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New York City

Ufficialmente dodici milioni di abitanti. In realtà quattordici milioni. Questi gli abitanti di New York City. Eppure, mi sento completamente sola. Camminando su queste strade tanto agognate, alzando lo sguardo su questi grattacieli tanto sognati, respirando quest'aria così densi di odori, è così che mi sento. Sono nulla in tutto questo.

L'avevo sempre sognata questa città. Le passeggiate a Central Park, le luci inebrianti di Times Square, i panorami mozzafiato dai grattacieli, gli scorci dal ponte di Brooklyn, le gallerie d'arte a Soho, la musica nera di Harlem. Tutto questo ed altro sognavo: mano nella mano con lui. Ma era solo il mio film, con una sceneggiatura fantasiosa. Mai avrei creduto che questa splendida città avrebbe accolto la mia disperata fuga. Da lui.
Lui che mi ha ferita, nel corpo e nell'anima. Lui che mi ha fatto diventare piccola nelle mie insicurezze. Lui che ha tolto il sorriso dal mio volto.

Ieri ho preso il battello e sono andata a Liberty Island. Mi rivedevo negli occhi e mi ritrovavo negli umori di quelle persone che, tanti anni fa, solcavano quell'acqua che li avrebbe portati verso una nuova vita. Una vita fatta forse di difficoltà ma, più probabilmente, di libertà. Ho provato una sensazione strana, mai provata prima. Un senso di infinita tristezza ma anche di speranza. La grandezza di quella statua che mi sovra-stava mi incuteva un senso di impotenza ma, allo stesso tempo, sembrava volermi infondere calma, serenità, forza.

Ora, seduta a terra, sulla riva dell'East River a Brooklyn, con il vento che mi punge il viso, guardo in su e vedo quel ponte tanto immaginato, simbolo di questa meravigliosa città. Guardo oltre il fiume: vedo Manhattan con le sue torri di vetro, di cemento, di pietra. Guardo dentro me stessa: non vedo nulla; solo freddo, solo buio. Dio, qui sarebbe bello anche morire...

Mi alzo e mi sporgo sull'acqua; cerco la mia immagine riflessa. Le lacrime iniziano a scendere; alcune finiscono proprio dentro al fiume. Ecco New York City, ora hai una parte di me.

Domani sera un aereo mi riporterà a casa. È ora di tornare. Le ferite del corpo guariranno, quelle dell'anima no.

Guardo in alto. Chiudo forte gli occhi per non bruciarmi l'anima...

 

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2 commenti:

  • Noir Santiago il 19/08/2010 10:58
    Bello. Un sogno stravolto dal peso di uno stato d'animo infernale.
    Particolarmente suggestiva la carica emotiva del passaggio: "Ora, seduta a terra, sulla riva dell'East River a Brooklyn, con il vento che mi punge il viso, guardo in su e vedo quel ponte tanto immaginato, simbolo di questa meravigliosa città. Guardo oltre il fiume: vedo Manhattan con le sue torri di vetro, di cemento, di pietra. Guardo dentro me stessa: non vedo nulla; solo freddo, solo buio. Dio, qui sarebbe bello anche morire"...
    L'uomo tende a mitizzare i propri desideri, ma se quando riusciamo a realizarlo siamo alle prese con i nostri demoni privati, ci apparirà futile. Ancora complimenti.
  • Anonimo il 16/08/2010 13:53
    Cara Giuliana, vedendo che la tua composizione era ancora senza un commento, con piacere ho cliccato sul tuo titolo. Io non sono molto esperto e posso sbagliare, ma il tuo scritto mi ha lasciato perplesso sul cosa significhi un racconto anche del genere autobiografico come è il tuo. A me sembrano considerazioni messe giù in maniera corretta e leggibile dove traspare tanta sofferenza, ma che, dal mio modesto punto di vista, forse non ne fanno veramente un racconto anche per la brevità del complesso d'esse. A me sembrerebbero più materia per un testo poetico. Provaci e coraggio nel tuo sconforto.