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Quando i guai si cercano

Dopo il tentato omicidio della Mata Hari la punizione paventata da mio padre di portarmi con se al cantiere il lunedì mattina alle cinque non ebbe seguito, rimase lettera morta. Infatti fui graziato dalla pioggia che per tre giorni si abbatté sulla zona costringendo gli edili a sospendere il cantiere.
Per anni la minaccia fu reiterata e sempre mai eseguita perché per un motivo o per l'altro riuscii sempre a eluderla, finché otto anni dopo andai addirittura a cercarmela. Non solo, ma quella che doveva essere una punizione esemplare si tramutò nella prima delle mie più grosse malefatte giovanili. Andò così.
All'epoca avevo diciassette anni e mezzo, era l'estate del 67 e come sempre le vacanze estive dei ragazzi fuori sede non differivano di una virgola da un anno all'altro. Rientro a casa la mattina all'alba, sveglia a mezzogiorno e il resto della giornata a bighellonare. Qualcuno dirà che il rapporto paterno era inesistente, ebbene lo era per cinque giorni la settimana ma il sabato e la domenica mi attaccavo a lui come una zecca e non lo mollavo per tutto l'oro del mondo, perché mi conveniva. Il fine settimana, infatti, non si lavorava e allora costringevo mio padre a portarmi in una stradina di campagna dove mi faceva da istruttore guida. In pratica quando un anno dopo ho preso la patente ero già un provetto pilota. Per la teoria non sapevo nulla ma in quanto a pratica ero bravo, tanto bravo che venni bocciato la prima volta proprio alla guida per la troppa sicurezza.
Quando l'ingegnere esaminatore mi disse che mi bocciava alla mia domanda del perché mi rispose di chiederlo all'istruttore. Questi, dopo mi fece una solenne lavata di capo, dicendomi che avevo infranto tutte le regole. Ero partito senza guardare negli specchi, avevo fatto un sorpasso senza la freccia e mi ero fermato e poi sceso dalla macchina senza mettere la freccia né guardare negli specchi. In effetti ero già un vero automobilista.
Ma ritorniamo a quella circostanza particolare, il rientro a casa avveniva puntualmente non prima delle quattro e un quarto e non oltre le quattro e mezzo del mattino perché la sveglia biologica di mio padre avveniva giusto alle cinque meno venti. Si alzava, si recava in cucina dove accendeva il fuoco sotto la moka già predisposta la sera prima, nel frattempo andava in bagno per espletare il rito igienico. Ritornava in cucina a bere il caffé, poi apriva la porta di casa e usciva fuori ancora in pigiama per annusare l'aria del mattino. Diceva di farlo per capire come si sarebbe vestito. Grande balla, si vestiva sempre allo stesso modo d'inverno o d'estate.
Quindi rientrava in camera sua, si vestiva e si apprestava a uscire, non prima di aver dato una sbirciatina alla mia camera per assicurasi che tutto era in ordine. Infine usciva. Tutto ciò in soli venti minuti. Se alla sbirciatina non mi avesse trovato, al suo ritorno la sera era il solito paternale con puntuale minaccia. Essenziale quindi era rientrare in casa alle quattro e mezza per farmi trovare a letto addormentato, e non ci voleva molto perché appena coricato crollavo a dormire come un sasso.
Quel fatidico mattino, puntualmente, alle quattro e venti arrivo sotto casa e... puttana miseria, non ho le chiavi di casa! Mi ricordo solo allora che la sera prima ho cambiato i jeans e il moschettone del portachiavi è rimasto infilato in un passante dei pantaloni.

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9 commenti:

  • Michele Rotunno il 15/09/2010 19:54
    Un grazie di cuore a tutti, in particolare e Roberta per il fatto che le ho fatto sognare un'epoca da lei mai vissuta.
    Salvatore, devo correggerti, non piccola peste ma piccolo incosciente.
  • Salvatore Cipriano il 15/09/2010 19:44
    Una giovinezza movimentata, se ci facessero un film lo chiamerebbero piccola peste
  • Anonimo il 15/09/2010 10:57
    Che bel racconto! Mi hai catapultata in un'epoca che mi affascina moltissimo! Mi ha fatto sorridere il particolare del rientro sempre un attimo prima che si alzasse tuo padre!
  • Michele Rotunno il 12/09/2010 18:32
    Grazie Alberto per il suggerimento, potrei prenderlo in considerazione sebbene l'abbia già fatto in un altro modo (giace in un cassetto), prima però voglio provare ad approfondire alcuni momenti del mio passato e poi vedere cosa ne esce fuori.
    Aldo, c'è qualcosa che non mi quadra sullo stipendio, so con sertezza che nel 69 un giovane impiegato dell'Ufficio Imposte guadagnava circa 80. 000 Lire al mese ed io due anni dopo nel 71, come sottufficiale nell'esercito ne prendevo 104 mila di base. Però non mi bastavano lo stesso anzi, allora neanche il doppio mi sarebbe bastato.
    Mi fa piacere avervi fatto rivivere il passato, spero con un sorriso.
    Ciao
  • Guido Ingenito il 12/09/2010 18:26
    ehi ehi ehi ehi. fermi tutti. la densità dei racconti di Michele sta raggiungendo ottimi livelli. non mi spreco in complimenti rindondanti che già, giustamente, abbondano.
    Michele sotto la curva
    Guido
  • Aldo Riboldi il 12/09/2010 16:29
    Il mio primo stipendio mensile nel 67 era di ben £ 22. 000... ho rivissute, leggendo il tuo racconto, alcune situazioni simili alle tue, scritto bene molto curato e dettagliato. Trovo che il consiglio di Alberto di "cucire" questi racconti e farne un romanzo, non sia da sottovalutare.
  • alberto tosciri il 12/09/2010 15:58
    Mi è piaciuto questo spaccato di un'epoca che purtroppo non tornerà mai più.
    Si viveva e si pensava in un altro modo allora. Le scene che hai descritto sono molto vivide e realiste e il tuo stile diretto consente di immedesimarsi nella storia.
    Ho notato un paio di piccoli errori di battitura, ma niente di particolare.
    Molto bella e umana la descrizione del padre.
    Se hai scritto molti di questi episodi, a mio parere dovresti "cucirli" e ricavarne un romanzo.
    Spesso, la vita delle persone semplici e normali come lo è la maggioranza, saputa ben descrivere, è più affascinante di mille avventure.
  • Anonimo il 12/09/2010 09:51
    Ma non scocci proprio nessuno! Anzi!
    Sei una persona tutta da scoprire!
    Continua così!
    Scritto molto bene!
    8, 5


    A. R. G
  • Anonimo il 12/09/2010 09:20
    Un racconto contenitore, che narrando della tua gioventù ne approfitta per fornire una piccola fotografia della società. Dico piccola perchè parli di storie familiari, di baruffe quotidiane. Vere insomma. Per quanto riguarda la parte "edilizia" nessuno come me può capirti: pensa che la mia prima fotografia in esterni, all'età di un anno, mi ritrae tra le braccia di mia madre che si appoggia... ad una catasta di mattoni.
    Ottimo!
    Ciao Michele.

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