lui, fulminando con lo sguardo Meltzer per fargli capire che non era proprio il caso di parlare di loro.
<<Oh, capisco>>, mormorò quello senza tuttavia scusarsi. Si passò una mano nei capelli brizzolati e scosse la testa. <<Ma, ragazzi, qui siamo tutti sulla stessa barca, una barca che affonda in fretta, e non c'è tempo per piangere i morti.>>
Il suo tono non era severo, ma duro a sufficienza per far intendere che se aveva radunato quelle persone nel suo negozio non era per scambiarsi tristezza a vicenda, bensì per sopravvivere. Accennò in breve a quanto era successo agli altri e a se stesso, indugiando solo sui particolari essenziali per tracciare un quadro della situazione nella quale si trovavano. Tracy Stenberg aveva dovuto impalare suo marito con un una mazza da biliardo spezzata per salvare sé e il suo bambino, Robert Miller aveva dato fuoco al suo bar per sfuggire ad un branco di avventori demoniaci, Edna Dubarbier era scampata per miracolo al mattatoio che era diventato il Castello di Riposo per Anziani. Nel negozio, seduti per terra, sulle scatole o intenti a scrutare la notte attraverso le vetrate, c'erano più di venti persone, e a tutte era accaduto qualcosa di terribile, ma il punto focale della questione era che venivano da luoghi diversi e lontani della città, testimoniando di una Rockford ormai invasa e perduta.
<<Perciò adesso dobbiamo decidere cosa fare>>, concluse Meltzer. <<Come salvarci la pelle.>>
<<Semplice>>, minimizzò Miller. Aveva delle ustioni sulle mani e sul volto, ma non pareva subirne il dolore. Per incoraggiarsi a bruciare il bar doveva aver bevuto parecchio. <<Lasciamo questa fottuta città e siamo salvi, né più né meno.>>
<<Beh, questa è l'idea>>, confermò Meltzer, <<ma il problema è come metterla in opera. Non sappiamo nulla di quelle creature, nemmeno se muoiono per davvero, e infestano la città intera, perciò prima di muoversi sarebbe meglio riflettere.>>
Anthony Corliss aveva acceso un televisore e la voce di una cronista si intromise nella discussione con inquietante puntualità. <<La cittadina di Rockford, Colorado, è stata colpita da una grave epidemia, un virus particolarmente aggressivo capace di propagarsi in appena ventiquattrore su tutto il territorio municipale e che ha costretto l'autorità sanitaria nazionale ad imporre una quarantena per impedirne la diffusione. Il virus è tanto raro da non avere nome, ma è stato garantito che la sua efficacia si esaurirà in quarantotto/settantadue ore, dopo il quale periodo la quarantena verrà rimossa. Allo scopo di proteggere la cittadinanza dal panico sono state interrotte le comunicazioni con la zona e da essa verso l'esterno, perciò questo comunicato si rivolge ai parenti degli abitanti che vivono lontano da Rockford: non vi allarmate se non riuscite a comunicare con i vostri familiari residenti nella quarantena, poiché loro verranno curati meglio se crederanno il virus una comune influenza.>>
<<Che mucchio di stronzate!>> sbottò Miller. <<Ma quale virus? Questo è l'inferno!>>
<<Se c'è una quarantena non ci faranno lasciare la città>>, sospirò rassegnata Tracy Stenberg stringendo a sé il figlio.
<<La cronista ha detto che le comunicazioni erano interrotte, e questo è vero>>, disse Corliss mostrando il cellulare senza linea. <<Solo che non è per proteggerci, ma per occultarci. Hanno detto di tenere noi all'oscuro, per non allarmarci, invece chi è all'oscuro è il resto del mondo. Cosa sappiamo noi non ha importanza, per il governo, perché domani saremo tutti morti.>>
<<Ah, non mi importa di cosa fa il governo>>, dichiarò fermo Meltzer. <<Io dico che raggiungeremo la Statale 19 e lasceremo Rockford. Se c'è una quarantena ci saranno di certo dei militari ai confini della città e, una volta che li avremo trovati, dovranno proteggerci, è loro dovere.>>
<<E se ci sparassero contro?>> dubitò Jake emergendo appena dalla sua apatia.
<<Noi siamo sani, non ci hanno presi!>>
Il ragazzo gli appuntò addosso gli occhi tristi. <<Non ancora>>, puntualizzò in un bisbiglio.
Il gelò calò nel negozio, pesante come la consapevolezza della morte in agguato, spalleggiato dal silenzio che nessuno osò rompere fin quando Rod Hensenn ruggì di frustrazione e sfondò la porta di un frigorifero con un pugno. <<Hai ancora quel Remington?>> chiese rivolgendosi a Meltzer.
<<Certo, è nel mio ufficio, sotto la scrivania, ma non possiamo uscire affidandoci solo ad un fucile, non sappiamo se basta a fermarli davvero!>>
Hensenn non diede ascolto alle sue ultime parole e corse immediatamente nell'ufficio per uscirne poco dopo col Remington 870 nell'incavo del braccio destro, intento a riempirsi le tasche di cartucce. Una volta che ebbe caricato si lanciò in strada e prese a gridare con voce possente. <<Fatevi avanti, mostri di merda! Vediamo cosa sapete fare!>>
Molti dei rifugiati nel negozio si incollarono alle vetrate per vedere, altri rimasero ai loro posti tremando come foglie. In breve tre uomini, o ciò che di loro rimaneva, circondarono Hensenn e lo annusarono come fosse cibo, poi gli si lanciarono contro. Il primo cadde con la testa frantumata, colpito a bruciapelo, il secondo fu respinto con un calcio e squarciato da tre colpi sparati in rapida successione. Il terzo riuscì a raggiungere l'uomo, ma non ebbe miglior fortuna. Quand'ebbe finito, Hensenn scalciò i cadaveri e si rivolse a chi lo guardava attraverso le vetrate.
<<Direi che un dubbio l'abbiamo risolto>>, dichiarò senza alcun tremito nella voce. <<Ora andiamocene da qui.>>
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