racconti » Racconti autobiografici » Date da ricordare -II-
Date da ricordare -II-
Il 5 luglio finii i miei esami di stato e la sera del giorno dopo mi arrivò la telefonata da casa con il cazziatone di mio padre riguardante la gita fuori programma in Liguria. Non era incavolato per la scampagnata in sé ma per il fatto che, con estrema irresponsabilità, mi ci ero avventurato senza il mio borsino magico.
Non so di preciso come l'abbia saputo, posso solo ricostruirlo. Il giorno dopo la tragedia di corso Traiano i questurini di Torino hanno telefonato alla Pretura del mio paese che, a sua volta, ha interpellato i carabinieri il cui maresciallo, che conosce bene mio padre, lo ha messo al corrente.
Mio padre, quindi, mon ha fatto altro che sviluppare una piccola equazione:
Senza documenti = mancanza di borsino magico = cazziatone telefonico.
Cos'era il borsino magico? Per spiegarlo bisogna aprire una parentesi nel racconto.
Uno dei tanti mali che mi affliggono e che mi porto dietro sin dalla nascita è, per fortuna, una lieve forma di emofilia, sicuramente di origine ereditaria, come il diabete, del resto.
La prima volta che mi fu diagnosticata avevo tre anni quando giocando in casa con il triciclo e correndo come un pazzo per le stanze andai a cappottarmi vicino l'uscio di casa sbattendo la testa contro il saliscendi producendomi una profonda ferita con una fuoruscita di sangue che sembrava l'eruzione dell'Etna.
Questo è l'unico ricordo indiretto che ho della mia vita. Personalmente non ricordo nulla di quell'evento ma a forza di sentirmelo dire sono pronto a giurare di ricordarmelo bene.
Mamma mi prestò sollecitamente le prime cure ma dopo dieci minuti il sangue non s'arrestava, allora cominciò a gridare per attirare l'attenzione di vicini.
All'epoca ad una decina di metri da casa mia vi era un ufficio comunale sanitario, noi lo chiamavamo Ufficio Maternità perché lo frequentavano solo le donne, quasi tutte incinte, in pratica doveva essere un antesignano dell'attuale Consultorio familiare.
Ad accorrere fu una giovane infermiera da poco venuta in paese dalla lontana Cesena, vi era stata mandata e ci è rimasta per sempre. Ancora oggi, più che ottantenne, vive qui in paese, è sorda, appena cammina, conosce e capisce anche il respiro del nostro dialetto ma parla ancora con uno stretto accento romagnolo.
La poveretta guardando tutto il sangue sparso per terra intuisce che qualcosa non va per il verso giusto e corre a chiamare un medico. Col quale ritorna dopo pochi minuti e questi, probabilmente già informato, senza perder tempo mi fa un'iniezione che subito arresta l'emorragia. Successivamente, con calma, spiega ai miei di cosa si tratta, confortato giorni dopo dal risultato delle analisi che nel frattempo ha fatto eseguire. Lieve forma di emofilia, in pratica, dice, devo stare attento a non procurarmi ferite di alcun tipo, in particolare quelle profonde, perché c'è il rischio del dissanguamento.
Ora, secondo logica, quale sarebbe stata la vita di un bambino e poi di un adolescente, per di più figlio unico? Altri genitori lo avrebbero blindato in casa e tenuto sotto controllo come un francobollo raro,
io invece, grazie ai miei, ho vissuto tutta la mia infanzia e poi l'adolescenza esattamente come un qualsiasi altro mio coetaneo.
Ho giocato per strada, ho battagliato con i compagni nelle guerre di quartiere, ho fatto tutte le spericolatezze che ho voluto e di questo devo dire grazie ai miei. Solo in adolescenza, quando sono stato infine ragguagliato sulla mia situazione, ho capito quello sguardo ansioso di mia madre che mi accompagnava ogni volta che, indomito guerriero, mi catapultavo per strada, e quindi il suo sospiro di sollievo quando rincasavo senza nemmeno un graffio.
Spesso, però, erano le volte in cui tornavo piangendo, più per la rabbia, per via di un'escoriazione sanguinante e allora mamma, si precipitava con me in bagno e dopo aver lavato per bene la ferita vi passava sopra una pietra bianca grande quando una mezza saponetta. In pochi minuti l'emorragia cessava e quando le chiedevo cos'era quella pietra bianca mi rispondeva dicendo che era una pietra magica. In pratica era la cosiddetta pietra pomice, quella che ogni barbiere acquista a inizio mestiere e che gli dura in pratica tutta la vita. Mio padre se ne era procurata una dal proprio barbiere e con quella eseguivano il primo intervento sulle ferite.
In quelle circostanze non era la ferita di per sé che mi irritava perché il sangue, prima o poi in qualche minuto si sarebbe fermato, ma era la guarigione ad irritarmi. Le ferite che sui miei compagni guarivano in quindici giorni su di me ci volevano quasi tre mesi. In pratica ero sempre pieno di "scorze" deturpanti che non si staccavano mai e quando avveniva, con il mio aiuto o perché sfregando contro qualcosa allora si ricominciava daccapo. Puntualmente a inizio autunno ero così pieno di cicatrici ancora vive che sembravo uscito da una camera di tortura.
Sono passati gli anni e con la maturità ho imparato a convivere con una serie di piccole cose racchiuse in un borsino magico che ho sempre portato con me. Un borsino di pelle grande abbastanza per inserirvi il documento d'identità con tanto di indicazione del gruppo sanguigno e l'appunto sull'emofilia, poi uno stick coaugulante, un tubetto di cicatrene, una boccetta di Streptosil in polvere, una dozzina di cerotti di varie misure e, infine, per i casi più gravi alcune compresse di tranex.
Questa è stata la mia scorta quotidiana di sopravvivenza inserita nel borsino magico che mi sono sempre portato dietro. Farmi beccare senza documenti equivaleva a non avere con me il borsino.
Tre giorni dopo gli esami di stato torno a casa e inizio la mia solita vita di debosciato, sebbene non sia più lo studente in vacanza, ma chi se ne frega, tanto tra poco devo partire per le armi.
Così passano prima i giorni, poi le settimane ed anche i mesi e, mentre tutti i miei compagni che non frequentano l'università, partono militare io resto più incupito e solitario che mai.
A Natale non ci resisto più decido di recarmi a Potenza al distretto locale per appurare come stanno le cose, consigliato da mio padre fisso la data del 3 gennaio, appena dopo le feste di capodanno.
Quella mattina parto alle prime luci dell'alba, la strada per Potenza è lunga e tortuosa e ci vogliono tre ore buone. Questa la più "comoda", perché ce n'è un'altra, che farò al ritorno, passa per una serie di paesini tra salite e discese e tornanti a non finire. In uno di questi paesini, Laurenzana, vi abita con la famiglia una cugina di mio padre, quindi quale migliore occasione per passare a salutarla?
Arrivo a Potenza per le otto e trenta, sono solo e ho guidato con prudenza la Fiat 600 di mio padre. Non è quella di tre anni prima, è una nuova, ha solo sei mesi di vita, però è identica all'altra, nera e con il portapacchi, ma ha le portiere paravento, finalmente.
Al distretto, quando alle nove apre al pubblico, vengo a sapere che proprio quella mattina è stato spedito l'avviso di chiamata, mi dovrebbe arrivare entro una settimana tramite i carabinieri. Già che ci sono chiedo possibilmente la mia destinazione. Resto di stucco. Avevo chiesto di andare presso la Cernia a Torino come carabiniere ausiliario oppure, in alternativa, nei granatieri di Sardegna, giusto per continuare la tradizione di famiglia, invece mi dicono "scuola sottufficiali di Sabaudia".
Ribatto che non ho fatto alcuna domanda in tal senso ma il maresciallo in servizio mi risponde con un'alzata di spalle. Mi conferma che devo partire il 22 di aprile. Grazie e statti bene.
Mi faccio qualche giro per Potenza, la conosco poco e, alle undici riparto per Laurenzana, dove ci arrivo verso le dodici e mezzo. I cugini mi accolgono festosamente e, ovviamente, mi ospitano a pranzo.
Non mi faccio pregare, pranzo squisitamente e bevo anche un paio di bicchieri di vino, senza esagerare perché dopo devo rimettermi in viaggio.
Riparto alle quattordici, ho da fare ancora un'ora e mezza di strada e siamo in pieno inverno, fa buio presto e non sono un pilota tanto esperto nella guida notturna, anzi non lo sono per nulla.
Dopo un'ora di strada comincio a stancarmi e ogni tanto strizzo gli occhi, ma ormai manca poco per arrivare a casa.
A circa dieci chilometri dal paese, dopo essere uscito da una curva a gomito strettissima, gli occhi mi si chiudono del tutto in un colpo di sonno. Bastano pochi secondi e succede l'irreparabile.
Appena dopo la curva, a sinistra, la strada si prepara a imboccare un'altra curva nell'altro senso ed io vado dritto contro il parapetto di un ponticello. Sotto vi è uno strapiombo di una ventina di metri con una fitta boscaglia ma la macchina va dritto contro la sezione trasversale del muretto. Nell'urto il parabrezza si stacca e piomba nel baratro sottostante. Ed è quello l'unico segno visibile dell'incidente perché sembra sia stata parcheggiata proprio a ridosso del muretto.
Un minuto dopo transita un piccolo corteo matrimoniale, l'ultima macchina è quella di Peppino, il capo cantiere di mio padre, che tre anni prima mi aveva già soccorso dopo l'altro incidente, con lui un suo amico. Peppino riesce ad accorgersi della mancanza di riflesso del parabrezza e incuriosito si ferma.
Raggiunge la seicento e mi scopre riverso sul sedile in un mare di sangue. Egli sa tutto del mio problema e subito si precipita a soccorrermi, con l'amico mi carica sulla sua auto e mi porta di corsa in ospedale informando i medici dell'emofilia. Poi corre a casa ad avvisare mio padre.
I medici in ospedale mi rimettono in sesto soprattutto con il Tranex, poi pensano al resto. Nell'urto mi sono fratturato una costola, una lussazione alla spalla e, la cosa più preoccupante, sbattendo con il volto sul volante mi sono tagliato la lingua, che provvedono a riattaccarmi subito.
Resto in coma medico per quasi una settimana, poi mi fanno risvegliare, la lingua è un organo che si riattacca velocemente e, nel mio caso, sebbene coadiuvato dal Tranex, ci metto giusto quel tempo. Per circa un mese dovrò imparare a parlare di nuovo e col tempo anche con scioltezza, intanto quella sera, i medici che mi hanno prestato le prime cure hanno sentenziato che Lassù Qualcuno ci ha messo una pezza, soprattutto facendo in modo che proprio un amico si trovasse a passare di lì un minuto dopo.
1234
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0