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L'angelo custode
Entrai in commissariato e mi diressi alla mia scrivania.
Il mio partner sbucò dal nulla e mi si affiancò.
"Dove vai?"
"Sull'isola che non c'è, e non porto bagagli inutili tipo te."
"Molto spiritosa."
Feci una risatina e continuai a camminare.
"Però prima d'imbarcarti è meglio se mi segui nell'ufficio di LoRusso."
Mi fermai.
"Perché?"
Lui mi imitò e si voltò.
"Perché ti ha scritto di nuovo."
Quando chiusi la porta, LoRusso se ne stava seduto alla scrivania, con una busta tra le mani.
Lentini si mise vicino alla finestra, ed io impaziente parlai per prima.
"Mi ha scritto di nuovo?"
"Sì, a quanto pare."
La appoggiò sulla superficie del tavolo, ed io lo seguii nei movimenti.
"I ragazzi hanno già controllato eventuali tracce o impronte", scosse il capo. "Non risulta niente."
Mi avvicinai, la fissai, e mi rivolsi nuovamente a lui.
"È aperta."
"È stato necessario per la prova delle impronte", fece una breve pausa. "Sono stato presente durante il test. Puoi stare tranquilla, nessuno ha letto niente."
Io non risposi. Estrassi il foglio e lessi ad alta voce.
<<Questa volta tocca a chi una notte osò gridarti contro così tanto da farti restare un groppo.>>
Il tuo angelo custode.
"Secondo te che significa?", mi domandò il vicequestore.
Scossi il capo. "Non lo so."
Feci qualche passo nella stanza e provai a riflettere sul suo significato.
"Forse il killer si riferisce a qualcuno che hai arrestato di notte...", suggerì Lentini.
Mi bloccai.
"Oppure a qualcuno con cui ho avuto da ridire per qualcosa d'importante."
LoRusso aggrottò la fronte. "Che vuoi dire?"
"La frase dice che mi ha fatto restare col groppo. Penso si riferisse al groppo in gola", continuai spiegando. "E il groppo in gola quando viene?"
Il vicequestore fece spallucce. "Quando si litiga con qualcuno a cui tieni."
M'illuminai. "O magari... per qualcuno a cui tieni."
"Hai in mente un nome?"
Annuii.
"Chiami la squadra!", dissi precipitandomi fuori.
Arrivammo sul posto un quarto d'ora dopo. Salimmo le scale del condominio e una volta arrivati al piano interessato, facemmo irruzione.
Avevamo controllato tutte le stanze convinti che questa volta il killer avesse fallito, o che magari io avessi sbagliato intuizione. Magari che avesse mentito lui, che quella lettera fosse in realtà una presa in giro.
Non era stato così: la donna giaceva per terra, inzuppata del suo stesso sangue. Il killer le aveva reciso la gola e le aveva inciso sulla fronte, la parola 'red'.
In quel viso straziato riconobbi il volto della donna con cui avevo avuto da ridire appena due notti fa, e quello mi fece alterare ulteriormente.
Abbassai l'arma e tirai un calcio alla porta.
"Merda!", gridai.
I miei colleghi mi fissarono, e uno di loro chiamò l'intervento della Scientifica via radio.
Come se le voci fossero solo un lontano sottofondo, mi strofinai la fronte e tornai con lo sguardo a quell'espressione spenta: l'angelo custode aveva di nuovo ucciso per me.
Arrivati in centrale, Lentini cercò di tranquillizzarmi.
"Come puoi dire che non è colpa mia?", risposi muovendomi avanti e indietro nel corridoio.
"Perché non sei tu che affondi la lama nella carne. È opera di un folle."
M'imposi sui fianchi e gli tirai un'occhiataccia senza smettere di camminare.
"Peccato che quel pazzo semini morte perché quelle persone in qualche modo hanno a che fare con me!"
Esitò. Poi mi chiese: "Chi era quella donna?"
Scossi il capo facendo intendere che non avevo voglia di parlarne.
"Una che aveva a che fare con l'affitto di mio fratello. È una lunga storia."
Lui annuì, e non mi chiese ulteriori informazioni, né su Gregorio né sulle sue recenti condizioni di vita.
In quel momento svoltarono l'angolo due agenti, e si diressero alla macchinetta del caffè.
Mentre ero intenta a ripensare a quel folle, come se io non fossi là, uno dei due agenti si rivolse al collega, ed esordì: "Bisogna fare attenzione a non fare arrabbiare l'ispettore Fermi, altrimenti potremo ritrovarci anche noi con la gola tagliata."
L'altro sogghignò, e gli passò il bicchiere.
Io li fissai.
Lentini si alzò dalla sedia e si mise al mio fianco.
"Lasciali perdere."
"Io ho un'altra idea, e tu non ti immischiare", sussurrai schivando il consiglio.
Feci appena qualche passo. "Scusa?"
L'agente che aveva parlato si voltò.
"Oh, ma è lei. Proprio non ti avevamo vista..."
Insieme al partner, rise.
Seguita da Lentini, mi avvicinai.
"Guarda che non c'è bisogno del killer. Quella faccia te la posso spaccare senza l'aiuto di nessuno."
A quel punto emise un fischio.
"Ma davvero? Me la sto facendo addosso dalla paura."
Rise nuovamente col collega, e tornando a fissarmi, continuò: "Porta i guantoni. Non vorrei mai che ti rovinassi le unghie a spaccarmi la faccia, donna."
Esitai. Poi con un lieve gesto della mano gli feci ribaltare il bicchiere di caffè bollente che teneva in mano, e che si rovesciò sulla camicia.
Sorrisi a mia volta. "Portali tu i guantoni, stronzo. Io me la cavo bene anche senza."
Mi allontanai, e Lentini mi seguì.
Appena qualche minuto dopo, io, il mio partner e LoRusso, ci ritrovammo in un ufficio sotterraneo dell'edificio, lontano da presenze poco gradevoli.
"Ora che siamo tutti un po' più tranquilli...", esordì il vicequestore, fissandomi.
"Guardi che non gli ho fatto niente", dissi.
"Hai reagito. E non c'è cosa più sbagliata. Non penso di dovertelo ricordare."
"Okay, non bisogna reagire, però non bisognerebbe neanche provocare."
LoRusso mi fissò allibito.
"Lo stai dicendo per davvero? Ma che discorso è? Se lo fa lui, allora sono autorizzato a farlo anche io? Questa è mentalità per idioti."
Annuii, Sapevo che aveva perfettamente ragione.
"Lo so", risposi fissando un altro punto.
Lentini s'intromise. "Però c'è anche da dire che quello Scalzi è veramente un fottuto idiota."
LoRusso lo guardò. "Certo, è assolutamente vero: non posso smentire", fece una pausa. "Però è un errore comunque. Voglio che sia ben chiaro che per qualsiasi problema, esisto io."
Ci fissò entrambi.
"Sono chiaro?"
Annuii.
"Sì", rispose Lentini.
"Perfetto. Chiarita questa storia, veniamo al dunque."
Portò lo sguardo su di me.
"Devi stilare una lista, Fermi."
"Una lista di che cosa?"
"Di nomi. Dei nomi che secondo te potrebbero avere a che fare con questi omicidi."
Io scossi il capo, senza capire.
"Cioè, intende dire che dovrei stilare una lista delle persone con le quali ho litigato in vita mia?"
"Sì, intendo proprio questo."
Risi, scettica.
"Come pensa che possa riuscirci?"
"Con carta e penna", suggerì ironico Lentini.
"Avanti, dottore. Come faccio a ricordare tutti i nomi?"
"Per ora scrivi quelli che ti ricordi. Quelle persone potrebbero essere in pericolo."
Non risposi.
Stava per andare via quando resi presente un altro particolare senza risposta.
LoRusso si voltò, ed io continuai.
"Il killer oltre ad uccidere, marchia le vittime scrivendo la parola 'red' sul corpo. Che diavolo significherà mai?"
Lentini parlò nuovamente.
"Potrebbe significare rosso, come il sangue."
Io e il vicequestore ci voltammo a fissarlo, ma senza dire nulla.
Credo che Lentini avesse compreso che stavamo reputando la sua ipotesi altamente fuori dalle reali possibilità, perché fece un passo indietro e non disse più nulla.
Quel pomeriggio avevo stilato una lunga lista di nomi, ma non ero convinta che quello sarebbe servito a fornirci una pista per fermare il nostro killer.
Uscii dal commissariato che erano le otto di sera, mi diressi all'auto e partii verso casa.
A quell'ora stranamente le strade non erano particolarmente intasate, e quello mi valse la possibilità di arrivare a casa in poco tempo.
Mentre parcheggiavo, notai qualcuno seduto sulle scale.
Scesi e m'incamminai a piedi.
Quando vidi di chi si trattava, pensai di conoscere il perché si trovasse lì da me.
"Ho saputo cosa è successo alla donna dell'affitto", mi disse.
Eravamo a pochi passi. Io annuii. "Lo so."
"Che tu ci creda o meno, mi dispiace."
"Certo che ti credo."
Fissò un altro punto quando mi disse: "Non sapevo dove andare. Mi dispiace esserti piombato qua all'improvviso."
Scossi appena il capo. "Come se fosse la prima volta."
Tornò a fissarmi. "È un rimprovero?"
"È un modo per farti capire che non riceverai mai un rifiuto da parte mia. Se non fossi venuto tu, sarei venuta a cercarti io."
Mi avvicinai e mi misi sulle ginocchia.
"Sei mio fratello.", continuai sottolineando. "Non potrei mai negarti il mio aiuto."
Lui annuì, e sorrise, ma scorsi anche le lacrime che tentava di celare ogni volta che ci vedevamo.
Infine lo abbracciai e lo invitai ad entrare.
Avevamo cenato verso le dieci, e nel mentre avevamo tentato di parlare di argomenti lontani dal caso che stavo seguendo, dei suoi problemi con l'alcool e di quello che stava passando per disintossicarsi.
Era mezzanotte e mezza passata quando si mise a letto, esausto. Io invece tornai in cucina.
Mi misi al tavolo e con la mente tornai al caso, ma avevo sonno e dopo poco mi addormentai.
Sognai di trovarmi all'interno di una struttura buia. Vedevo poco, ma sentivo che nella stanza c'era qualcuno con me.
Tesi l'orecchio e ascoltai: parevano dei lamenti indistinti. Infine sentii sfiorarmi i capelli.
A quel punto mi svegliai di colpo, e fu come se tutto fosse stato reale.
Mi accorsi che la luce era spenta, e là capii che qualcosa non andava. Mi alzai dalla sedia e mi misi spalle al muro.
"Stai tranquilla", udii. "Non devi aver paura."
Mi toccai istintivamente il fianco, ma la fondina e l'arma le avevo lasciate in camera quando mi ero cambiata di abiti.
"Non ne hai bisogno", continuò quella voce. "Non voglio farti del male."
Presto i miei occhi si abituarono al buio, ed io riuscii a vedere la sua sagoma.
"Mio fratello."
"Tranquilla. L'ho solo addormentato. So quanto tu gli sia affezionata."
Esitai. "Sei l'autore di quelle lettere?"
"Sono io."
"Che vuoi da me?"
"Il mio tempo è scaduto. Ormai sono finito."
Aggrottai la fronte. "Non capisco. Non siamo riusciti a scoprire la tua identità."
"Non parlo della polizia", continuò dopo una pausa. "Sono malato, Cinzia. E sto per morire."
Io non dissi nulla.
A quel punto decise di mostrarsi alla luce della Luna che fioca filtrava attraverso i vetri, rivelandomi il suo volto.
Per un attimo fu come se l'avessi già visto da qualche parte.
Mi si avvicinò, tendendo le mani come se volesse accarezzarmi il viso.
"Stai indietro!"
Lui si bloccò, e ritrasse le braccia.
"Sono il tuo angelo custode, non ti farei mai del male."
"Ora basta con i giochi e le filastrocche. Dimmi chi sei veramente e come fai a conoscermi!"
"Posso capire che non ti ricordi di me. Dopotutto ero solo un povero bambino emarginato e costretto agli angoli in qualsiasi circostanza."
Lo lasciai parlare.
"Elementari, classe terza."
Cercai di fare mente locale fino a quando rammentai la sua immagine, e lo rividi seduto in fondo all'aula, solo e impaurito.
Tutti i compagni gli davano le spalle e di tanto in tanto si voltavano a ridere, facendogli intendere che stessero parlando male di lui.
Anche se non voleva darle a vedere, notai le sue lacrime.
Mi avvicinai e m'imposi sui fianchi.
Gli sorrisi.
"Non badare a quegli sciocchi!"
Lui alzò la testa e mi fissò con gli occhi lucidi.
"Il compito possiamo farlo insieme, se vuoi. Vieni vicino a me", ripresi io.
Gli tesi la mano.
Lui non si scompose, ed io lo incitai col capo ad afferrarla.
Infine lo fece.
"Prendi lo zaino e tutto il resto. Ti trasferisci accanto a me", conclusi io.
A quel punto cominciò a ritirare il quaderno, i pennarelli e il resto delle cose, ed io gli diedi un aiuto. Nel mentre, non smise un attimo di sorridermi.
Tornata al presente, mi resi conto di avere gli occhi lucidi.
"Emanuele?"
Lui annuì appena.
"Per tutto questo tempo, eri tu."
"Ho dovuto farlo."
"Perché?"
"Perché, dici?", continuò facendo spallucce. "Per ricambiare il favore."
"Io non ti ho mai chiesto nulla in cambio."
"Lo so", fece una pausa. "Ma fare quello che ho fatto è stato istintivo."
"Uccidere?"
"No. No", mi corresse subito come se avessi pronunciato un'eresia. "Proteggerti."
"Da che cosa?"
"Dal male. Dal male che ti circonda. Non posso permettere che una persona come te soffra o muoia. Lo capisci, vero?"
Io non risposi.
"Ho dovuto farlo, Cinzia", riprese. "Quelle persone in qualche modo ti avevano fatto del male. Il mio compito era quello di proteggerti."
"Perché scrivi 'red' sui corpi?"
Lui inclinò il capo come fanno i cani. "Redenzione", spiegò. "Morire è ciò che hanno dovuto compiere per farsi perdonare da te."
Non dissi nulla.
"Quello che ho dovuto subire lo so solo io, e mi accompagna ogni giorno. Tu vedevi determinate azioni, dispetti... ma la verità è che in vita mia ho subito molto di più."
Sembrò perdersi nei suoi pensieri, quando mi raccontò: "Mio padre beveva, e picchiava me e mia madre quando più gli andava. Ne ho prese davvero tante."
Io rimasi ad ascoltarlo.
"Un giorno ero tornato da scuola, e trovai mamma per terra. Notai le bottiglie sul tavolo della cucina, e capii che papà aveva bevuto di nuovo e che l'aveva picchiata. Mi precipitai verso di lei, e mi accorsi che respirava ancora."
"Poi che è successo?", gli chiesi.
"Mio padre mi stava aspettando. Feci appena in tempo a voltarmi che mi ritrovai disteso accanto a mia madre."
"A quel punto che hai fatto?"
Lui mi fissò.
"Quando avevo paura e non sapevo cosa fare, correvo lontano, nel bosco", continuò annuendo. "Nel bosco si stava meglio. Al sicuro dalla paura si stava meglio."
Fece una pausa, si tamponò gli occhi per scacciare residui di lacrime e sogghignò quando disse: "Un giorno però nel bosco ho fatto un'altra cosa."
Attesi. "Che cosa?"
"Ci ho seppellito mio padre. Capii che io e mia madre non saremo durati ancora molto, e che volevo smettere di avere paura."
"E adesso non hai più paura?", chiesi.
Lui esitò.
"Ho avuto paura per tutta la vita, tranne che con te."
Non risposi, ma quella frase non riuscì a non colpirmi.
"Non eri come gli altri bambini, allora, e non sei come il resto della gente, adesso", continuò. "Lo vedo come cerchi di aiutare le persone in difficoltà."
"Mi dispiace di non averti saputo salvare", dissi a quel punto.
"No", scosse il capo e la sua voce sembrò tremasse, quando disse: "No, tu hai fatto molto di più di quello che credi."
Lo guardai scettica. "Sei diventato un assassino. Questo è averti aiutato?"
"Mi hai salvato quel giorno in classe, e quella è stata la prima volta dopo tanto tempo che qualcuno si interessava a me."
A quel punto sorrise tra le lacrime. "Avrei voluto aver il tuo carattere, Cinzia. Per potermi salvare."
"Puoi ancora farlo, però", dissi.
"No", scosse il capo. "Non posso più ormai."
Per la prima volta da quando eravamo là, estrasse un'arma dall'interno dei pantaloni e la caricò. Io lo seguii nei gesti.
"Con quella che ci devi fare?"
Si umettò le labbra, e tirò su col naso. "Devi promettermi una cosa, Cinzia."
Diedi un'altra occhiata veloce all'arma, e riportai lo sguardo su di lui.
"Ti ascolto."
"Devi promettermi che qualunque cosa succederà nella tua vita, non cambierai mai quello che sei."
Annuii.
"Te lo prometto."
A quel punto mi sorrise, e là riconobbi lo stesso stato di tranquillità e pace ritrovata di quando diceva che l'avevo salvato tra i banchi di scuola.
Non riuscii a fermarlo. Non riuscii a fare niente per salvarlo una seconda volta.
Si mirò alla tempia, premette il grilletto, e le cervella schizzarono sulla parete bianca della cucina.
Mi fiondai su di lui, ma invano. Il suo corpo vacillò e si schiantò al suolo.
Rimasi per terra, senza poter fare nulla; tranne che piangere.
Quando la polizia arrivò sul posto, mi feci trovare all'ingresso.
Con loro, c'era anche LoRusso che mi fece cenno col capo.
"Stai bene?"
Io feci una smorfia, e non dissi nulla.
Annuì. Mi appoggiò una mano sul braccio ed entrò dentro casa ad ispezionare la scena.
Qualche attimo dopo, sentii: "Tuo fratello come sta?"
Mi voltai, e vidi Lentini avanzare verso di me.
"Sta bene. Non gli ha fatto nulla."
Attese qualche istante prima di ricordarmi che quello che era appena successo, non era colpa mia.
Annuii. "Lo so", continuai. "Però dopo aver saputo come sono andate le cose, non riesco ad essere indifferente."
"Ti capisco."
Rimasi a fissare un punto indefinito della strada quando dissi: "Quel ragazzo ha chiesto aiuto per tutta la vita, e nessuno l'ha capito."
Lentini mi mise un braccio sulla spalla.
"Andiamo da tuo fratello."
Io annuii ed entrammo in casa.
Che angoscia, pensai. Essere il raggio di sole nei giorni grigi di qualcuno, e non saperlo. E adesso quel qualcuno non c'era più, rimasto schiacciato dall'ombra.
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0 recensioni:
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- AHAHAHAHAH!!! Ma grazie infinite!
Voi lo sapete che quando parlare bene dei miei dialoghi, è per me un colpo all'anima (in senso buono ovviamente)!
Lusingata per le sei stelle, momentaneamente mi prendo le cinque che hai cliccato!
Grazie mille, Ste!!! Un abbraccio.
- Accidenti, questo è il racconto migliore che abbia letto sino ad'ora, senza ombra di dubbio. I dialoghi paiono talmente naturali da farti credere che chi sta parlando si trovi accanto a te.
Ancora una volta ci sono tutti i particolari che contraddistinguono i tuoi racconti gialli, quelli di cui sentivo la mancanza
Visto che sei stelle non ci sono dovrò per forza di cose metterne cinque
Brava, continua così!!!!
- Ahahahah! Eccolo!
Ti ringrazio, Giova!
- Io la trovo super sexy questa Fermi. Bel ritmo e dialoghi puliti: 5 stelle!!
- Ahahahah!!! Sono sicura!
Anonimo il 17/10/2010 16:12
Complimento? Ne sei sicura? Ho detto che da vino novello ti stai trasformando in vino maturo. Vecchio.
- UAU! (Che poi sarebbe WOW!)
Che bel complimento, Fabri! Davvero, son contentissima!
Grazie mille!!!
Anonimo il 17/10/2010 15:03
Ciao Robi
è un po' che non passo da queste parti; leggere il tuo racconto è stato come trovare una bottiglia di buon vino dimenticata in cantina. Brava! Proprio come il buon vino migliori maturando. È vero c'è qualche imperfezione ma nell'insieme il racconto è scorrevole e ammaliante.
Considerato che, come sai, il noir è un genere che aborro...
Ora vado a leggere l'ultima tua fatica
- Ogni volta che mi dici che in un mio racconto vedi un film, mi fai sempre contenta!
Eh sì, è vero: infatti nella parte finale ho voluto mettere in risalto la motivazione che ha portato quel ragazzo a diventare un assassino.
Grazie, Sara! Ciaooo!
- brava Roberta, io ero talmente presa a leggerlo che non ho fatto caso agli errori. La storia è molto scorrevole e con le conversazioni sembra di vedere un film. Poi c'è anche la parte sentimentale che fa trasformare certe persone in Killer.
- Linoge. Non è possibile mettere il "mi piace" al tuo commento. Vabbè... tu conta che ci sia.
- Okay dai, le imperfezione stilistiche e concettuali interpretiamole come licenze poetiche.
Grazie mille dei complimenti, davvero!
Chissà... magari più in là proverò a cimentarmi per far uscire qualcosa di diverso da un racconto alla Mickey Spillane, anche se dal mio punto di vista non vedo somiglianze alcune tra il mio genere ed il suo (e meno male)!
Grazie del passaggio, Alessandro.
A rileggerci, ciao!
- Michele, hai ragione. Solo che i racconti li scrivo uno dietro l'altro, e prima di pubblicarne anche solo uno preferisco terminarli tutti (o quasi).
La cosa buona è che quando decido di dividere in più parti il racconto, le pubblico nella stessa giornata. Il resto dei miei scritti non sono concatenati tra loro tramite trame o personaggi, quindi volendo non si è obbligati ad andare a leggere gli episodi precedenti.
Per quanto riguarda il vocabolo "coroner", mi sono informata. Hai ragione: in Italia non esiste.
Per quanto riguarda i complimenti, non posso che ringraziarti di vero cuore. Sul serio, li ho davvero apprezzati! Sentirsi dire che si sfiora la perfezione... beh!
Alla fine del tuo commento mi sono resa conto che dalla felicità, avevo stampato in viso una specie di sorriso demenziale.
A presto,
- Mi permetto l'intromissione: Invano, poiché non riesce ad impedire che il suo corpo senza vita si schianti al suolo, perché è mossa da una pietà che solo poco prima non avrebbe avuto nei confronti del killer.
Anonimo il 29/09/2010 11:15
Al di là di alcune imperfezioni stilistiche e concettuali (del tipo ' Si mirò alla tempia, premette il grilletto, e le cervella schizzarono sulla parete bianca della cucina.
Mi fiondai su di lui, ma invano). Invano? Ci sarebbe da stupirsi del contrario visto che le cervella sono schizzate sulla parete!) il tuo raconto si fa leggere. Il ritmo è agile, i dialoghi funzionano. Al tuo posto, sfrutterei l'attitudine che hal a raccontare per scrivere qualcosa di diverso dal racconto alla Mike Spillane che ho appena letto. Per uscire fuori dal coro occorre appozzare all'ingegno. Tu puoi farcela.
- Roberta sfiori la perfezione. Solo due insignificanti appunti. Il primo: troppo tempo tra una puntata e l'altra, costringi a rileggerti i precedenti per ricordare e il secondo riguarda un uso improprio del termine Coroner, in Italia non credo si usi.
Per il resto mi sono già espresso all'inizio.
Complimenti
- Sempre piacevoli i tuoi complimenti, Linoge: cinque stelle.
Ahah, è vero! Ormai è ufficiale: siamo empatici.
Bene, bene. Allora attendo quel romanzo... con quella bella trametta, non vedo l'ora di leggerlo!
ps: quando ho letto "lista", nel tuo commento, ho subito pensato a Jacob. Andiamo sempre peggio... ahahah!
- Bellissimo, Robi, valeva la pena aspettare!! Ci sono parecchie sfumature di grigio, come piace a me, ed è scritto senza sbavature, scorre via piacevolmente. Sulla questione della lista ho temuto che ci fosse davvero un qualche collegamento mentale tra noi due, visto che tra le mie idee di romanzi futuri ce n'è uno imperniato su una lista del "chi avrebbe una ragione per ucciderti?"!!
Beh, che dire, fallo dove preferisci, ma continua a pubblicare!!
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