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Jazz
Non suonava da una settimana.
La casa piena di polvere.
Non rifaceva il letto.
Non si pettinava.
Passava così il tempo: apriva la finestra un minuto per cambiare aria, usciva per comprare il giornale, tornava a leggerlo in giardino.
Un panino e una birra.
Un disco.
Radio e sonnellino.
Alfredo si trascinava per casa tutto il giorno.
Non rispondeva al telefono.
Il concerto di lunedì andato a puttane.
Riccardo aveva suonato il campanello per tre minuti prima che aprisse in mutande.
" Si può sapere che cazzo ti è preso?"
Alfredo si era infilato di nuovo a letto.
Rispose con la testa sotto il cuscino.
" Niente, avevo sonno."
" Ma sei scemo?" Riccardo non riusciva a stare fermo per la stanza. Toccava i libri impilati sul tavolo impolverato e parlava a scatti. Leggeva i titoli delle copertine dei vinili lasciati vicino al giradischi. Cominciò a parlare solo dopo un po'.
Alle due di notte non era certo un gran bel discorso.
" Abbiamo fatto una figura di merda al pub. Mi sono dovuto inventare un sacco di storie. Abbiamo suonato in due. Piano e batteria. Uno schifo. E lui che fa? Dorme!"
" Mi faceva male la schiena."
Alfredo non aveva voglia di discutere e di spiegare.
Scese dal letto in mutande e andò a bere scalzo un bicchiere d'acqua in cucina.
Si portò la bottiglia vicino al letto.
" Ne riparliamo domani, ciao."
Riccardo lo guardò dall'alto dei suoi quasi due metri. Mise le mani in tasca. Avrebbe potuto strangolarlo, attaccarlo al muro, annichilirlo, con quelle mani, ma non lo fece.
Aveva troppo bisogno del suo contrabbassista e se ne andò senza guardarlo.
" Ne parliamo domani ", fece sbattendo la porta.
Erano passati altri giorni così, senza sentirlo.
Non pioveva più almeno, ma era come se piovesse.
In giardino le foglioline cominciavano a spuntare prepotenti.
Fortuna che la pioggia aveva annaffiato.
Faceva caldo.
Troppo caldo per la primavera.
Già pieno di zanzare.
Non toccava il contrabbasso da giorni.
I calli sulle dita si stavano ammorbidendo.
Le sue idee indurendo.
Poi chiamò Manuela.
La prima volta non c'era nessuno.
Oppure lei non rispose.
Neanche la seconda e la terza.
Il giorno dopo decise di riprovare e lei rispose come se nulla fosse successo.
" Come va? Lì piove?"
" Dove sei? "
" In Danimarca. Torno dopodomani."
" Che cazzo ci fai in Danimarca?"
" Ma te l'ho detto un sacco di volte! Ma tu non mi ascolti mai quando parlo! Certo, ha sonno il grande musicista! Senti, per favore non mi rompere più, ok?"
Silenzio.
"Ok?"
"Fottiti, tu e la Danimarca."
Restò col telefono appiccicato all'orecchio per qualche secondo.
Gli sembrava di sentire le corde del contrabbasso vibrare sulle mani.
Sentiva le spazzole di Carlo rullare ma nessuna musica si spargeva nell'aria.
Era tutta nella sua testa.
Sospesa in pochi secondi di attesa.
Attaccò.
In Danimarca.
Che cazzo ci fa in Danimarca?
Certo che se lo ricordava. Ne avevano parlato anche quella sera.
Prima dell'incidente.
Era un po' ubriaco.
Ma neanche tanto.
Solo un po'.
Era tardi, buio, bagnato.
Soprattutto lei non smetteva mai di parlare.
Manu parlava, parlava, parlava...
" Mi stai sentendo?"
" Ma si che ti sento!"
" Avanti allora, dimmi che ho detto!"
" Bottiglia."
" Bottiglia?"
" Ma si l'ultima parola che hai detto è stata bottiglia, cazzo!!"
Non l'aveva vista.
Giuro, non l'aveva vista.
Dritto contro la macchina davanti.
Manuela aveva sbattuto la testa contro il vetro ma non si era fatta niente.
Alfredo era stato trattenuto dalla cintura che stranamente aveva indossato e si era spiaccicato contro l'air-bag.
Era quasi arrivato a casa, cazzo!
Manuela era scesa senza dire niente e se ne era andata a casa a piedi saltellando sui tacchi a spillo coi capelli appiccicati da quella pioggerellina di aprile che durava da tre giorni.
La macchina distrutta.
Tre ore a compilare moduli, con il tipo che diceva parolacce e chiamava l'avvocato di notte sotto la pioggia.
Poi non l'aveva più sentita.
Lo sapeva che sarebbe partita senza salutarlo.
Non avrebbe dovuto telefonare.
Per fare cosa, poi?
Alfredo prese una birra.
Aprì la custodia del contrabbasso, pizzicò una corda.
Poi accese il giradischi e ascoltò Ron Carter.
Il sole lo svegliò ancora sul divano, filtrando dalla finestra dritto negli occhi.
Si fece la barba con l'acqua fredda e chiamò Riccardo.
" Ho sentito la stronza."
Riccardo dormiva.
" Ho vomitato stanotte, che vuoi?" gli fece leggermente incazzato a morte.
" Ho sentito la stronza."
" E allora?"
" Allora ho bisogno di lavorare, mi sono stancato di stare male per quella."
" Vediamo che si trova, hai combinato un bel casino."
Alfredo si tolse i residui di schiuma da barba dietro l'orecchio con l'asciugamano e si vestì decentemente.
Poi tirò fuori lo strumento dalla custodia, accese lo stereo e mise su Bill Evans e ci suonò dietro per tutta la mattina. Che poi era quasi pomeriggio vista l'ora in cui si svegliava.
Tra una sigaretta e un martini tirò fino a sera.
Le mani gli facevano male. Erano giorni che non suonava.
Trillò il campanello.
Alfredo non voleva aprire, il campanello suonava ancora.
Lui allora appoggiò il contrabbasso al muro e si trascinò all'ingresso.
" Ma cazzo, possibile che mi fai stare un quarto d'ora a pregarti d'entrare? Apri 'sta porta!"
La voce di Riccardo filtrava da dietro mentre batteva con le grandi palme aperte contro l'uscio.
Poi entrò come una furia comparendo improvvisamente con tutta la sua stazza.
" Preparati, stasera si suona. Alle dieci e mezza al Vicolo dei Santi."
Si mise le mani in tasca per non strangolarlo e se ne uscì furioso così come era entrato.
Alfredo sorrise finalmente dentro di se, tolse il vinile di Bill Evans, ne mise un altro, quello raro del '63, alzò il volume per ascoltare come Cristo comanda il jazz elettrico di quel matto di Gill Evans e si infilò sotto la doccia.
Il bagno era tutto opaco dai vapori dell'acqua bollente, lo stereo a tutto volume.
La stronza aveva ancora le chiavi.
Era seduta sul divano sorridente con un bicchiere di prosecco quando Alfredo uscì dalla doccia.
" Ciao."
" Esci da casa mia."
" Ehi cazzo, che ti prende?"
" Esci e ridammi le chiavi, capito?"
Lei ruppe il bicchiere.
Migliaia di bollicine e schiuma scolarono sul tappeto impolverato.
Lanciò le chiavi in terra e si ruppe anche la bottiglia del prosecco.
Quel matto di Gill Evans faceva suonare il trombone e gli altri fiati in modo incredibile.
Alfredo sentì la porta chiudersi e quella che imprecava qualche frase.
Troncò Gill Evans e mise su il CD di jazz norvegese.
Si asciugò i capelli con l'asciugamano.
Accese una sigaretta e versò nel bicchiere di metallo un po' di nocino.
Quando uscì per andare finalmente a suonare aveva in mente l'attacco di quel Norvegese che piaceva solo a lui e che faceva:
Ta-ta-ta... duuuuuuuu... de du da de... bam, chhhhhhh... du de da doooooo... bam bammmmm...
E finalmente sorrise anche fuori di se mentre guidava verso Vicolo dei Santi.
Come faceva dopo?
Bam, bam, bam, du de du... sdengggggg.
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