Avete mai assunto farmaci che "inducono al suicidio"? Non lo dico io, è ciò che è scritto sul foglietto informativo. Lo scrivono lì, così se per caso, mentre scrollate le briciole dalla tovaglia fuori dal vostro balcone, vi sporgete e vi viene da pensare: "Però, se mi buttassi da quassù, quanti metri saranno? Una ventina... cazzo che bello, morirei sul colpo!", la colpa non sarebbe della casa farmaceutica, o dello psichiatra che vi ha prescritto quelle pilloline rosa, ma vostra. Cazzo, c'era scritto sul foglietto informativo! Non l'avete letto? E allora? Che colpa ne ha, la povera casa farmaceutica della vostra morte? Lei lo ha scritto. E voi sapete leggere. Quindi...
Sembrava Elise.
Si sedette sulla panchina di fronte alla sua ai Giardini Margherita. Era vestita di bianco e assorta nella lettura di un quotidiano. L'ombrellino che la riparava dal sole non gli nascondeva la visione dei pizzi lavorati a mano dai quali era coperta dal colletto alle caviglie sottili. Pareva uscita da "una domenica pomeriggio" di Seurat. Da lei lo dividevano pochi metri di terriccio e ghiaia che rompevano il verde del prato che li circondava, formando binari immaginari sui quali il trenino con a bordo i bambini festanti per il carnevale era da poco passato. Era rimasta indifferente al rumore dei cingoli elettrici e ai motteggi gioiosi dei ragazzini, sorda allo screpitio d'ali impaurite dei piccioni ora persi nel cielo. Se ne stava lì, immobile, fissando il suo giornale come unica realtà degna di nota in un mondo silenzioso e annoiante.
Capelli lisci lungo il volto, occhiali a goccia su un naso sottile, avrebbe voluto alzarsi Alessio, stiracchiarsi alla meglio quel completo bianco un po' sopra le righe ed avventurarsi verso di lei per conversare sulla pregevolezza di un meriggio sgombro da nuvole come da molti giorni non si vedeva, ma il pensiero di poterla irretire per il disturbo di un lettura troncata, era abbastanza per rimandare l'approccio al dopo. Bellissimo, come sempre, Alessio poggiava il mento pizzettato sulla custodia della Les Paul Custom del '77 fissando con compiacenza la compostezza nirvanica di quell'essere lieto. Aveva una storia quella chitarra. Anzi, una vera e propria leggenda l'accompagnava. La volete sapere? No? Fanculo, ve la racconto lo stesso.