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La grande discesa
Sul manifesto che invitava a iscriversi alla Grande discesa, c'era stampata, a grandi lettere, una frase che risuonava come una sfida irresistibile:
"L'impossibile esiste solo perché non si è fatto niente per renderlo possibile".
Quest'anno la competizione si svolgerà tra montagna e pianura. I partecipanti, partendo dal minuscolo paesino di Zimau, dovranno arrivare a valle, nella località che sulla cartina topografica è cerchiata di rosso.
Il materiale fornito dagli organizzatori consisterà nella già citata cartina e in una bussola.
Alla corsa può partecipare chiunque, senza limiti di età, in gruppo o singolarmente, accompagnati anche da animali.
Il gruppo o il singolo fortunato vincitore, avrà diritto a un premio che, per il momento, rimane qualcosa di misterioso.
Le regole sono poche: si può correre o camminare con passo sostenuto; non c'è un percorso prestabilito; è vietato portarsi l'orologio; deve durare massimo un giorno, dall'ora della partenza.
Tra gli iscritti ci sono anche tre ragazzini che, dopo aver cercato, invano, di convincere i rispettivi genitori a lasciarli partecipare, hanno falsificato le loro firme di autorizzazione.
Ora sono in trepidante attesa. In mezzo alla folla di sconosciuti sono abbastanza sicuri di non venire scoperti, ma non saranno del tutto tranquilli fino al momento della partenza.
Sono tre amici: Daniele, Carlo ed Enrico. Abitano tutti nel paesino e hanno la stessa età, 12 anni, i caratteri invece sono molto differenti. Daniele, è il trascinatore del gruppo, quello che non sta mai fermo e che cerca sempre ogni occasione per trasformare le giornate in nuove avventure da intraprendere. Chiacchiera continuamente di qualunque argomento gli passi per la testa. Carlo, è il più alto di tutti, ben oltre la media per la sua età, forse per questo è impacciato nei movimenti e cammina con le spalle curve. A scuola viene considerato il classico secchione e ha una vera passione per la matematica. È un tipo di poche parole che fatica a uscire di casa. Poi, c'è Enrico, ha una struttura fisica tendente all'obesità e gli amici lo hanno soprannominato "Botte", ma lui non se ne cura. Ha un carattere molto allegro e burlone più simile a quello di Daniele. È pieno di idee e intuizioni, che spesso sorprendono gli altri due.
La partenza della Grande discesa è fissata per le ore 8, 00 della mattina del 15 luglio. Quel giorno però, il cielo non promette bene. Grossi nuvoloni avanzano dalle cime delle montagne, alle spalle della folla, e un vento pungente porta già un fresco profumo di terra bagnata. I tre ragazzi conoscono l'imprevedibilità del tempo in quella zona, e hanno riempito gli zaini di tutto l'occorrente.
Le vette tutt'intorno, imponenti e silenziose, fanno da spettatrici ai partecipanti. La tensione è percepibile dal grado di irritabilità dei presenti: sguardi in cagnesco, sospettosi o di scherno e battute, ironicamente intimidatorie, da parte di chi si sente già vincitore.
Lo starter, come in ogni gara, dà il via e una folla scomposta parte, come in preda a un delirio, sgomitando, spingendo o facendo, con indifferenza, sgambetti ai vicini.
Da quella massa in movimento arriva un rumore assordante, che copre i tuoni del temporale imminente e poi gradualmente diminuisce, a mano a mano che i gareggianti si allontanano.
Ricordando che non ci sono vincoli sul percorso da seguire, Daniele propone agli amici di abbandonare la strada, perché è troppo affollata e il loro ritmo di progressione non è abbastanza veloce. Gli altri due concordano.
"Dobbiamo trovare delle alternative" dice Carlo, calcolando già le probabilità di vittoria e considerando tutte le variabili, per lui possibili.
Imboccano così, uno stretto sentiero che passa in mezzo ai prati ancora da falciare. Si procurano un bastone ciascuno e lo percuotono per terra, nell'intento di tenere lontane le serpi, che si nascondono fra l'erba.
Ben presto, Enrico si accorge che non sono i soli ad aver avuto quell'idea. Un gruppetto di persone li precede di poco. I tre amici si fanno più cauti, anche perché il sentiero li porterà a breve dentro il bosco. Anche gli altri si sono accorti della loro presenza e, al contrario, affrettano il passo.
I tre ragazzi vorrebbero evitare il bosco, almeno finché c'è il temporale che incombe. Li fa rabbrividire quel grande frastuono unito ai fulmini che disegnano rami incandescenti nel cielo scuro. Cercano un riparo tra i prati e la vecchia baracca, che il nonno di Enrico non ha ancora abbattuto, potrebbe diventare un rifugio abbastanza sicuro.
La raggiungono correndo col cuore in gola e il fiatone ed entrano timorosi di trovarci qualcun altro: è vuota. Si siedono uno accanto all'altro, ostentando sicurezza con una spavalderia poco credibile. La baracca ha un odore fortissimo di escrementi di animali e di fieno, perché è il riparo notturno delle mucche del nonno.
Stanno in silenzio per un po', poi, riprendendo fiato, Daniele chiede: "Quanto tempo sarà passato?". Come da regolamento non hanno con sé orologi.
"Forse dieci minuti" risponde Carlo, che non smette mai con i suoi calcoli.
Enrico, ha un timore che non riesce più a trattenere e chiede agli amici: "Voi ci credete alla storia del vecchio che aspetta i concorrenti all'arrivo? Dicono che sia una specie di mago, che legge, attraverso gli occhi, nel cuore di ognuno."
"Secondo me, è solo un modo per rendere la Grande discesa più interessante, hai presente la pubblicità" gli risponde Daniele.
"Anche per me è così - interviene Carlo, col tono da uomo di mondo - non ci lasceremo mica spaventare da queste sciocchezze?"
Il temporale nel frattempo è passato e appena i tre escono, vengono investiti da un'aria gelida che per un attimo li trattiene sull'uscio. Tutt'intorno ci sono prati d'un verde sbiadito e rocce che spuntano ovunque tre l'erba alta, mentre in cielo bianchi nuvoloni corrono veloci, spinti da venti irruenti. Più in là, non lontano, c'è il bosco, nel quale devono assolutamente entrare per proseguire la discesa.
Il terreno è irregolare, tutto un saliscendi che li sfinisce nel giro di poco tempo e Carlo, che è quello meno allenato, ha bisogno di fermarsi di tanto in tanto per prendere fiato. "Ragazzi - dice, rivolgendosi agli altri - ho fatto qualche calcolo. Se manteniamo una media di minimo 8 km all'ora, escludendo i tempi di recupero, riusciremo ad arrivare al traguardo in tempo e magari come vincitori".
"Cosa significa? Che dovremo correre come matti oppure prendercela con più calma?"
"Botte sei sempre il solito! Significa una via di mezzo fra le due possibilità. Vero?" Daniele si fidava di Carlo e della sua capacità di orientarsi, con la bussola e la cartina topografica.
Entrarono nel bosco, dove il terreno prendeva una lieve pendenza. I ragazzi iniziarono a scendere con una leggera corsa, lungo il sentiero largo e ben battuto. Arrivati in uno spiazzo si fermarono per prendere fiato, chinandosi in avanti e appoggiando le mani sulle ginocchia.
Trasalirono udendo il ringhio di un cane, alzarono gli occhi e si accorsero di essere circondati dal gruppo che li precedeva, prima del temporale.
"Forza piccoletti, fuori la cartina e la bussola!" A parlare era un ragazzo molto più grande di loro, che teneva al guinzaglio un pastore tedesco indemoniato, tanto abbaiava e ringhiava, strattonando con forza il freno. Il ragazzo non era del paese e neppure i suoi compagni: probabilmente erano giunti, fin lassù, solo per la Grande discesa.
A malincuore, i tre amici consegnarono la cartina.
"Abbiamo solo questa - intervenne bruscamente Enrico - la bussola mi è scivolata giù per una scarpata e non siamo riusciti a recuperarla".
Quei mascalzoni, visibilmente innervositi, strapparono dalle loro spalle gli zaini e riversarono il contenuto per terra.
Gli fecero vuotare tutte le tasche e, infine, convinti dell'ingenuità dei ragazzini, gli rubarono tutto e li lasciarono là, frastornati e increduli dell'agguato appena subito.
Carlo e Daniele rivolsero a Enrico uno sguardo stupito e stavano per coprirlo di improperi, quando lui, con naturalezza, estrasse dalle mutande il prezioso oggetto. "Bah che schifo - esclamarono gli altri due, contemporaneamente - ma come hai potuto infilarla lì dentro."
"L'ho letto su un fumetto, lo aveva fatto il protagonista, un vero duro, uno in gamba, e alla fine è riuscito a salvarsi proprio grazie a questa idea.
Va bene, lo ammetto fa un po' schifo, ma la terrò in mano solo io e poi, dovreste ringraziarmi, altrimenti come faremo ad uscire di qua?".
I più avvantaggiati, in quella impresa, erano gli iscritti in gruppo, come avevano potuto costatare i tre, a loro spese, perciò da quel momento sarebbero stati più accorti, facendo tesoro dell'esperienza vissuta.
Ripresero il tragitto nel bosco, quando Enrico si mise a urlare: "Fermi... fermatevi!!!" i due erano un po' più avanti e si girarono a osservarlo mentre annusava l'aria come un cane da caccia.
"Che c'è?" chiese Daniele.
"Non lo sentite questo profumo? Funghi... qui deve essere pieno di funghi porcini!"
Mentre gli altri lo imitavano odorando l'aria, Botte aveva già lasciato il sentiero e, come un cane da tartufo, controllava ogni centimetro del sottobosco.
"Venite qui... che meraviglia!!". Daniele e Carlo lo raggiunsero e chinatisi rimasero in contemplazione di due grossi funghi, cresciuti ai piedi di un abete.
"Questo significa che qui intorno ce ne sono altri - riprese Enrico, setacciando con lo sguardo attento tutt'intorno - che meraviglia - ripeteva a ogni fungo che trovava - ne raccogliamo un po', tanto gli zaini sono vuoti. Domani li regaliamo alle mamme
che ci faranno un risotto speciale, che ne dite?".
"Sì, e, vedendoli, ci faranno anche i complimenti" aggiunse Daniele, con un tono sarcastico.
Carlo richiamò gli amici, ricordandogli che fermarsi a raccoglier funghi, senza poter calcolare il tempo, sarebbe stato rischioso perché dieci minuti potevano diventare due ore, senza rendersene conto.
A malincuore lasciarono al sottobosco i suoi frutti e ripresero il sentiero. La fame cominciava a farsi sentire ed Enrico si lamentava sempre più insistentemente.
"Adesso sarà di certo mezzogiorno o l'una e il mio stomaco ha bisogno di cibo, dobbiamo procurarci qualcosa di commestibile"
"Ci sono more e lamponi fuori dal bosco, ma ci vorrà ancora un bel po' prima di trovare l'uscita. Ho una fame da lupo anch'io" aggiunse Carlo.
La discesa favoriva una andatura più veloce, ma le asperità del terreno la rendevano difficoltosa, così dovevano alternare tratti di corsa a improvvise fermate che causavano loro indolenzimento alle gambe ma soprattutto alle ginocchia.
Proseguirono in silenzio, la foresta era molto vasta, qua e là uno spiazzo tra gli alberi
permetteva di vedere il cielo. Solo allora si fermavano per farsi riscaldare dai raggi del sole, che toglievano loro un po' di umidità di dosso.
Il tempo non esisteva più, c'era solo il presente con la stanchezza e la fame. Il sentiero sembrava non avere fine e li prese il timore di essersi persi.
Carlo era il più mortificato dei tre, si sentiva in colpa, in fondo si era offerto di fare da guida e ora lo attanagliava il dubbio di aver frainteso i segni sulla cartina. Il sentiero era in quel tratto tutto un sali scendi e quell'ultima erta stava esaurendo le loro poche energie rimaste. Quando arrivarono in cima un senso di sollievo li pervase. Una luce intensa filtrava dagli alberi più lontani, segno che il percorso era quello giusto.
Uscirono affamatissimi dal bosco nel tardo pomeriggio, quando il cielo iniziava a tingersi di arancio e si trovarono di fronte un prato falciato da poco.
Un profumo di erba fresca riempì i loro nasi e li fece starnutire più volte. Non lontano, si sentivano i muggiti delle mucche al pascolo, accompagnati dal suono dei campanacci.
"Cibo - urlò Enrico - venite troveremo latte a volontà, io so come fare, il nonno me lo ha insegnato".
"Come? - chiesero gli altri un po' schifati - non ci è rimasta neppure una tazza!"
Enrico si avvicinò con cautela alle mucche, scelse quella più mansueta e intimò a Daniele e a Carlo di tenerla ferma.
La fame era troppo forte, così gli altri due seguirono le indicazioni di Botte, senza fiatare.
Lui cominciò a massaggiare le mammelle dell'animale e ben presto uno spruzzo di latte usci con un bel getto.
"Forza, fatevi sotto!"
"Come?"
"Al volo, dovete riempire la bocca al volo!".
Mentre bevevano avidamente il tiepido latte, rumori di passi li misero in allerta. Si trattava di altri concorrenti, che erano arrivati fin là, seguendo un diverso percorso. Camminavano spediti, chiacchierando e ridendo in allegria.
Alcuni si accorsero dei ragazzi e, vedendoli cosi giovani e da soli, li raggiunsero e gli chiesero come stava procedendo, fino a quel momento, la loro discesa.
Si indignarono della scorrettezza che avevano subito, estrassero dai propri zaini alcuni panini e glieli offrirono. Dopo di che li salutarono augurando loro buon proseguimento e raggiunsero i compagni, rimasti sul sentiero.
I ragazzi non si fermarono molto, solo il tempo di rifocillarsi e ripresero il cammino, in fila indiana. Carlo davanti, Enrico nel mezzo e Daniele dietro, continuarono anche quando si fece buio.
Non avevano più le torce, ma c'era Carlo, che conosceva molto bene le costellazioni.
Lui, con l'aiuto della bussola, che si guardava dal toccare, avrebbe trovato, ancora una volta, la direzione giusta.
Il vento aveva allontanato le nuvole del pomeriggio e il cielo era limpido, pieno di stelle e con una magnifica luna piena.
Erano rientrati nel bosco prima del buio e adesso faticavano a vedere dove mettevano i piedi. Dal fitto fogliame, degli alberi altissimi, filtrava qua e là la luce della luna, che li seguiva ad ogni passo.
Camminavano, storditi dal sonno, in silenzio, ascoltando gli scricchiolii di foglie e di rami secchi che calpestavano e il rumore dei loro scarponi, che echeggiava come tonfi, sul terreno. Faceva freddo adesso, molto freddo, gli avevano rubato anche i giacconi, così, tenevano le braccia conserte, nel tentativo di trattenere il proprio calore.
Carlo ad un certo punto si fermò. "Ragazzi io non ce la faccio più, devo assolutamente riposare."
"Dai Carlo, non possiamo fermarci proprio adesso. Alla partenza eravamo duecentocinquanta, ma sono convinto che un sacco di gente si è già ritirata. Soprattutto i cittadini vacanzieri, quelli che si erano iscritti pensando ad una passeggiata un po' insolita."
"E poi - aggiunse Enrico - non dimenticare il premio misterioso che spetta al vincitore. Secondo me sarà una bella moto, rossa fiammante! Che dici Daniele, per te cosa regaleranno?"
"Un bel nulla ci regaleranno, se continuiamo a chiacchierare e a frignare, io dico che si continua!"
Poi addolcendo il tono della voce aggiunse: "Ragazzi, è una bella sfida, io continuo.
All'arrivo ci aspetteranno delle belle legnate dai genitori, almeno usciamone con onore".
Si fissarono negli occhi tutti tre per qualche istante e, senza aggiungere altro, ripresero a camminare.
Animali notturni lanciavano i loro versi di richiamo, facendo una certa impressione,
là, in mezzo a quell'oscurità.
Carlo, che stava sempre davanti alla fila non si accorse di una pozza di fango e scivolò malamente a terra, lamentando un forte dolore alla caviglia destra.
"Cosa facciamo adesso? Non posso muovermi, mi fa troppo male".
Gli altri due gli prestarono soccorso con l'amara consapevolezza che la corsa era persa. Gli si sedettero accanto per tenerlo più caldo.
"Carlo - disse Daniele - secondo te quanto tempo manca al termine della gara?"
"Non saprei, forse altre 4 ore. Mi dispiace amici".
Enrico, nel frattempo, si era alzato e urlava a squarciagola: "Guardate laggiù, più avanti, sotto di noi, ci sono delle persone con le torce".
Continuò a gridare e a chiamare quella gente, finché le torce rivolsero il fascio di luce verso di loro.
Sentirono un vociare avvicinarsi sempre più e si trovarono di fronte le stesse persone che li avevano sfamati la sera prima.
"Ragazzi cosa vi è successo ancora? Non vi sembra di essere troppo piccoli per questo tipo di avventure?" chiese una donna del gruppo. Poi, udendo i lamenti di Carlo, comprese al volo.
Gli uomini costruirono, con rami e corda, una specie di seggiola, vi sistemarono Carlo e dissero ai ragazzi di seguirli.
Nessuno dei tre fiatò, si sentivano mortificati e degli incapaci, ma allo stesso tempo provavano tanta gratitudine per quei forestieri che gli avevano prestato soccorso.
Il gruppo avanzava molto lentamente e con estrema cautela per evitare altri incidenti. Il terreno era molto fangoso e pieno di insidie al buio.
Uscirono dal bosco che c'era ancora la luna ad illuminare il paesaggio, mentre il sentiero divenne più largo e agevole.
Quando raggiunsero la valle albeggiava e il paese dell'arrivo si vedeva in lontananza. Ogni tanto gli uomini si fermavano per riposare e darsi il cambio. Con la luce del sole si guardarono tutti in viso, gli uomini erano tre e due le donne e si erano prestate entrambe per il trasporto di Carlo, sulla rudimentale seggiola.
I ragazzini abbassarono la testa, vergognandosi ancora di più per il loro azzardo e continuando a camminare in silenzio.
Mano a mano che si avvicinavano al centro abitato, diventava sempre più nitida, innanzi a loro, una scena sconcertante.
Nella piazza del paese c'era un sacco di gente, uomini e donne, giovani e anziani, che si azzuffavano e se le davano di santa ragione.
Lungo la strada trovarono l'autoambulanza, pronta per le emergenze e i sanitari vi fecero salire Carlo, mentre Daniele ed Enrico proseguirono insieme ai loro soccorritori.
Alla prima persona che incontrarono sulla via, un vecchio che sembrava divertirsi un sacco guardando quella assurda scena, una delle donne chiese cosa stesse accadendo.
"Hanno tentato di rubare il premio!"
"Il premio misterioso della Grande discesa?"chiese Daniele.
"Sì, proprio quello, un bel maiale, che di più grossi non ne ho mai visti. Il porco è scappato e da una spinta di stizza e una parola un po' pesante è scoppiato il finimondo".
"Il premio era un maiale?" ripeté Enrico incredulo.
"E noi abbiamo fatto tutta questa fatica per un maiale? Daniele ti rendi conto?"
Mentre Botte continuava a lamentarsi, rosso di rabbia, Daniele si faceva sempre più pallido. "Che ti succede?" gli chiese l'amico.
"Ci sono anche mamma e papà."
"Che stanno litigando?"
"No, scemo, che stanno venendo da questa parte."
"Allora è proprio la fine" concluse Botte.
L'incontro fu una doccia fredda per i ragazzi, compreso Carlo, il quale, tutto sommato, se la cavò con una lieve distorsione, guaribile con un po' di riposo.
Per tutti tre, il ritorno significò una punizione coi fiocchi, come la chiamarono i loro genitori.
Furono costretti a un mese di coprifuoco, dalle sei del pomeriggio fino alle sette della mattina. Il resto della giornata lo trascorrevano a pulire la baracca delle mucche, del nonno di Enrico, e a esercitarsi nella mungitura manuale.
Il nonno si divertì un sacco in quel mese.
E ai ragazzi, la lezione sarà servita?
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