Cap. I
Era una bellissima notte di fine estate, da poco era passata la mezzanotte e com'era solita fare ormai da molti anni, l'ultima notte delle sue vacanze Erica la passava in riva al mare, per meditare, recuperare energie e accomiatarsi da quello scenario che fin da bambina l'affascinava e la rapiva più di ogni altro; quasi un rito di commiato dalle vacanze, dal sole, dalla spensieratezza di quei giorni senza nuvole.
Si accovacciava in un punto di spiaggia abbastanza isolato che ospitava il rimessaggio d'imbarcazioni e in perfetta solitudine salutava quel magico paesaggio notturno, assorta nei suoi pensieri... persa nei ricordi.
Quella notte la luna era piena, il candore che emanava rischiarava l'oscurità tanto da nascondere persino il brillare delle stelle. L'aura argentea si rifletteva sulle acque calme del mar adriatico formando un tappeto di cristalli splendenti che, mano a mano che si allontanava dalla riva, si assottigliava sempre più fino a diventare un puntino all'orizzonte, minuscolo gancio di congiunzione tra cielo e mare.
Come avrebbe voluto camminare su quel tappeto, attraversare l'infinito, raggiungere quel puntino lontano, sparire laggiù, smettere di soffrire per sempre. Ma purtroppo era viva e presente quindi doveva imprimere sul suo essere tutte le sensazioni di quel momento, fissare sulla sua pelle gli odori, i colori, i suoni... per resistere.
Tutto doveva essere chiaro, vivido e tangibile nella sua mente, per darle la forza di continuare a vivere, per trascinare i giorni, dimenticare le notti di tutto l'anno a venire, fino all'arrivo delle prossime vacanze.
L'aria era tiepida salmastra quasi immobile, lo sciabordio delle onde era una nenia intonata solo per lei, per lenire un poco la sofferenza che giorno dopo giorno la annichiliva.
Fu così che si ritrovò rannicchiata ad abbracciare le sue gambe come se davanti avesse un'altra lei, il mento appoggiato sulle ginocchia lo sguardo all'infinito e, lentamente, cominciò a dondolarsi avanti e indietro cullava se stessa al ritmo dolce e monotono del canto del mare.
Dondolava e pensava e cullava la sua anima afflitta, e non si rese conto che stava piangendo fin tanto che non sentì il sapore sapido di una lacrima che, scivolata dalle sue ciglia, inumidiva il bel viso assorto.