racconti » Racconti brevi » Una visita inattesa
Una visita inattesa
Un giorno d'estate di vari anni fa Toby, questo cagnolino, iniziò a star male: le zampette non lo reggevano più, faticava a respirare. Una lastra svelò la causa: gli organi interni erano cosparsi di micro tumori, in particolar modo i polmoni e l'intestino. Il veterinario prescrisse delle pastiglie che avrebbero dovuto inibire lo stato di debolezza, e lo fece (sue sacrosante parole) non per dare speranza di vita all'animale ma per dare tempo ai miei genitori di digerire l'idea di sopprimerlo ben presto.
Ci aspettavamo dunque una prospettiva di vita non certo lunga ma quantomeno accettabile: giorni, settimane, forse chissà... magari un annetto e anche più, col possibile ritorno delle forze tutto sembrava possibile.
Non ci aspettavamo certo il collasso che avvenne di lì a due giorni: la povera bestiola iniziò a guaire sommessamente, non riusciva nemmeno a fare pipì. Morì naturalmente in poche ore e nel pieno della notte, accanto al letto di mia madre, dopo aver preteso la luce accesa e la vicinanza di lei a suon di guaiti.
Venni a saperlo il mattino dopo, alloggiata in un hotel al Brennero in attesa di partire per l'Austria. Fu un grande sollievo: il giorno prima in treno e in albergo non avevo fatto altro che piangere o sforzarmi di trattenermi dal farlo, e quando ci riuscivo era solo grazie al grande potere consolatorio del mio compagno e delle sue dolci e comprensive parole, questo perché non tolleravo l'idea che una così innocente creatura, la quale aveva accompagnato e reso più sopportabile la mia permanenza nella casa materna, dovesse soffrire tanto.
Il sollievo presto si tramutò in silenzio, il silenzio in rancore, il rancore in disperazione: mai più avrei rivisto le zampotte focate con le unghie nero pece, mai più quella coda troppo lunga avrebbe svettato per la casa con la sua forma a punto di domanda, e quelle orecchie morbide e vellutate erano ormai consegnate al freddo della terra... di lui mi tornò tutto: quando appena sistemato da noi si sdraiava ai piedi del mio letto (con grave disappunto di mia madre e inutili tentativi di farlo desistere), le passeggiate nei boschi, io che leggevo o scrivevo con lui accanto, le parole del veterinario ''questo cagnolino è l'immagine della salute'', così variate nel tempo.. ero ad Innsbruck e non riuscivo a vedere nulla, i monumenti, le montagne, i negozi mi passavano accanto come grigie vetrine. Me ne stavo in albergo tentando di leggere, con gli occhi pieni di lacrime.
Fu la mattina dopo che accadde qualcosa di strano: scrivevo al computer e Massimiliano, il mio compagno, studiava per il suo esame di abilitazione alla lingua tedesca. Cercavo di concentrarmi su una sorta di raccontino patetico e noioso che mi pareva un'opera fantascientifica d'alto spessore artistico e intellettuale (dovete sapere che diventare story teller è sempre stato il mio sogno e la mia ambizione, a dispetto del mio stile pedante e dei contenuti noiosi dei miei racconti).
Insomma ero lì che battevo sui tasti a tutto spiano e Max se ne stava tranquillo sul letto a prepararsi alla ennesima delusione di un attestato accademico conquistato con sangue e onore che non avrebbe portato a nessun risultato. La pioggia cadeva fuori dalla finestra spalancata e ancora insufficiente a rinfrescare il clima domestico di quella stanza troppo polverosa e da troppo tempo chiusa, spoglia di tutto fuor che di un letto e un piccolo armadio. Era piena mattina, circa le 10. 30, e mai ci saremmo aspettati quel che accadde di li a poco.
Ed ecco quel che successe: la luce si spegne. Proprio così: si spegne, come alla grande lampada solare quando salta la plafoniera. Mi sento nel panico totale, penso a qualcosa, la fine del mondo, l'esplosione del globo solare prevista nei 12 millenni successivi e anticipata forse, chissà, dalla quantità di polveri sottili fuoriuscite negli ultimi due giorni dalla nostra non lindissima stanza. Sento la voce di Max come arrivare da un altro pianeta:
''Cicci, cicci! Si è spento il sole!!'', ''Mah, che vuoi che ti dica, si sarà stufato anche lui di lavorare gratis!!''. Due secondi e siamo rifugiati uno accanto all'altra sul letto, immersi nelle tenebre. La cosa più inquietanti è che col buio tutto precipita in un silenzio come di morte: il chiacchiericcio che viene dalle case di fronte, il rumore dei piatti nella cucina dell'albergo, le auto e i tram sembrano stoppati da un immenso tasto ''OFF''. Tremiamo, aspettiamo, piango di paura e sento il suo cuore: batte a martello contro la mia guancia. Spero solo che, cogliendoci così, il giudizio universale non ci separi né durante ne dopo.
Siamo in quelle condizioni quando una sottile luce si insinua sotto la porta: quel colore, quel la consistenza, non saprei definirli, diciamo come liquidi, e man mano si avvicina e rischiara i contorni del bagno, del letto, il tavolino all'angolo.
Siamo sconvolti dal terrore: ci rannicchiamo sui cuscini per evitare che quella luce ci tocchi, come due galeotti in fuga da Alcatraz. In breve la luce si versa fino ai più estremi contorni di tutta la stanza, noi compresi, soprammobili in carne ed ossa di fronte all'enormità degli eventi.
La maniglia della porta si abbassa. Sicuramente il momento peggiore: aspetto che di fronte a noi compaia la maschera della Morte nel suo classico costume ossuto e incappucciato, Max invece sussurra qualcosa come ''È l'Arcangelo Gabriele che viene ad annunciarci l'arrivo della fine'', idea che non mi convince perché l'Arcangelo Gabriele che annuncia la fine del mondo porta a porta non ce lo vedo, magari vestito coi pantaloni a coste e ''Svegliatevi!' sotto il braccio.
Certo sarebbe stato più verosimile di quello che in realtà accadde.
La porta si aprì piano piano, la luce ci investì in pieno ma era lieve e non dolorosa agli occhi. Una zampa gialla unghiuta di nero fece capolino dallo stipite appena sotto la maniglia.
''Permesso?''. Era Toby, in posizione eretta, con tanto di valigetta, soprabito in lana cotta e cappellino in feltro. Aveva un'aria tranquilla, sapeva di essere sempre ben accetto da me ma si vedeva che aveva paura di disturbare.
''Tobia.. sei tu.. sei venuto a prendere anche me?'' dissi. E, dico la verità, l'idea di riunirmi al mio cagnolino per l'eternità come nei nostri anni migliori per un attimo superò la paura. Sia chiaro, ero strafelice di rivederlo, ma il contesto voi capite non era dei più consueti e questo inquietava un po'.
''Ma che dici?? Io sono vecchio, vetusto, 15 anni per un cane vanno più che bene e francamente mi ero rotto degli acciacchi dell'età, per cui me ne vado volentieri. Tu a 29 anni dove vuoi andare? Avresti accettato la mia morte a cinque o sei anni, quando ancora mangiavo come un bue e dovevi sudare per recuperarmi quando sentivo odore di cagnolina o correvo a litigare coi cani dietro il cancello del panettiere?? Fammi il favore, non dire cazzate''. Si interruppe, frugando la tasca destra del cappotto e traendone sigarette e accendino. Con tutta calma se ne accese una, coprendo l'accendino con la zampotta e inclinando la testa da un lato (la porta aperta lasciava passare un po' di corrente). L'aroma del tabacco riempì la stanza. Max mi guardò e sussurrò :''Diana rosse. Fuma forte il piccolino, ecco perché tutti quei tumori al polmone''. Annuii con discrezione, per non turbare la sensibilità dell'ospite.
Tirò una bella boccata e sbuffò il fumo con gusto, lasciandolo fuoriuscire dal tartufo. ''Sono venuto a salutarti - proseguì - e mannaggia a te, proprio adesso dovevi venirtene a tanti chilometri da casa! Quanta strada mi hai fatto fare! Fa niente: sono venuto a dirti che ti voglio bene, e non piangere per me: non soffro e non mi lamento, sono pronto alla nuova vita che mi aspetta (spero di concludere buoni affari con qualche cagnolina adesso che ho di nuovo i miei testicoli apposto, come vedi la castrazione non è retroattiva nell'aldilà.. eh eh..), e ci rivedremo, piccola, stai sicura. E tranquilla che il tuo Toby ti aspetta. Adesso vado, non posso fare troppo tardi, San Pietro è uno che si incazza facilmente'' - ''Del resto - dissi - se tardassimo tutti, pensa che casino avrebbe ai cancelli.. ma se lui ti manda via, puoi restare qui con noi!'' guardai Max, che dava il suo assenso sorridendo cogli occhi. Toby sorrise, rivelando zanne smaglianti e occhi scintillanti ''No baby, devo proprio andare. Stammi bene, io dall'alto un occhio te lo do e tu - rivolto a Max - fai il resto: so che con te è in buone mani. Ciao, a presto!''.
La porta si richiude alle sue spalle. La luce del sole, i rumori del ristorante, delle auto e le voci dalle case di fronte tornano all'istante. Io e Max ci guardiamo sorridenti, nemmeno poi stupiti. Ci affacciamo alla finestra, abbracciati stretti.''Sai - mi disse Max, dopo un lungo silenzio - quando ha detto ''A presto, comunque, una toccatina me la sono data''. Colle lacrime agli occhi, gliene do una anch'io.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati