Pareti bianche, tende bianche, copriletto bianco : troppo caldo in questa stanza.
La mia prigione. L'unico luogo che conosco.
Da giorni il chiarore mi opprime. Mi alzo: come una lumaca appena uscita dal guscio avanzo nella stanza.
Socchiudo la finestra: sbarre grigie. Nebbia fuori e dentro di me.
Nel buio della notte un impulso a colori lampeggia.
Mi siedo sul letto. Chiudo e strizzo gli occhi : mi concentro.
Macchie informi, lampi di luce, nessuna immagine.
-Chi sono?
-Per chi esisto?
Ricordare, riconoscermi.
Le mie mani, il mio ritratto : pelle di serpente, linee viola gonfie intersecate fra loro, un solco sull'anulare sinistro.
-Fatemi uscire! Voglio andare via!
-Dove? Non lo so...
Mi accarezzo la testa : capelli rasi a pelle...
-Ahi!
Una cicatrice: una linea curva da un orecchio all'altro.
-Voglio vedere...
Mi alzo, vado alla finestra ma il vetro si offusca in continuazione.
Troppo caldo in questa stanza.
Ho deciso. Quando viene la signorina col grembiule bianco, sì quella gentile... quella che mi accarezza le mani, le dico:
-Uno specchio, dammi uno specchio.
Eccola, mi porta la cena.
Lo sapevo, non riesce a negarmelo. Sussurra:
-La prego non lo rompa, lo conosce il detto: sette anni di... Non mi sembra proprio il caso...
-Lasciami solo.
Lei esce.
Cosa mi succede? La mano esita, trema, perde forza : rinuncia.
-Cosa fai? Non hai il coraggio di guardare? Lo vedi, è meglio non sapere. La verità ti può uccidere.
- No... taci! Devo farlo. Devo conoscere la verità.
- Chi sei tu? Tu non mi appartieni. Tu sei l'alieno. Il visitor che è penetrato nel mio corpo.
Distolgo lo sguardo da quel viso riflesso ma il braccio, scheggia impazzita, torna indietro.
-Fermati, fermati. -grido alla mia immagine- Ti riconosco. La tua maschera mi può ingannare. Loro no, non possono mentire! Loro sono il mio subconscio esteriore. La parte più sincera di me stesso. I miei occhi blu.
Da domani ricomincio a vivere.