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Collezionismo
L'imponente gelida porta si aprì con un fischio appena accennato e l'essere metallico fece il suo ingresso nell'ampio ed austero laboratorio, accompagnato dai suoi amati e fedeli contenitori. Un'aula sterile, un immenso spazio disadorno e bianco pregno di un odore pungente di pulito.
Viaggiò lento verso il grande tavolo bianco e vi appoggiò sopra i cinque oggetti cubici che le sue braccia metalliche avevano trasportato senza la minima fatica. Si guardò intorno. Le sue cavie, i suoi scritti, le sue ricerche, tutto sembrava al suo posto, posizionato con cura nei freddi armadietti metallici disposti lungo le otto immense pareti rigorosamente bianche.
Pensò qualcosa ed immediatamente una serie di luci non troppo abbaglianti, né troppo fiocche si accesero al di sopra della distesa candida che rappresentava il tavolo. Prese il primo dei contenitori e vi sollevò il coperchio. All'interno, divisi in vari scompartimenti dalle pareti trasparenti e costantemente rifornite d'aria fresca, vi si trovavano rinchiusi svariati animali, due per specie, e differenti per sesso.
Sullo stesso tavolo c'erano numerosissime scatole di varie dimensioni plasmate a partire da un materiale molto simile al vetro terrestre, ma sostanzialmente con una maggiore resistenza ed immune alle perdite di calore; ognuna di queste scatole era ripiena per i trequarti di un liquido semitrasparente, caratterizzato da qualche bolla verdastra sospesaci dentro.
L'essere meccanico prese delicatamente la prima coppia di animali con due delle sue braccia meccaniche mentre, con l'ausilio delle altre due, afferrò una piccola scatola dal lato destro del tavolo e la scoperchiò. Agitò le due bestiole spaventate, rispettivamente un lupo ed una lupa, e, dopo averle annusate per mezzo delle grosse narici verticali, le posò nella scatoletta e la richiuse mettendola da parte.
Dopodiché ripeté esattamente il medesimo procedimento con gli altri animali del contenitore, poi con quelli del secondo ed infine con quelli del terzo. Una volta deposti tutti nelle loro scatole, i recipienti che avrebbero fatto loro da casa da quell'istante in avanti, si allontanò di qualche decina di centimetri dal tavolo e pensò qualcosa. Il visore che gli copriva metà dello spoglio e pallido volto, la cui monotonia era interrotta solamente dalle due fessure le quali fungevano da narici e dalla mascherina metallica posta a copertura della bocca, s'illuminò brevemente. Come per risposta, da dietro il tavolo, nascosto da qualche parte tra questo e la parete, si fece avanti un carrello, anch'esso bianco, sospeso a poche dita dal pavimento a scacchiera ed autonomo in fatto di movimenti.
L'essere metallico vi posizionò sopra tutte le scatole contenenti le bestie e si diresse verso uno degli armadietti; il carrello lo seguì fedelmente, trasportando ciò che l'essere non aveva abbastanza forza per trasportare tutto in una volta.
L'armadietto in questione era il terzo a partire dalla destra del tavolo. Recava sopra un'incisione con caratteri appartenenti a qualche complesso alfabeto e lo schizzo di quello che pareva essere a tutti gli effetti un sistema solare. L'essere prese le scatole a due a due e le dispose con molta attenzione sugli scaffali, non più di trenta per scaffale e ordinate in modo decrescente in base al livello di complessità delle creature: prima i primati, poi gli equini, i canidi e i felini, in seguito, finiti i mammiferi, passò ai rettili, agli anfibi e ai pesci, per collocare verso la metà dell'armadietto le scatoline contenenti gli insetti.
Finita tale operazione, l'essere tornò al tavolo per smistare il contenuto del quarto recipiente, una serie di piante ed oggetti inanimati prelevati solamente dalla natura, quali sassi, granelli di sabbia e piccole quantità di neve ancora soffice e fredda ed infine li archiviò nello stesso armadietto di prima, qualche scaffale più in basso.
Di nuovo al gelido e sterile tavolo bianco, l'essere pensò qualcosa e, successivamente all'illuminazione del visore, il carrello si spense, appoggiandosi autonomamente per terra.
Preso e scoperchiato l'ultimo contenitore, l'essere metallico osservò, nonostante fosse sprovvisto di occhi o altri organi preposti alla vista, i campioni presenti al suo interno: una cinquantina di esseri umani, uomini e donne, immobili ed impauriti. Li ammirò per qualche istante, che agli umani parve un'eternità, dopodiché, con le sue lunghe, scintillanti e silenziose mani dotate di quattro ganci simildita, selezionò tre di loro, due di sesso maschile ed uno di sesso femminile. Inserì, perché si conservassero, una donna ed un uomo in una scatoletta e li portò all'armadietto con tutte le creature esistenti sulla Terra.
L'uomo restante, invece, lo portò dalla parte opposta della stanza, ad un armadio già carico di contenitori e che ospitava svariati esseri viventi. Lasciò cadere l'essere umano in uno di questi e tornò al suo tavolo.
Mark era sempre stato una persona normale, con degli hobby normali e delle ossessioni ancor più normali. Nel tempo libero amava starsene sulla sua comoda poltrona di pelle e navigare in internet, guardare di rado qualche film in rete, illegalmente, e tentare in vano di socializzare con qualcuno che non aveva mai incontrato di persona e che mai avrebbe incontrato. Il suo animo era ancora in parte acerbo, immaturo. Non era raro trovarlo a guardare cartoni animati o vederlo lì, alla sua scrivania a disegnare, maldestramente, sé stesso nei panni di un qualche supereroe, catapultato in imprese titaniche, surreali, dalle quali sarebbe sempre uscito col mantello pulito e con vagonate di persone ad acclamarlo.
Mark, come tutti gli esseri umani, uomini e donne, giovani e vecchi, bianchi o verdi, aveva le sue manie, alcune accettate e quasi messe in pratica con una qualche sorta di innaturale vanto, ed altre ben nascoste nelle oscure profondità del suo inconscio o, più semplicemente, come in questo caso, occultate abilmente sotto svariate cartelle sul desktop del computer. Una matriosca virtuale il cui unico scopo era quello di preservare nei tempi, lontano da sguardi indiscreti, filmini più o meno amatoriali scaricati nel corso di anni da diversi siti ed assaporati ad uno ad uno nel silenzio della sua stanza; una biblioteca di porno divisa in gruppi in base alle caratteristiche fisiche e ai talenti delle protagoniste ed ordinate in modo crescente a partire da quello di più lontana acquisizione per giungere a quelli recenti, i capolavori della cinepresa moderna, la benedizione dell'HD.
I quarantatre anni di vita di Mark erano tutti stati segnati da un'unica quanto precisa parola, un crudele aggettivo che gli altri avevano affibbiato a lui e ai suoi sforzi, una superficiale descrizione che aveva sentito per la prima volta nel tardo '79 quando una sua insegnante, la più odiosa a detta della metà della classe, lo aveva tratteggiato alla madre come "uno dei più pigri e mediocri studenti che la scuola avesse mai avuto". Da quel momento lui sarebbe diventato il mediocre Mark, dai mediocri risultati scolastici, dal mediocre impegno e dalla mediocre coerenza.
Uscito dal liceo grazie al mediocre interesse della giovane e procace insegnante di inglese nei suoi confronti, Mark era stato miracolato dal fratello del padre, lo zio Sam, il quale gli aveva offerto un posticino nella sua banca. Posto che per i successivi ventidue anni aveva visto trasformare il lavoro di Mark da mediocre a poco più che mediocre, quasi accettabile.
Nella primavera del '93 aveva sposato la sua deliziosa ex insegnante d'inglese, con la quale aveva passato una felicissima parte della sua vita, due mesi e dodici giorni per la precisione, culminata col mediocre divorzio avvenuto alla fine dello stesso anno. Da allora Mark non aveva più avuto contatti diretti con le donne, eccezion fatta che per quando doveva accogliere, anzi, negare qualche prestito alle anziane signore che si presentavano solitamente in banca e che i colleghi scaricavano a lui.
Ogni giornata era la copia identica di quella precedente per lui. Si svegliava la mattina ed andava al lavoro. Alla pausa di mezzogiorno placava la sua fame alla mediocre pizzeria all'angolo tra la terza e la quinta, dove la pizza alla mozzarella aveva lo stesso sapore di quella ai peperoni e dove bisognava fare attenzione quando si lasciavano i soldi sul bancone affinché gli scarafaggi non se li portassero via. Dunque altre quattro ore e mezza di lavoro, dopodiché andava di corsa a casa a bordo della sua Volvo del '97, metteva a riscaldare il suo pasto surgelato, oppure, se si trattava di quelle rare giornate in cui si era ricordato di passare al ristorante "made in china", apriva la confezione famiglia che il vecchio Chung preparava con tanta cura per i suoi clienti non cinesi e si degustava gli spaghetti e il riso condito con le sue bacchette metalliche munite di denti appuntiti.
Televisione, internet, magari un bagno e del sano e stonato karaoke davanti alle pareti spoglie del soggiorno, ed ecco che un'altra giornata era finita. Cosi, l'inizio dei sogni notturni di Mark veniva sempre segnato da una calda e rilassante sensazione di piacere, un orgasmo autoprodotto sotto le calde coperte regalategli dalla madre.
Questa era la sua routine, cosi si svolgevano tutte le giornate di Mark. Tutte tranne quella, perché quel giorno aveva un appuntamento con una donna; dopo tanto tempo di nuovo un contatto con qualcuno, una speranza per un futuro che non vedesse il suo essere ammuffire da solo davanti ad un monitor illuminato.
L'aveva conosciuto qualche settimana prima, mentre giocava come al solito a Super Mario sul posto di lavoro. Lei aveva un'aria giovane, carica di energia ed era cosi bella, cosi... sensuale. Mark aveva analizzato il suo corpo in ogni anfratto visibile prima ancora di capire che la stava fissando.
Lei era venuta da lui, chiedendogli assistenza col conto bancario. Non si era rivolta a qualcun altro, non era andata da quello sbruffone di George McIlion impiegato del mese degli ultimi sei mesi, bensì aveva scelto lui. E Mark ne era più che entusiasta.
Avevano iniziato col parlare di lavoro e poi, una cosa tira l'altra, lui era riuscito a piazzare qualche domandina personale qua e là, mascherandole abilmente da questioni professionalmente utili per l'apertura del conto. Alla fine, facendosi coraggio, e dopo un discorso immaginario con Don Draper di Mad Man, suo mentore virtuale in fatto di donne, il quale lo aveva convinto di potercela fare, le aveva chiesto di uscire. Pochi, interminabili istanti di attesa e preoccupazione e lei aveva accettato.
Si sarebbero incontrati al nuovo locale aperto vicino al Penny Market giù nel quartiere di Mark, e avrebbero assistito alla serata di apertura che prevedeva l'intervento di due comici più o meno conosciuti e di una band che avrebbe suonato dal vivo delle cover dei Queen.
Agghindato per bene, con i vestiti migliori, Mark era andato al locale, parcheggiando la macchina a qualche isolato più in là per paura che a lei non piacesse. La donna, Amily, lo aspettava già all'entrata, ma lui non era in ritardo, anzi, era puntualissimo e lei aveva una bellezza che superava di gran lunga quella delle sue amanti virtuali, le protagonista dei video nascosti nel suo hard disk.
La serata era andata avanti senza alcuna interruzione e l'unico momento in cui il tutto stava per esser compromesso fu quando Mark iniziò a parlare della sua ex moglie, ma fortunatamente Don Draper era lì per consigliargli in tempo di cambiare argomento.
Lui ed Amily stavano per ordinare il secondo. Questo è l'ultimo ricordo che Mark aveva della serata, poi buio. La ricostruzione dentro la sua mente ripartiva dall'istante in cui quello che pensava fosse stato il tetto del posto in cui si trovava era stato scoperchiato, ed una creatura gigante lo aveva afferrato per la camicia, agitandolo in aria e lasciandolo cadere dentro un contenitore enorme, su uno scaffale immenso, in una stanza infinita.
"Affogherò". Aveva pensato. "Se mi butta lì affogherò. Però," aveva realizzato poi mentre era ancora a mezz'aria, "almeno non verrò mangiato da lui e non diventerò una sua cavia."
L'essere metallico lasciò cadere Mark in una scatola ripiena di un liquido in gran parte trasparente; piccole e curiose bolle verdastre riposavano immobili al suo interno.
L'uomo tentò inutilmente di restare a galla, ma lo strano fluido lo trascinò a fondo.
Voglio vivere, non voglio morire. Nella sua mente invasa dall'agitazione e dalla paura, quella sola frase riecheggiava con fare distinto, sottomettendo tutti gli altri pensieri e vincendo l'iniziale volontà di morte dell'uomo.
Mark si tappò bocca e naso con le mani, sforzandosi il più possibile di rimanere cosciente. Sapeva che se si fosse preso troppo dal panico avrebbe consumato in fretta quel poco ossigeno che aveva da parte e sarebbe morto. D'altronde, però, questo sarebbe finito comunque, prima o poi, e a quel punto non avrebbe avuto più scelta. La morte, per lui, ormai era certa. L'unica cosa che avrebbe potuto fare in quegli ultimi istanti sarebbe stata guardare alla sua vita ed accettarla in ogni particolare, ricordi felici e meno felici, azioni di cui era andato fiero e azione delle quali, invece, si vergognava ancora a parlare. Sì, perché, gli aveva insegnato la madre, se c'è una cosa peggiore della morte, quella è morire con dei rimorsi di coscienza. Il voler aver fatto una cosa in un modo e non in un altro, l'esser carico di rammarichi e di rimpianti, tutto questo cozzava violentemente con il concetto di morte felice. Giungere in punto di morte e il vedere qualche scelta del passato come sbagliata o inopportuna voleva dire morire triste, non godersi appieno l'apice della vita, l'amplesso finale. Perché la morte in fondo era questo, il passaggio da uno stato di confusione e turbolenza ad uno di calma e rilassamento, un sonno profondo all'interno del quale ciò che era non esiste più e ciò che è, si fonde col tutto cosmico; un sogno delirante senza spazio e senza tempo, durante il quale si è tutto e niente, ma lo si è in modo felice.
"Non ti preoccupare." Si sentì dire mentre stava ancora analizzando la sua vita. "Togli pure le mani dalla bocca, non affogherai. Immerso in questo liquido puoi comportarti normalmente, fidati." Poi aggiunse. "Avanti, prova."
Un po' titubante, ma pronto a morire, Mark liberò naso e bocca e prese una boccata di quello strano liquido. Se sulla pelle era caldo e morbido, dentro la gola lo sentiva insapore ma viscido, che scendeva pian piano verso le interiora, rabbrividendo davanti a quella insolita sensazione.
Quello che la voce gli aveva detto era vero, pur avendolo ingoiato, il fluido non lo stava uccidendo, anzi, gli permetteva di respirare normalmente, quasi non ci fosse.
<<Chi sei?>> Domandò Mark ad alta voce.
"Alla tua destra, nella gabbia accanto." Gli rispose.
Mark si avvicinò alla parete destra della scatola, guardando al di là di questa. Un essere antropomorfo e della sua stessa altezza stava dritto davanti a sé, osservandolo con due grossi bulbi oculari interamente neri.
<<Grazie.>> Gli disse l'umano.
"Di nulla." Rispose l'alieno.
Mark lo osservò per bene, notando che era completamente azzurro, costituito da qualcosa che, a prima vista, avrebbe detto esser acqua. Non aveva una bocca, né tanto meno naso od orecchie. Attraverso il torace, trasparente come il resto del corpo, Mark poteva notare gli organi interni sospesi nel liquido ed avvolti da qualcosa di più chiaro e lucente dell'acqua, e allo stesso tempo più solido; lo stesso materiale che formava lo scheletro interno ricopriva anche esteriormente l'alieno per via di un sottilissimo esoscheletro.
<<Ciao, sono Mark. Che cosa sei? Vieni dalla Terra anche tu? Lo chiedo perché ho notato che parli la mia stessa lingua.>>
L'alieno, notò Mark anche se il suo voltò non aveva mostrato alcun cambiamento, stava ridendo.
"Piacere Mark, il mio nome è qualcosa come Fiuusl, sono un selenide. E no, non vengo dalla Terra e ancora no, non ho parlato nella tua lingua. Anzi, per esser precisi, non ho proprio parlato. Quello che tu senti è semplicemente il mio pensiero. I concetti passano da una mente all'altra attraverso lo scambio di determinate immagini. Perciò, anche se i nostri linguaggi sono differenti, tu riesci a capirmi perché le immagini sono universali, non serve un dato alfabeto."
<<Impressionante. Senti Fiuusl, mi sapresti dire dove siamo?>>
"Dentro una navicella spaziale, all'interno di un laboratorio. Sei appena diventato parte della loro collezione."
<<Loro chi?>>
"Non hanno un nome, almeno per quello che ne so io. Sono una razza di creature a base di carbonio, a differenza di noi che siamo fatti d'acqua e sostenuti da cristalli di ghiaccio."
<<A me,>> disse Mark buttando un'occhiata verso l'esterno della scatola, <<non sembra fatto di carbonio.>>
"Da quello che so, loro hanno raggiunto un livello tecnologico talmente elevato, che ormai ne dipendono completamente. Se vedi, il loro corpo è racchiuso in quell'armatura metallica formata da placche che risponde agli stimoli elettrici elaborati dal cervello; solo la testa è rimasta in bella vista, anche se hanno perso l'uso della vista.
I loro arti originali sono interamente morti, per questo ne usano di artificiali. Da ognuno dei quattro fori disposti ai lati del torace possono fuoriuscire altrettante braccia, mentre la sfera sulla quale sono seduti gli aiuta a levitare e a spostarsi nell'aria."
<<Davvero sbalorditivo, ma ancora non capisco perché ci troviamo qui.>>
Intanto, al suo candido tavolo, l'essere ricoperto da metallo prese un essere umano dal contenitore e lo avvicinò al suo viso. Lo annusò con le sue grosse narici, girandolo e rigirandolo da tutte le parti. Quando pensò di conoscere abbastanza bene le caratteristiche esterne del suo corpo, ordinò ad un altro artiglio meccanico di uscire dalla corazza. Lo portò sull'addome dell'umano e, con un gesto rapido, lo trapassò da parte a parte; le urla dell'uomo nemmeno le sentì. Le dita metalliche, come anche il tavolo bianco, si tinsero immediatamente di un rosso acceso.
L'alieno, soddisfatto, si portò una mano al viso, togliendosi la maschera che gli copriva la parte inferiore del volto. Una semiluna dentata fece la sua apparizione sulla rotondamente perfetta testa dell'alieno: una bocca dall'inumana lunghezza e dalla sadica curvatura, un esercito di zanne appuntite che scintillavano nella luce artificiale del laboratorio.
Crack, si sentì una volta. Crack, una seconda.
L'alieno divorò l'uomo lentamente, morso dopo morso, un assaggino dopo l'altro, assaporandone la dolce carne matura e stupendosi per la fragilità delle ossa. La testa fu l'ultima a venir mangiata; una sferetta irregolare, piccola quanto un terzo del dito metallico dell'alieno. Crack, urlò appena la zanna la penetrò. Crack, continuò la sua ultima serenata, il suo requiem aeternam mentre i famelici coni d'avorio la tritavano.
Coi bordi della bocca macchiati di rosso e l'appetito risvegliato, lo scienziato metallico afferrò un altro essere umano e ripeté l'operazione. Poi un altro, e un altro, e un altro... finché il contenitore non si svuotò. A quel punto, rimessosi la maschera, si avvicinò al centro del laboratorio e pensò qualcosa. Il visore s'illuminò brevemente e una colonna ancor più bianca del resto della stanza si alzò dal pavimento. Una volta giunta alla sua altezza, l'umanamente pazzo biologo toccò alcuni punti sulla sua superficie, poi il visore brillò nuovamente, ed ecco che la colonna tornò sotto il pavimento a scacchiera.
"Questi esseri sono affascinati dalla vita, dal cosmo. Essi viaggiano per l'universo in cerca di esseri intelligenti almeno quanto loro. Appena giungono su pianeti abitati, mandano delle sonde sferiche che hanno il compito di prelevare un certo numero di creature viventi ed elementi che costituiscono il mondo circostante e portarli sulla nave, rigorosamente mantenuta ad una distanza tale da non esser intercettata.
A questo punto, i campioni vengono affidati a degli studiosi che ne mettono da parte tre: due di questi esemplari vengono salvati per, eventualmente, mandare avanti la loro razza.
Se osservi questa stanza immensa vedrai che vi sono otto pareti, sei delle quali presentano degli armadietti. Cinque di queste pareti rappresentano una diversa galassia, mentre ogni armadietto un pianeta sul quale essi hanno trovato vita e che presenta elementi organici o meno prelevati dalla sua superficie.
Gli scaffali dell'ultima parete, quella dove ci troviamo noi adesso, accoglie un rappresentante in vita per qualsiasi razza che loro hanno incontrato. Se potessi guardarti intorno potresti vedere questo zoo cosmico. Alla tua destra hai un selenide, alla sinistra un yahoo, esseri quasi più intelligenti degli umani aventi l'aspetto di quelli che voi chiamereste cavalli."
<<Quindi, se ho capito bene, noi siamo come figurine dentro una collezione, giusto?>>
"Proprio cosi."
<<Ma perché si danno tanto da fare per collezionarci?>> Domandò perplesso Mark.
"La loro razza si reputa la più avanzata dell'intero universo. Credono di poter disporre di tutto ciò che il cosmo contiene e utilizzarlo a proprio piacimento. Quando incontrano una razza meno progredita della loro, prima raccolgono tutte le informazioni possibili sulla loro composizione, poi, dopo essersi rivelati loro come entità pacifiche, ne studiano i comportamenti sociali per un determinato periodo, dopodiché sterminano l'intera razza."
<<Gli esseri umani verranno sterminati?>>
"Esattamente come furono sterminati gli yahoo e i selenidi.
Io mi trovo qui dentro da un tempo superiore a quello che tu definiresti duecento anni. Il liquido in qui siamo immersi ci procura tutte le sostanze nutritive e gli elementi utili alla nostra sopravivenza. Siamo dei trofei che esibiranno contenti al ritorno sul loro pianeta, siamo giocattoli nelle loro mani. Destinati a vivere in eterno in questa gabbia trasparente, passare il resto dei giorni di questi esseri nella noia e nella monotonia più totale. Questo è il nostro fato."
<<Io non voglio!>> Esclamò irritato Mark. <<L'eternità mi fa paura e la noia ribrezzo. Non accetto di vivere all'infinito, né di sopravvivere a tutti quelli che ho conosciuto o che avrei potuto conoscere, buoni o marci che erano. Piuttosto preferisco falla finita, qui e subito.>>
"Vuoi morire?"
<<Sì.>>
"Mi spiace sentirlo, la vita non dovrebbe mai venir buttata via."
<<Stare in vetrina non è vita.>> Mark estraesse una penna dalla tasca, la penna che suo zio gli aveva regalato. Bella, scura, lucida. Dalla punta delicata, una stilografica da collezione.
<<Fiuusl, è stato bello conoscerti.>>
"Anche per me, Mark, anche per me. Saluta chiunque tu incontri nell'aldilà per me."
<<Va bene.>>
Un gesto rapido, un movimento spoglio da dubbi, da ripensamenti. Scagliò la punta della penna contro la propria gola, si recise la carotide, cadendo in ginocchio dal dolore. Le mani gli tremavano e il terreno sotto di sé sembrava scomparire. La vista era offuscata e sentiva il petto bagnato.
Quarantatre anni erano stati una bella vita, non delle migliori, ma comunque accettabile. Aveva vissuto la vita che aveva voluto e ora, in punto di morte, sentiva di non avere rimpianti.
Mark cadde esanime sul fondo della scatola. Un altro uomo mediocre aveva abbandonato un mondo mediocre.
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