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Il vampiro Christopher Hancock, le origini - prima parte
Mi chiamo Christopher Hancock, ho vent'anni da trecentosessantacinque anni, esattamente dal 26 settembre 1665.
Sono nato nel 1645 a Eyam, un tranquillo e isolato villaggio nella contea dello Derbyshire.
Di mio padre George ricordo le sue grandi mani da instancabile lavoratore; arrotino durante il giorno, la sera si reinventava artista costruendo oggetti d'arredamento in ferro battuto, ogni due fine settimana si recava a Londra per rivendere le sue opere. Grazie al doppio lavoro non è mai mancato il cibo sulla nostra tavola. Mia madre Elizabeth era una donna dagli occhi profondi e la voce timida, allevò premurosamente me e i miei quattro fratelli: Joseph, Ann, Manfred e Agnes.
Io ero il maggiore dei cinque, il loro punto di riferimento dopo mamma e papà.
Eravamo una famiglia unita, vivevamo in modo semplice nel nostro piccolo cottage circondati dal verde della campagna. Gli anni trascorsero sereni senza troppi sconvolgimenti fino l'estate del 1665.
In giugno si diffuse una terribile epidemia di peste bubbonica a Londra, decimando (così crede la gente) la popolazione. Mia madre implorò mio padre di non recarsi più nella capitale, convincendolo che era meglio accontentarsi dei suoi introiti d'arrotino piuttosto che mettere a repentaglio la sua vita, quella della famiglia e dell'intera comunità.
Ci fu qualcun altro, però, a portare l'orribile morbo della peste a Eyam.
Nel settembre dello stesso anno, il sarto del paese, il signor Viccars, aprì un pacco di stoffa umida acquistata a Londra e la mise ad asciugare vicino al fuoco.
Fu l'inizio della fine.
Fummo una delle prime famiglie ad ammalarsi, partendo dalla piccola Agnes, il cui esile corpicino venne martoriato da bubboni da cui fuoriusciva il pus. Era uno strazio indicibile vederla ridotta in quello stato. La mamma, pur avvertendo lei stessa i primi sintomi della malattia, non l'abbandonò un solo istante, accarezzando con amore il suo viso fino all'ultimo alito di vita. Pochi giorni dopo morì anche lei devastata dal morbo.
Mio padre, nel giro di una settimana e mezza sembrò invecchiato di vent'anni.
La perdita dell'amata consorte e della figlia più piccola lo distrusse.
Una settimana dopo averle sepolte la peste colpì anche lui e quasi contemporaneamente Joseph, Ann e Manfred.
Ero l'unico ad essere ancora sano. Trascorsi quattro giorni senza mangiare nè dormire, mio padre e i miei fratelli vomitavano in continuazione delirando, tentai di accudirli standogli vicino e rinfrescando con dei panni bagnati le loro fronti bollenti.
Ma era tutto inutile, io mi sentivo inutile, incapace d'alleviare le loro sofferenze.
Recitai il Padre Nostro ma mi fermai al punto in cui si dice - sia fatta la tua volontà - no, no, che volontà è mai questa? Prendersela con degli innocenti.
Perchè Dio mi ha fatto questo, perché si è preso tutta la mia famiglia e crudelmente mi ha lasciato in vita ad assistere a questo orrore?
La misericordia di Dio non è che una menzogna, lui si burla di noi poveri esseri umani.
Sottostiamo al suo volere senza alcuna possibilità di ribellione. Siamo solo burattini manovrati dalle sue capricciose mani.
Padre Nostro che sei nei cieli, non vedo amore nel tuo insensato agire, ma ti prego, fa sì che la morte sopraggiunga presto anche per me.
Sembrò voler ascoltare la mia richiesta, riconobbi da subito i primi sintomi di nausea e debolezza, poco dopo i primi bubboni iniziarono a rigonfiarsi sul mio corpo. Di ora in ora peggioravo. Ero solo, senza alcun desiderio di continuare a vivere, steso nel mio letto e madido di sudore.
Volevo raggiungere la mia famiglia nel regno dei cieli, loro stavano sicuramente là ma io probabilmente non ne ero degno.
L'emicrania era talmente forte da dare la sensazione che da un momento all'altro mi si frantumasse il cranio, la nausea insopportabile, dal mio stomaco ormai vuoto iniziai a vomitare la bile.
Completamente sfinito, non mi era rimasta nemmeno la forza di sbattere le palpebre. La febbre era sicuramente altissima, entrai in uno stato di semincoscienza in cui vidi una bellissima donna dagli occhi di ghiaccio e lunghi capelli neri.
"Andrà tutto bene, starai meglio".
Mi disse piano accarezzandomi la testa con le sue gelide mani affusolate.
Eccola, la signora morte, finalmente si era ricordata di me ed era venuta a prendermi.
Ero sereno, chiusi gli occhi ripensando a un pomeriggio d'inverno in cui l'intero villaggio venne ricoperto da candida neve, io e tutta la mia famiglia giocavamo, cantavamo, ridevamo mentre i nostri passi venivano attutiti dal soffice manto bianco.
Ero pronto.
La morte era china su di me e i suoi capelli corvini coprirono il mio volto.
"Farà un po' male".
Ero stremato, impossibile stare peggio di così.
Mi sbagliavo.
Signora morte affondò i suoi acuminati canini nell'unico punto del mio collo senza bubboni.
Il dolore provato fino un attimo prima non era niente al confronto.
Fu come ardere in mezzo a rovi spinosi; le fiamme dell'inferno si contorcevano furiose al mio interno, iniziai a dimenarmi impazzito in preda alle convulsioni. Mentre bruciavo sentivo i miei organi vitali liquefarsi. Ogni fibra del mio corpo fu assalita da feroci demoni, pensai fosse una punizione inferta da Dio per averlo criticato.
Vidi signora morte recidersi le vene e invitarmi a bere, avvicinò il polso sanguinante alle mie labbra livide. Pensai fosse un'allucinazione e con sforzo immane, senza capire cosa stessi facendo, bevvi quel fluido rosso.
Bevvi dal calice della morte.
Il fuoco s'intensificò ulteriormente, migliaia d'incendi divamparono in ogni parte del mio essere.
Nonostante io rimanessi intatto, ogni cellula del mio organismo esplose.
Morii e mi risvegliai condannato a vivere l'eternità nell'oscurità della notte.
Fu così che divenni un vampiro, era il 26 settembre del 1665.
Il mio corpo in apparenza era lo stesso ma totalmente cambiato, i sensi si acuirono notevolmente; rendendo possibile udire bisbigli a distanza di chilometri e vedere altrettanto lontano. Avvertii di possedere una forza sovrumana.
Ma il risveglio fu accompagnato anche da un'altra sensazione, terribile e bruciante; la sensazione che mi accompagna ogni giorno dandomi l'eterno tormento: l'insaziabile sete di sangue umano.
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