Maro Kassani si stupì dell'odore del proprio alito quando aprì la bocca per la prima volta nella giornata, dopo aver provato tanto astio e disgusto.
«Ha il sapore della colpa» pensò, «come merda di cane», fu il suo ultimo commento.
Alle cinque esatte, quando il nero notturno di Salonicco si imbianca del pallore dell'alba, dando vita in controluce al mare di case dietro il quartiere Turco, il pittore di nudi Kassani, era stato sbattuto giù dal suo letto alabastrino a due piazze, già da una ventina di minuti.
Aveva rimosso dal corridoio alcune tele da terminare per il pomeriggio, ammassandole frettolosamente sopra l'armadio del soggiorno, e ora sedeva, ancora in pigiama, sulla sedia in legno d'acero del cucinotto.
Ripensava a quella telefonata nel cuore della notte, mentre le narici gli si allargavano spontaneamente seguendo l'aroma del buon caffè che gli aveva portato la sera prima Vasilissa la sua donna di servizio a ore. Aspettando il fischio della teiera, girava e rigirava tra le mani la sua scacciacani in acciaio cromato, ora accarezzando la stella a quattro punte intagliata sul calcio di madreperla, ora fantasticando attorno a trame delittuose con vago sfondo sessuale.
Non gli ci volle molto per scoprire d'essere terrorizzato, quando, impugnata la scatola delle pallottole, queste gli presero a saltellare tra le dita tremanti, tanto che non riuscì ad incastrarne nemmeno una nel tamburo della pistola. Una lacrima di acro sudore gli aveva percorso per lungo la fronte, alcuni attimi dopo, quando aveva riposto l'arma sul tavolo, vicino al buon Samos della Tessaglia.
Certo, il suo ultimo quadro poteva dirsi ambiguo, l'ambiguità e la provocazioni erono le sue armi migliori m aproprio non capiva come il cugino Rico avesse potuto prendere un granchio simile: riconoscere nella tela, in mezzo al groviglio di gambe e seni nudi di femmine, la fisionomia della bella vedova Nidrìa, abbracciata a un satiro dal volto umano e dal corpo di capro tinto in oro acrilico... che assurdità!
Alla Mostra d'Arte Contemporanea, allestita proprio quel sabato, nella sala conferenze dell'Hotel Olympios in Platia Aristotéiou, il caro cugino era andato in escandescenze di fronte a quella che gli era parsa la raffigurazione della sposa promessa tra le braccia di un altro uomo. Era pronto a giurare che il viso del satiro nascondesse i lineamenti di Kassani, l'uomo che, come si era messo a sbraitare, non avrebbe mai partecipato a mostre d'arte in tutta la Grecia, senza la sua influenza.
Eppure Maro non aveva mai praticato orgie con la donna del figlio del fratello del suo defunto padre, se questa era stata la non troppo velata insinuazione della giornata. Solo quella volta nell'isola di pescatori di spugne di Kálimnos, aveva giaciuto con due sorelle in un frutteto, ma da allora, ogni volta che pensava all'amore, ricordava l'aroma dell'albero di mandarino e non riusciva più a vivere il sesso come esclusivo godimento fisico.
Questo aveva detto, tra le altre cose, a Rico Dessìmi, sottosegretario alla direzione degli Affari Culturali del paese, uomo di indubbia intelligenza, amante del buon baklavà e della retsina, che pure aveva mostrato tutti i nervi del collo mentre inveiva contro il pittore di nudi. Che cosa insolita vedere quell'ometto stempiato, avezzo al galateo e alla lettura dell'Anabasi, rendersi ridicolo agli occhi dei presenti ora bestemmiando, ora sputando sulla tela incriminata.