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Per non far cadere il cielo
Da oltre trent'anni era comparso in città un'enorme cilindro in cemento massiccio. Non era molto largo, ma era altissimo. Sembrava una colonna destinata a reggere il cielo, che, sempre più negli anni, sembrava un telo sporco ingrigito da tutte le misere attività umane. Nel punto più alto c'era una feritoia che mal si intravedeva da terra. Alla base una porta con tutti i segni del tempo, scura, sporca, con ruggine su tutte le parti metalliche.
Un particolare avrebbe attirato la mia attenzione: l'unica parte a propagare sintomi di uso frequente si trovava tutt'intorno alla serratura. Una zona più chiara. Grazie a questo particolare la porta alla base del cilindro mi appariva come l'occhio del cilindro.
Qualcosa succedeva lì dentro, qualcuno ci entrava, ma le persone sembravano non vedere più quel cilindro. Non incuriosiva. Si erano abituate così come si abituano a tutto. Di tanto in tanto qualcuno si ritrovava a guardare quello strano oggetto. Erano solo momenti, pause tra la ricerca di un lavoro ed il suo eventuale sviluppo, disconnessione involontaria dalle trasmissioni televisive, momenti di lucidità destinati a diventare meno frequenti causa l'omologazione e domesticazione della mente.
Io, forte e nutrito dalla mia maledizione, mi mantenevo curioso.
Quella stessa notte divenni luna piena e sotto forma di luce mi proiettai dentro la feritoia attraversando una retina posta a mo' di tenda e disegnandone la forma sulla parete.
L'abitante di quella moderna torre cittadina era alto e magro, la pelle molto chiara era ricoperta da macchie come il manto di un giaguaro, le orecchie molto piccole e con un padiglione appena accennato, peli inesistenti, con una patina di umidità e gocce di sudore continue che lo rendevano lucido e molle allo sguardo. In evidenza le vene sulla fronte e sulle zone temporali palpitanti in un continuo ansimare. Andava avanti e indietro in quello spazio ridotto, sempre da parete a parete, fermandosi a volte quasi a lisciarne la superficie inumidendola con il sudore dei palmi, della schiena o dei lati del corpo. Emanava una grande tensione emotiva.
La sorpresa mi fece impallidire, e, poiché ero luna, la stanza divenne più luminosa destando la curiosità di quell'essere che per un istante si fermò, quasi a voler sbirciare dalla fessura. Fece solo un passo in quella direzione. Fu come se quella parte del pavimento, fredda e asciutta, non lo convincesse, e questo lo fece indietreggiare, lasciando solo un'impronta sudata al di fuori dello schema tracciato. In quella stanzetta non c'era nulla, soltanto la feritoia, la retina, e tanti rotoli di carta inchiostrata ammucchiati e schiacciati, probabilmente utilizzati come giaciglio per fugaci riposi. Sul pavimento uno sportello della grandezza di un pugno. Forse da lì lo nutrivano. Non c'erano vie d'accesso, era come se tutto gli fosse stato costruito intorno.
Perché questo? Chi era? Cosa rappresentava quella costruzione antiestetica e apparentemente inutile?
Cercai di ritrarmi con discrezione coprendomi con una nuvola notturna, oscurando quella triste stanza, e divenni brezza per entrare dalla porta come spiffero. Una volta all'interno, tornai uomo in cerca di risposte e mi trovai in una sorta di ufficio molto piccolo ma ben attrezzato.
Ero circondato dai volumi che ne costituivano l'archivio. Cominciai la ricerca.
Nei volumi c'erano solo nomi. Erano liste di nomi.
Non capivo. Nomi dappertutto. Notai che i volumi dell'archivio erano numerati. Guardai nell'ultimo volume. Anche lì nomi. Lo rimisi al suo posto e feci per prendere il primo volume.
La mia attenzione fu catturata da una sottile cartella nera che precedeva il primo volume. La aprii. Dentro trovai un solo foglio di carta. Era completamente nero e non c'era scritto nulla. Non so perché, ma ebbi l'idea di andare a vedere vicino all'ultimo volume. Trovai una cartellina bianca. Dentro, un solo foglio di carta completamente bianco senza niente di scritto.
Continuavo a non capire. Me li rigirai per un po' tra le mani, ma non mi veniva in mente nulla che me ne chiarisse il significato. Una volta stufo li appoggiai sulla scrivania e mi tenni per un attimo lontano a pensare, mentre mi guardavo intorno. Mi sembrava tutto così assurdo che decisi di ricontrollare il contenuto delle cartelle per sincerarmi di non aver visto male. Aprii quella nera. Il foglio all'interno era sempre nero, ma improvvisamente si formarono delle lettere di fumo che si allungavano nell'aria quando muovevo il foglio, per poi seguirlo, ricomponendosi quando lo fermavo. Quelle parole esprimevano concetti molto vaghi, seguiti da frasi ben precise, punteggiati con pezzi di parola che si completavano procedendo nella lettura. Quello che riuscii a capire è che si parlava della condizione dell'uomo, che una volta addomesticata la terra aveva smesso di elevare i suoi pensieri al cielo e di sognare, perdendosi nei suoi disegni. I sogni orizzontali venivano passati da cuore a cuore, ed erano sempre gli stessi, uguali nel tempo. Per reggersi il cielo aveva bisogno di essere guardato e sostenuto da occhi umani, sentimenti umani, creatività umana. Ora che tutto questo veniva a mancare, il cielo rischiava di crollare addosso all'uomo. Per questo era stata costruita la torre. Infatti la sensibilità delle persone, la creatività, i sogni, venivano incanalati in quell'essere, che nel suo tormento rivolgeva tutto al cielo, reggendolo praticamente sulle sue spalle.
Di più non capivo. Guardai la cartellina bianca. La presi e fissai per un attimo la cartellina nera che avevo ripoggiato sulla scrivania. Vinta quell'immotivata esitazione aprii la cartella. Il foglio era completamente bianco. Dopo un attimo cominciò a trasudare. Gocce d'acqua formavano lettere, e quando verticalizzavo il foglio brillavano nell'aria fino ad infrangersi sul pavimento per poi riformarsi quando, ruotando il foglio, lo rimettevo in posizione orizzontale. Quelle parole erano scritte dall'essere rinchiuso nella torre.
Dicevano : "una volta ero un uomo, poiché capace di commuovermi, sognare, illuminare come la luna e soffiare come la brezza. L'uomo dal sogno orizzontale decise di trasformarmi in ciò che sono, infliggendomi il castigo che permette al cielo di reggersi. Venendo in questo luogo tu mi hai liberato ed io potrò andarmene. Ma sii tranquillo, il cielo non crollerà, poiché tu sei capace di divenire luna, soffiare come brezza, ed attraversare porte come spiffero. Ti incarnerai nella creatura della torre. Forse negli anni un uomo dai rari sentimenti sarà curioso quanto te e prenderà il tuo posto. Per il momento, il cielo continuerà a non cadere."
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