racconti » Racconti fantastici » 82, Washington Road (Episodio 7)
82, Washington Road (Episodio 7)
Osservo me che scruta se stesso, il signor Leonard Haslam vicedirettore della filiale cittadina di una delle maggiori agenzie assicurative che si assicura di non avere qualcosa nel naso. Appaio così buffo a me stesso, intento a curare il mio aspetto come mai prima, quasi che sapessi di dover vivere il giorno della mia morte e volessi agghindarmi per la bara. Il me ignaro volta la testa da un lato, poi dall'altro, lasciando che lo specchio gli confermi che tutto è a posto, ma quello stesso specchio mostra a me lingue di fiamma che si protendono ad accarezzarlo e danzano d'aspettativa.
Ho perso il conto di quante volte ho rivisto la stessa scena, ormai ne anticipo ogni singolo frammento come in un lunghissimo deja-vù e sconto la mia pena eterna al margine della mia stessa vita. Dallo stereo suona "One last time" dei Dream Theather e James Labrie sottolinea l'insensatezza di questa tragica fine, ma Leon Haslam non lo nota, non capisce, non può.
Ma se solo potesse...
Senza bisogno di muovermi seguo me stesso che fa tacere la musica, indossa il giubbotto leggero ed esce di casa mormorando ancora la melodia ascoltata. Sul pianerottolo trova un quarto di dollaro e si convince che deve proprio essere il suo giorno fortunato, tanto più che il bello deve ancora venire. Sono tornato a stare con Leila, appena il giorno prima ci siamo rappacificati e lei stessa ha proposto di andare a lavoro insieme, a piedi, come ai vecchi tempi quando vivevamo nello stesso appartamento. Se avessi un corpo rabbrividirei ora che mi vedo entrare in ascensore pensando a lei, perché un ascensore sarà presto il luogo della sua morte, ma non posso saperlo, non posso ricordare una cosa simile perché non è ancora successa.
Ma se solo fosse possibile...
Sebbene non vi sia un vero e proprio tempo in questa dimensione perpetua posso intuirne lo scorrere grazie alla sequenza infinita che mi si ripropone, e di volta in volta qualcosa cambia, dentro di me, il me defunto, permettendomi di sporgermi un poco verso quel mondo ripetitivo, di sentirlo e in un certo senso toccarlo, tanto che comincio a pensare che forse potrei in qualche modo intervenire in esso e cambiare qualcosa, cambiare qualcosa e cambiare tutto.
Se solo potessi lasciare un segno, un messaggio al mio me stesso, un avvertimento. All'inizio ero solo spettatore e credevo di guardare una scena già vecchia, una sorta filmato in loop, poi è sopraggiunta la consapevolezza, un po' alla volta. So, per motivi che mi rimangono oscuri, che quel che vedo è reale e nella realtà accade, solo che quel preciso pezzo di spazio e tempo è stato sottratto al fiume degli eventi e si ripete sempre e sempre per mostrarsi a me. Pensavo fosse l'inferno, una fine senza fine, ma inizio ora a pensare che possa essere un'opportunità, una chance di salvezza. Credo di poter intervenire, con un po' di sforzo, ed avvertire me stesso, concedermi una possibilità per cambiare le cose in modo che non accadano di nuovo, e far si che Leila viva.
Eccola ad attendermi, nell'androne del palazzo, sorridente e bellissima in un raggio di sole. Le sorrido di rimando mentre la raggiungo e per un istante nessuno dei due sa bene cosa fare, poi ci baciamo. Ci vedo uscire ed incamminarci ed il cuore che non ho più accelera i battiti perché questo avvicina il momento del disastro. Sospesa sulla grata di una fogna, in bilico ed assai ingannevole, ecco la chiave che mi ha distrutto l'esistenza e liberato definitivamente quelle creature. Leila si china e la raccoglie, legge la targhetta di metallo placcato, simile a quelle delle chiavi d'albergo, e me la mostra. L'incisione dice Trigate Mall, 82, Washington Road.
<<Si sono persi una chiave>>, commenta il me ignaro. <<Tutto qui.>>
Leila riflette un attimo. <<Beh, dovremmo portargliela.>>
<<Ma che ci importa? Se qualcuno l'ha persa sono affari suoi.>>
Ma Leila insiste. C'è qualcosa nei suoi occhi, una sorta di necessità che si riflette anche nella maniera in cui stringe la chiave. <<Dobbiamo, Leon... Insomma, siamo o no dei buoni cittadini?>>
Il suo sorriso è disarmante e convincente. Un attimo dopo ci vedo camminare verso la fine e si rafforza in me la convinzione di dover intervenire, di fare adesso quel che non mi è riuscito prima, evitare di aprire la porta alla morte.
Il numero 82 di Washington Road è un cantiere dal quale sorgerà un centro commerciale, senza alcun segno particolare, uno come milioni. Nessuno vi lavora, è sospeso nel silenzio, in una zona con pochissime abitazioni e la Rockford Highschool troppo lontana per intaccare quella condizione. Nulla suggerirebbe di andare oltre, nessuna ragione consiglierebbe di usare la chiave per aprire il malandato cancello ed entrare. Eppure è quel che accade, quel che io e Leila facciamo, come attratti da una forza alla quale è impossibile resistere.
Ci vedo avanzare in silenzio ed entrare nell'edificio centrale, grezzo e senza porte. Non c'è nessuno.
<<Forse lavorano nel sotterraneo>>, azzarda Leila.
Io sono stordito e mi limito ad alzare le spalle ed annuire. Scendiamo così per una scala di fortuna e ci ritroviamo in un ambiente totalmente buio nel quale si staglia una luce gelida e tremolante. La raggiungiamo, in fondo a quello che sembra il futuro parcheggio per dipendenti, e scopriamo che proviene da un ascensore aperto. La cabina non è alloggiata in un pozzo, bensì emerge dal suolo come in un film di fantascienza e sul soffitto non vi è alcun foro, perciò è un ascensore che può soltanto scendere.
Vi entriamo, sempre più disorientati ed incapaci di formulare pensieri coerenti, in balia di una forza implacabile. Non c'è alcun pannello, nessun bottone, solo una toppa nella quale inserire una chiave, la stessa che apriva il cancello, la stessa che giaceva sulla grata della fogna. Leila la adopera, le porte si chiudono e la cabina comincia a scendere con un basso ronzio e scende a lungo, in profondità. Le porte si riaprono e lasciando l'ascensore ci addentriamo per i corridoi di un laboratorio abbandonato, illuminati dalla stessa luce fredda della cabina dell'ascensore. Sembra un mondo sospeso, abbandonato da un momento all'altro, con macchine che ancora borbottano in alcune stanze, alambicchi che tossiscono fumi colorati ed un fruscio avvolgente che proviene da un interfono lasciato aperto.
Questo è il momento in cui soffro maggiormente per la mia condizione, è la scena che mai vorrei rivedere, ma non ho palpebre da chiudere, non posso far altro che assistere. Una porta a scorrimento si apre non appena ci avviciniamo, rivelando una sala dall'aspetto sterile, fastidiosa nel suo candore, che ospita due file di computer su lunghe scrivanie ai lati ed in fondo un oggetto ovaleggiante del tutto simile ad uno specchio, solo fatto di un misterioso materiale metallico che pur rilucendo non riflette alcunché.
Su tutti gli schermi attende paziente un pop-up che richiede una scelta: Proseguire? No, sarebbe la risposta saggia, ma ciò che influenza me e Leila vuole che la risposta sia si, che si prosegua in ciò che era rimasto in sospeso.
<<Voglio vedere cosa c'è>>, sussurra Leila.
<<Anch'io.>>
E in parte, anche al di là di ciò che ci opprime le menti, è vero. Il fascino emanato dall'oggetto in fondo alla sala è forte, la sensazione di trovarsi sull'orlo dell'ignoto solletica l'incoscienza. Ho paura, lo so, lo ricordo bene, ma ciò non mi fermerà. Ecco che poggiamo le mani, l'una sull'altra, sul mouse e clicchiamo insieme sulla risposta sbagliata, aprendo la porta all'inferno. È questione di secondi, l'oggetto misterioso vibra e manda un'esplosione di luce, poi diventa nero e da esso si protendono lingue di fiamma ed artigli e zanne. Io e Leila corriamo, fuggiamo via atterriti, ma le cose ci inseguono per i corridoi e non si fermano davanti a nulla, fatte di pura rabbia, frutti di incorporeo male. L'ascensore non ci salva, le cose salgono con noi, intorno a noi, attraverso il suolo e si divertono a mettere paura. Quando l'ascensore si apre mi lancio all'esterno prendendo per mano Leila, ma la sue dita mi sfuggono. L'hanno presa, la divorano ed io, dal mio tempo sospeso e ripetitivo, devo assistere ancora ed ancora alla morte del mio amore.
Se solo potessi cambiare qualcosa...
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Ah, la manina del voto è assai infida!!
Grazie per i complimenti e mi fa piacere che sia arrivato fin qui a leggere, deve esserci qualcosa di interessante allora!! Credo che non avrai difficoltà a metterti in pari, non scriverò la parte successiva prima di un pò, c'è un'altra piccola serie in ballo che dovrebbe trovare posto su questo sito fra qualche giorno!!
A presto!!
- Ps. sono riuscito a metterti 5 stelle, strano!!!
E poi due erano veramente troppo poche!
- Con calma mi sto "quasi" riportando alla pari... posso ripetere il finale del commento di Robi... Bravo, come al solito!! Sì, poi per il resto tralascio i vari dettagli relativi a Lost
Mi è piaciuto molto anche questo, niente da dire!!
- Ahahah! Sì beh... immagino che "82, Washington Road" c'entri poco con "Lost"; però davvero, leggendo questo episodio mi è proprio sembrato di vedere il caro Desmond!
Namaste.
- Beh, se ci mettiamo a citare nome dell'episodio e relativa stagione ha ragionissima!!!
... però lo stile è giusto, anch'io mentre lo scrivevo mi sono sentito un po' Lindelof, a pensare cosa si potrebbe costruire su certe novità venute fuori ed illuminarmi quando rileggendolo ho scoperto quale potrebbe essere il finale, nel senso proprio dell'ultima scena dell'ultimo episodio, tutto a partire da una frase detta da Haslam!!!!
Sia lode a Lost in eterno!!!
Ah, poi si, ovviamente grazie, ma rispetto a Lost è tutto un po' secondario.
- Oh, mi sono immaginata l'intero episodio in stile Desmond (Déjà vu - Terza stagione).
Ahahah! Ormai è ovunque. Mi sa che mia sorella ha ragione: dobbiamo disintossicarci da "Lost"! (mai e poi mai)!
Bravo, come al solito.
- Benvenuta, dunque, mi auguro che possa sentirti fra i tuoi simili, gente che scrive e che ama leggere.
- Hai ragione! Mi leggerò anche i capitoli precedenti e successivi. Sono arrivata ieri su queste pagine e forse devo ancora ambientarmi un po'
La storia è coinvolgente, non farò alcuna fatica
Figurati non ringraziarmi per i consigli, sono tuttaltro che un'esperta ma essendo famelica di opinioni spassionate tendo a darne parecchie..
Ciao e alla prossima
- Ehm... beh, si, hai ragione, e condivido la questione dell'essere prolissi, ma questo è un episodio di una serie piuttosto lunga che, credici o meno, è DECISAMENTE diretta, un susseguirsi di fatti quasi senza riflessione alcuna, in stile televisivo. Nel suo contesto specifico rappresenta un momento volutamente "fumoso", una scena dai contorni sfrangiati, onirica, e la condizione del protagonista non è affatto metaforica, fidati. Insomma, grazie davvero del consiglio in senso generico, essendo sempre valido, però mi sa che leggere un racconto che dice "episodio 7" sia come leggere un romanzo da una pagina a caso, ti priva degli elementi per codificare quanto leggi, della base. Però, ripeto, grazie, metto in tasca il consiglio e lo conservo. Ciao!!
- Bello spunto.
L'idea è quella dell'uomo alle prese con una vita che gli sfugge di mano e lo trascina come un fiume in piena.
Ti consiglio di usare magari uno stile un po' + scarno, più diretto, e di fare attenzione ai giochi di parole (in cui spesso ci si perde).
Te lo dice una che per non essere prolissa spesso deve farsi violenza
Ciao!
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0