Vagando in quel luogo che gli umani definiscono buio, ho incontrato l'anima mia sopita tra i ricordi di ricordi. L'ho osservata mentre giaceva ad occhi chiusi, nascondendo quel rosso cremisi strappato dal dolore del passato. Avevo bisogno di percepire l'aria, assente in quel fulcro di lacrime, ospite della mia mente arida. Avrei cercato di tormentare le basi dell'amore se solo avessi saputo di cosa si trattava. Ne chiesi conoscenza a quella figura tanto nitida quanto fantomatica che mi si poneva allo sguardo. Non rispose subito, aspettò che mi sedessi su quel buio trafficato di emozioni morte. Mi guardò, finalmente mostrando quel rosso, finalmente dando segni di vita. Mi disse cose che non potrei reclamare come mie, mi descrisse la follia che può scatenare un primo bacio. Mi rese partecipe dell'esplosione che procura una parola sussurrata, io non capivo. Mi sembrava tutto così folle, più ridicolo di quel luogo tanto familiare. Tremante vidi la creatura mia inarcare la schiena, come se volesse ospitare qualche ricordo in più, qualcosa che non poteva appartenermi. Cercai di uscire, di capire la fine e di dividerla dall'inizio. Oltrepassai porte di fumo, arrancando come fossi cieca in quella totale assenza di luce, di suono, di turbamento, di freddo o di caldo. Mi chiesi se ci fosse qualcosa che avrebbe aiutato la creatura a farla rialzare, mi posi i quesiti essenziali per capire. Mentii alle mani quando toccarono materia, non volevo far loro credere che ci fosse speranza. Derubai i secondi di suono, lo schioccare o il frusciare dei miei passi furono attutiti da lacrime bollenti. Capii che avrei avuto bisogno di qualcuno, di un umano, di una creatura che non fosse la mia anima. Chiamai ad alta voce, invocai una presenza che speravo mi potesse sentire ed accettare. La luce non venne, ma un soffio caldo investì le mie membra. Udii un violino, od un flauto, non ricordo quale fosse la sua provenienza e la sua natura. Deturpazioni passate fuggirono atterrite a quella nuova soluzione, quel nuovo modo di sorridere. La presenza si fece spirito, poi carne, poi sguardo. Mi prese le mani, consce del fatto che non potevo più ingannarle. Mi sussurrò cose che reclamai mie, mi descrisse dolcezze che io potevo capire. Non importava quanto il dolore avesse fatto strada nel mio animo, che ora si alzava da quel buio. Non importava se il cremisi dei suoi occhi avesse bruciato le emozioni: stavano tornando vive. E la follia del primo bacio scoppiò come detonazione vivente, sconfiggendo quel fulcro di lacrime che era stata la mia mente. Lo ringraziai. Egli ricambiò, avendolo io salvato dalla non esistenza.