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La ragazza di Kabul
Si può essere più felici di me?
Presto il giorno sconfiggerà questa notte, come noi, che col nostro amore abbatteremo la stupidità dei nostri padri.
Ma dove sei? Hai deciso di non venire?
Al solo pensiero il mio cuore protesta. Devi venire!
Un raggio di sole colpisce i miei occhi, riportandomi alla mente il nostro incontro nel polveroso mercato di Kabul. Io camminavo con mia madre, cercando di vedere oltre il burqa per non sbattere contro le bancarelle.
Da quando mio padre è morto e lo zio si è appropriato di tutti i nostri beni, per mangiare siamo costrette a chiedere la carità al mercato, ma è rischioso perché alle donne è proibito.
Quante volte siamo state picchiate con le canne dai talebani? Neppure lo ricordo più, ci picchiano sempre.
Vorrei tanto poter camminare per strada senza preoccuparmi costantemente per la mia vita, senza il peso opprimente del burqa, ma qui il destino di una donna è questo.
Ogni volta che mia madre allunga la mano e dice "Vi prego, fate la carità." Sento dentro una vergogna logorante. Perché tutto ciò? Non siamo come tutti gli altri?
Nascere donne dalle mie parti vuol dire essere inferiore, ma per me non sarà più così. Ora ci sei tu.
La prima volta che ti vidi, un uomo stava mangiando un tozzo di pane e dopo averlo addentato due volte, lo gettò a terra.
Io non mangiavo da due giorni, così mi affrettai a raccoglierlo.
<<Come osi!>> Aveva urlato lui alzando un bastone per picchiarmi.
Ho portato istintivamente le mani davanti al viso, aspettando il dolore che non è mai arrivato e caddi indietro.
<<Può bastare così.>> Aveva detto qualcuno trattenendogli il braccio.
Quello avrebbe senz'altro voluto picchiare anche te, ma sei un uomo, un suo pari, quindi si era limitato a borbottare <<Screanzato.>>
Mi sorridesti con aria serena, come se tutto fosse come doveva essere ed io ho dimenticato la paura.
<<Mi chiamo Talal.>> Mi dicesti porgendomi la mano, <<Ti aiuto ad alzarti.>>
"No! Non posso toccare un uomo che non conosco." Pensai, mentre scuotendo la testa, cercavo di farti capire che davvero non potevo.
<<So che hai paura, ma sta' tranquilla, penso io a te.>>
Il nodo in gola che m'impediva di respirare si dissolse ed io cercavo di capire se tu fossi un uomo o un angelo.
<<Come ti chiami?>>
"Parvana." Avrei voluto rispondere, ma dalla mia bocca è uscito solo un sussurro.
Provavo a distogliere lo sguardo dai tuoi occhi neri, ma non ci riuscivo, così ho allungato la mano verso quella che mi porgevi e delicatamente ero di nuovo in piedi.
La tua mano, forte e calda, mi appariva come un qualcosa rassicurante.
<<Tremi. Non devi.>> Ancora quella melodia calmava il mio terrore.
Stavo quasi per dimenticarmi cosa facessi lì, ma il mio stomaco intervenne per ricordarmelo.
<<Certo, hai fame!>> Esclamasti come chi ha scoperto un importante segreto. <<Aspetta qui, torno subito.>>
Mentre ti allontanavi, mi domandavo cosa fare. Forse non era saggio aspettarti. Se avessimo attirato l'attenzione?
Dovevo andarmene, ma non riuscivo a muovermi, le gambe non mi davano retta.
<<Ecco, prendi.>> Dicesti prima di farmi scivolare fra le mie mani due sacchetti. <<Sono datteri e fichi.>>
Tutta la scena mi pareva irreale. Qualcuno mi trattava come un essere umano, con gentilezza.
Qualcosa di caldo cominciò a scendermi lungo le guancie. "Grazie" avrei voluto dire abbracciandoti, ma non potevo.
<<Solo il tuo nome, non chiedo altro.>>
<<Parvana.>> Ho sussurrato prima di fuggire.
<<Mamma, guarda>> Dissi orgogliosa mostrandole i sacchetti.
<<Dove li hai trovati?>>
<<Un mercante, li gettava via.>>
Finalmente avremmo mangiato qualcosa dopo due giorni.
A casa, mio zio ci aveva urlato di sparire perché aveva ospiti, ma neppure lui era riuscito a mettermi di cattivo umore. Me ne andai in camera con un nome in testa, Talal.
Assorta nei miei pensieri, ho sentito qualcosa, un rumore.
<<Parvana?>> Chiamava piano qualcuno.
Eri tu, sotto la mia finestra.
<<Non puoi stare qui!>> Dissi prendendo il coraggio a quattro mani.
La tua risposta fu un sorriso.
Che stupida, mi ero affacciata senza velo. Se qualcuno mi avesse vista, mi avrebbe uccisa.
Da allora sei tornato tutte le sere e pur di vederti, ho cominciato a mettere i vestiti di mio fratello morto in guerra, così mi avrebbero scambiato per un ragazzo.
Ogni volta che vestita così passo vicino a qualcuno, sento il cuore scoppiare per la paura.
Da quel giorni ci ritroviamo qui, su questa collina e tu mi parli dei tuoi viaggi, dell'America, dell'Italia, dove le donne sono trattate con dignità.
<<Ti porterò là, avremo una casa nostra e ci terremo per mano.>> Dici.
Ti ascolto e sogno. Mi vedo per le strade mano nella mano con te, come fanno tutti i ragazzi di diciassette anni, ma stasera deve essere successo qualcosa. È meglio che torni a casa.
Chissà perché non sei venuto. Mi manchi già, ormai se non ti vedo sto male.
Mi sento delusa e stanca, è l'alba e non ho dormito, ma devo andare al mercato.
Un gruppo di persone mi vengono incontro, abbasso lo sguardo e gli passo accanto.
D'improvviso qualcuno urla.
Sento un dolore forte sotto l'occhio, polvere, sono a terra.
L'uomo che ha urlato mi colpisce ancora. Sono stata scoperta.
Dice qualcosa a quelli che sono con lui e subito si leva un grido, tutti cominciano a colpirmi, a sputarmi.
<<Alzati, puttana!>> Mi intima qualcuno sollevandomi per un gomito.
Mi fanno male, mi fa male tutto. I capelli, qualcuno li afferra e li strattona con tale forza che temo mi strappi lo scalpo.
<<Perché mi picchiate?>> Cos'ho fatto?
La mia domanda li fa arrabbiare ancora di più e arrivano alti pugni. Caldo, sento caldo sulla pelle, sanguino.
Mi spingono da dietro, perdo l'equilibrio e finisco a terra, contro i sassi, la mia pelle si apre.
Resto giù. <<Basta!>> imploro, ma la risposta è un calcio in faccia.
Non ci vedo più, i miei occhi sono appiccicati dal sangue.
Mi passo una mano sul viso e sento che è cambiato, le mie ossa sono rotte.
<<Alzati.>> Dicono di nuovo, prima di sferrarmi alti calci alla pancia, ma io non ce la faccio.
Qualcuno mi solleva di nuovo tirandomi un braccio, ma questa volta sento distintamente un "CRAC". È rotto, lo so, però non fa male, non sento quasi più nulla, perfino le urla sono ovattate.
Dove sono? Conosco questo posto, è il mercato.
Cado di nuovo e questa volta nessuno cerca di rialzarmi. Ho intorno un cerchio di persone che mi sputano.
Quello che mi ha riconosciuto è un amico di mio zio, anche lui è fra quelle persone, mio zio ora lo vedo.
<<Devi farlo, Amir.>> Dice qualcuno porgendogli una pietra. <<Riprenditi il tuo onore. Andava vestita da uomo, senz'altro a prostituirsi.>>
C'è disprezzo negli occhi di mio zio, anche se lo guardo dal basso, riesco a vederlo bene.
<<Talal, vieni qui.>> Urla il solito uomo.
Quelle cinque lettere irrompono nella mia testa con violenza. Il mio Talal?
Il ragazzo che si fa largo fra la folla, sei proprio tu, sono salva.
Sospiro, vorrei dire il tuo nome, ma non ci riesco. Allungo la mano, come la prima volta che ci siamo visti. Fammi sentire di nuovo quel calore, aiutami ad alzarmi.
Resti fermo, pietrificato da ciò che vedi. Mi hanno davvero ridotta male. Non preoccuparti, quando saremo in America, sarà solo un ricordo.
<<Tieni, è ora che anche tu diventi uomo.>> Dice l'uomo che ti ha chiamato mettendoti un sasso in mano.
Qualcuno urla e mi colpisce ancora, ma non sento nulla, ci sei tu.
Ti allontani. Dove vai? Non lasciarmi.
Vedo che gli uomini guardano verso la direzione che hai preso e quello che ti ha messo il sasso in mano
Stai tornando indietro, vedo il tuo viso. .
Torni indietro, mi guardi, hai la stessa aria serena di sempre, quella che dice <<Va tutto bene.>> Sono salva.
Però non dici "va tutto bene," ma <<Che Allah perdoni le tue colpe, ragazza.>> poi alzi un pesante blocco di marmo e oscuri il sole. Perché?
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