Mangiare. Nutrirsi.
Assaporare il cibo dal profondo.
Provare godimento a introdurre in bocca qualcosa di gustoso.
No, niente di tutto questo.
L'ora fatidica del pranzo o della cena è stata per me un supplizio da sempre.
Sorvegliata a vista dal fratello maggiore, costretta a tenere gli avambracci posati sul tavolo alla distanza di trenta centimetri l'uno dall'altro( così parlava il bon-ton, da notare che non sono né nobile né ricca!), mai i gomiti appoggiati e costretta a non aprire bocca né mangiando e nemmeno quando nessun boccone si poneva come ostacolo alla parola.
I grandi, fratelli e adulti dovevano ascoltare le notizie del giornale radio.
L'unica volta che mi sono permessa di avvertire mia madre che sul fuoco il cibo stava bruciando sono riuscita con una mossa fulminea a schivare una patata lessa bollente lanciata direttamente sulla mia faccia. La stessa si è spiaccicata sul muro e vi assicuro che non è stata certo una scena da bon-ton vedere la massa giallognola scendere come un acquerello sulla parete verde della cucina.
Il commento non era gradito né permesso nemmeno al mio cervello. Lo sguardo di mio fratello era eloquente : Zitta!
Rimasta sola con mia madre vivevo un po' più serena le ore tredici anche se i divieti ricevuti da bambina mi ronzavano ancora nelle orecchie. Un altro rumore era subentrato nel frattempo.
Era il 1956 e finalmente il televisore aveva fatto il suo ingresso nella nostra casa. Era stato collocato in salotto e quindi per me era un evento quando rientrate tardi la sera mi era concesso portare la cena sul vassoio e mangiare seduta sul divano a guardare la trasmissione preferita.
E anche in quei frangenti niente dialogo...
Da sposata speravo di conversare con mio marito e mio figlio nell'unico momento che ci vedeva uniti.
E invece, no!
C'era lei, di nuovo lei, la voce estranea che usciva dalla scatola grigia prevaricando ogni desiderio di resoconto della giornata di lavoro o di scuola.
Mio figlio commentava nel tema " La mia famiglia all'ora di pranzo":
- Mentre mangiamo mio padre ascolta il telegiornale, io leggo i fumetti e mia madre tenta invano di parlare con qualcuno ma davanti a sé trova una parete antirumore e sconsolata, come i pazzi, parla da sola.
Sono trascorsi gli anni ma la presenza di quella voce metallica si interpone sempre tra il boccone, il desiderio di conversare e la negazione all'ascolto di una voce umana viva che esce solo per volatilizzarsi nel vuoto.
- Mi ascolti? , Qualcuno mi sente?- chiedo ai mie compagni commensali.
Nessuna risposta, se non la voce della bella signorina che parla di continuo e ogni giorno della stessa persona e delle sue esternazioni che provocano l'ira del mio dirimpettaio tramutandolo in una pianta grassa piena di spine.
Vorrei avere il coraggio di alzarmi da tavola e andare in un'altra stanza a pensare solo al cibo che sto ingoiando.
Ma sarebbe più saggio prendere la scatola grigia, staccare il filo e gettarla, con mia somma soddisfazione, dal secondo piano del mio palazzo vedendola spiaccicata a terra...
P. S.
Poi di sicuro andrei subito a comprarne un'altra perché, purtroppo anch'io non so farne a meno, tranne all'ora dei pasti!