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La seta degli angeli

Della sua casa Nelo ricordava un colore. Il nero denso dell'umidità in certi punti sul muro. Le macchie dal soffitto scendevano giù sulle pareti e lì d'un tratto si perdevano in una sbavatura grigio-chiara che al bianco dell'intonaco miracolosamente lasciava respiro. Nelo restava a guardarle per ore. Poi si incantava sulla tenda di canapa che separava dal bagno l'unica stanza in cui lui e Cosma vivevano.
C'era ancora un po'di colore tra quelle pieghe lise. Qualche fiore sbiadito. Qualche petalo. Lo diceva a sua madre che davanti a quell'unica finestra cuciva.



La sua macchina scura. Quel suono cadenzato e secco che se fosse cessato...
Ma Cosma spingeva il piede sul pedale, seguiva fili misteriosi.
Tracciava linee di punti perfetti. E appuntati sul grigio del giacchetto le brillavano gli aghi. Tutti in fila sul petto, stretti come figli. Lei ne misurava sul palmo la lunghezza, lo spessore.
La filza. Il sopraggittto. L'orlatura...
E sopra il palmo appena sotto la pelle un giorno aveva fatto un ricamo. Un arabesco strano che si allungava sull'orlo delle dita.
Si confondeva col nero del soffitto. Del cielo.
Che da qualche parte portava, diceva spaventata lei, così bisognava disfarlo, senza lasciare un segno, un'ombra.
Certe volte attraverso il grigio opaco degli occhi lo guardava.
Guardava lui, suo figlio. Il suo viso piatto e slavato aveva allora una profondità misteriosa e lontana



I vestiti di sua madre. Cinque in tutto, appesi nell'armadio di castagno come ombre. A volte Nelo li toccava... quell'indefinibile odore... lo stesso che gli pareva avesse addosso. Un odore come di cera o di cenere forse. Poi c'era quello del lutto, lui lo guardava senza poterlo sfiorare. Cosma lo aveva portato per il figlio grande e dopo per suo padre. Negli anni il nero era mutato in grigio scuro e qualche volta perla, ma lei si era sentita nuda. Come un foglio di carta che in controluce riveli la sua filigrana.



C'erano giorni che la stanza aveva l'odore delle donne.
Una velatura di rose. Di petali disfatti.
Dietro la tenda socchiusa Nelo le guardava spogliarsi. E lo atteriva il bianco di quella carne smorta eppure...
La punta delle dita tra le pieghe di quel burro. Di quel latte cagliato. Di quel muschio.
China sull'orlo del vestito Cosma appuntava spilli e le sue mani seguivano sicure l'ordito della stoffa, ma spaventate si sottraevano al colore.

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3 commenti:

  • Anonimo il 12/02/2011 11:36
    Mi è piaciuto molto. Complimenti.

    Suz
  • alberto tosciri il 12/09/2010 15:18
    Trapela una certa solitudine nel personaggio, Nelo.
    Non è da tutti sapersi concentrare e saper descrivere, aggiungo io, i particolari di una solitudine, che tuttavia in certi punti mi pare riesca a sublimarsi.
    Forse Nelo non desidera abbandonare questa solitudine, si nasconde nei suoi anfratti, traendone motivi comuni a tutti, universali: la nascita, l'amore, il desiderio carnale, la morte, che lo aiutano ad andare avanti, vedendo oltre la realtà delle cose ordinarie di tutti i giorni.
    Ho apprezzato questo scritto anche per la sua asciuttezza, ho notato due piccoli errori di battitura, niente di che e per l'atmosfera apparentemente a senso unico, di strada senza ritorno, che ne emana.
  • Michele Rotunno il 11/09/2010 16:22
    Confesso, ho provato a leggere questo racconto almeno tre volte e mi sono sempre bloccato al secondo paragrafo.
    Quella macchina da cucire mi ha sempre squarciato la mente facendomi balzare davanti agli occhi la vecchia "Stigler" di mia madre e il rumore cadenzato di cui scrivi lo ricordo benissimo.
    A quel punto i ricordi mi hanno sempre assalito e bloccato.
    Ci riproverò, prometto.
    Intanto grazie per avermeli fatto riaffiorare.

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