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Fantasy
Stanco.
Sono stanco e stufo di tutto; lavoro, amici, famiglia.
In ufficio va male. Non una cosa che vada per il verso giusto e non per colpa mia. Struttura mezza pubblica e privata, la società presso la quale lavoro non promuove né spirito di profitto né obiettivi verso il prodotto. Invece di essere proiettati verso l'esterno, il cliente; le già scarse risorse umane sono completamente votate al gioco al massacro di un eterno scaricabarili di responsabilità.
Non a caso una voce pesante del bilancio è quella delle consulenze legali. Spese sostenute per pareri d'illustri avvocati su qualsiasi stupidaggine comporti una minima responsabilità da assumersi da parte del management. Alla fine quello che conta è solo che chi decide possa dimostrare di non avere colpe.
Sono disgustato. Non voglio entrare nel meccanismo. Mi rifiuto di scaricare sulle persone accanto e sotto di me quello mi piomba dall'alto.
Con gli amici, l'ambiente sociale dove sono cresciuto e vivo, non va bene.
Essere onesto con me stesso ha avuto conseguenze tragiche.
La mia colpa? Aver messo in dubbio tutto quello in cui credevo e che, purtroppo, ispira la comunità in cui vivo.
Ora sono una specie d'appestato, un malato da amare e curare, ma pur sempre da tenere sotto osservazione. Un diverso, un sovversivo che se non si riesce a curare deve essere isolato per evitare il contagio.
I miei dubbi esistenziali possono diventare una mina vagante per la fede dei deboli. Per questo motivo sono stato gentilmente invitato a non turbare con il mio comportamento, astensioni e silenzi la coscienza altrui. Sì perché il non partecipare, il non dire "oh che bello..." è già affermare che è brutto. In somma o dentro o fuori.
Facile a dirsi; ma ciò significa che tutti i legami e i ricordi che in 20 anni mi hanno legato a queste persone umili e generose si dissolveranno in un sol colpo.
L'amore cristiano della comunità è di tipo "Agape", basato sul principio. L'amore per il prossimo quello per il proprio nemico per le persone che non conosci.
Tutto bellissimo, un paradiso, ma dov'è finito storgè, filia... eros.
In pratica ora sono solo e senza amici, ammesso che ne abbia mai avuti.
Macerie; vedo l'orizzonte ma vivo in mezzo a cumuli di macerie.
Era prevedibile che non si prendesse bene la posizione "agnostica" pubblicamente manifestata quando mi sono dimesso da tutti gli impegni sociali.
Non mi perdoneranno mai quello che considerano un voltafaccia.
Per loro è solo colpa mia. Lo spingersi oltre è il peccato commesso da troppi uomini e meno male...
Mi si accusa di essermi lasciato corteggiare da idee malsane, pensieri sovversivi. "È tutta colpa di quelle schifezze di libri che leggi e delle persone con cui parli con quel maledetto computer."
Come spiegare a certa gente sentimenti, dubbi e angosce umane di personaggi come Hesse, Mann, Wilde...
Ma è possibile imbrigliare il pensiero?
Perché ho le ali se non posso volare?
Perché devo essere un pollo da batteria con le ali atrofizzate piuttosto che una colomba?
Meglio librarsi in cielo liberi con la paura d'essere vittima di un predatore, piuttosto che zampettare all'ingrasso in un caldo pollaio per tre quattro mesi di tranquilla esistenza, per poi finire in ogni caso in padella.
Il massimo dello sconforto mi prese quando mi dissero: "Diventi così proprio ora che hai una figlia piccola; lei ha bisogno della tua guida spirituale..."
Sì mia figlia, che avrei risposto ai suoi perché?
Forse hanno ragione loro il matto sono io.
A completare il quadro c'è la mia passionalità; la voglia di fare, di dire, d'amare che indirizzo a destra e a manca senza risultati. Scarico molte di queste energie nel ballo. Era stata dura cominciare. Mia moglie non voleva, poi acconsenti controvoglia finche alla fine dovemmo smettere. Non volendo rinunciare mi sono trovato un'altra donna da abbracciare al ritmo di valzer e tango con l'ipocrita convinzione che tanto è solo un ballo.
Se, se un ballo... Passione allo stato puro, solo che si ferma alla musica finche dura.
Il risultato di tutto questo è il malessere che mi porto dentro.
Perso in queste meditazioni mi vennero in mente altri periodi neri del passato. Ripensai alla prima cotta. Soffrivo da cane. Non sono stato mai fortunato con le donne. Allora né usci in modo strano "correndo". Si correndo!
Abitavo in periferia quasi in campagna dove abito ora da sposato. La scuola superiore che frequentavo a quei tempi, era a circa 6 km di distanza. Un giorno decisi di non prendere più l'affollato autobus ma di andare a scuola correndo per la pineta.
L'idea era di allenarmi per una mezza maratona di 25 km che si tiene tutti gli anni ancora adesso cui non ho avuto mai il coraggio di partecipare.
Il correre ben presto si rivelo più interessante di quanto immaginassi. I passi sulla terra nuda del sottobosco, diventarono musica; ritmo cadenzato all'unisono cardiaco con l'anima. Correndo fuggivo dalle angustie. L'amore non corrisposto era dietro di me più correvo più l'abbandonavo.
Pensai alle parole del salmista "oh avessi io le ali qual colomba volerei..."
Poteva funzionare ancora mi chiesi? Poteva essere il correre di nuovo la mia cura?
Decisi di provare; sarei andato in pineta a correre la prossima domenica.
Era molto tempo che non venivo in pineta. Quando arrivai notai con piacere che l'amministrazione comunale aveva sistemato dei percorsi per la corsa e anche una piccola palestra all'aperto. Mi metto in moto. Piccoli passi senza pretese, non devo dimostrare nulla sono qui per godermi la natura. Non sono più un ragazzino, forse dovevo farmi vedere da un medico prima di riprendere a correre. Ma che importa se non ce la faccio cammino. Cosi dico a me stesso e poi mi lascio coinvolgere dalla bellezza del posto. Il profumo è intenso, la pineta é piena di rumori però ho nostalgia. Troppa gente intorno a me; non la sento più il luogo delle mie corse mattutine. Allora la pineta era selvaggia incolta. I sentieri che percorrevo correndo, spesso soccombevano alla macchia bassa d'arbusti, così che era facile perdersi. Ricordai allora un fatto accaduto molti anni fa.
Per questa imprevedibilità di percorsi, mentre una mattina di primavera correvo leggero verso scuola, mi persi. Gira a destra gira a sinistra mi ritrovai in luogo stranissimo; una radura circolare priva di alberi con una casa in legno con il tetto a falde al centro. Sembrava una costruzione d'altri tempi come uscita da un libro di favole. Era in uno stato d'abbandono pietoso come se aspettasse un alito di vento per crollare.
Fui tentato di entrare per saperne di più, ma era tardissimo e dovevo andare a scuola. Così rimandai le indagini ad altra occasione e mi misi in cerca della via per l'istituto.
Per mesi tentati di ritrovare quel posto senza riuscirci. Quella casa nella radura rimase un affascinante mistero di gioventù.
Assorto nei pensieri, il fiato corto e la fatica si fecero sentire, ma allo stesso tempo mi liberavo da pesi più gravi; come allora alleggerivo l'anima.
Deciso a ripercorrere antichi sentieri, abbandonai l'asettico percorso attrezzato per correre come nella macchia, quasi volessi perdermi ancora per ritrovarmi davvero.
Fu cosi che senza volere consciamente mi ritrovai per la seconda volta nella vita davanti alla misteriosa casa di legno.
Ora avevo tutto il tempo che volevo, anche se non avevo più nessun insegnante ad aspettare; nessuno cui chiedere un perché, pensai tristemente.
Ma la curiosità per la ritrovata avventura interrotta tanti anni fa era eccitante da sgombrare qualsiasi pensiero. Mi sentivo giovane come non fossero passati vent'anni.
Proprio il tempo passato era la cosa più misteriosa. La casa era esattamente come allora. Secondo il senso comune delle cose dopo tutto quel tempo doveva già essere in pezzi; e invece era li. Sgangherata, marcia, poco più di una baracca, ma lì; ferma, esattamente come allora.
Mi avvicinai alla costruzione e fui colpito da uno strano fenomeno acustico.
Più mi avvicinavo più i rumori della pineta sparivano. La casa era come avvolta da uno strano senso di vuoto, come se la pineta e il mondo esterno intero fosse finito dietro una vetrata acusticamente isolata.
Per tentare un paragone era come se stessi dentro una bolla di sapone solo che non riuscivo a capire se il mondo reale fosse fuori o dentro la bolla di sapone.
Arrivato alla casa varcai l'uscio. C'era molta luce che penetrava da mille fessure del legname e dagli infissi divelti, comunque troppa luce da rendere la cosa innaturale e affascinate.
Trovai molte stanze. Le visitai una dopo l'altra alla ricerca non so di cosa. Non trovando nulla di particolarmente interessante. I luoghi erano abbandonati e privi di mobilia. La casa era piena di nulla. Deluso tentai al piano di sopra. Idem camere e camere piene di niente. Alla fine vidi una porticina alla fine del corridoio; apri anche quella porta che celava con mia sorpresa una seconda scala che portava ancora più su ad un altro piano. Vista da fuori la casa non sembrava cosi alta da contenere due piani in elevazione; comunque salii. Arrivato su; vidi un locale diverso. Un bellissimo sottotetto. Sembrava di stare in una baita di montagna. Le pareti erano completamente rivestite in legno. La stanza era ariosa e ben tenuta sembrava abitata. C'erano anche dei mobili un armadio, un comò, un comodino e un letto. Era tutto molto grazioso ma c'era qualcosa di strano che non si riusciva a comprendere. I mobili per esempio erano belli ma mal rifiniti. Così anche i vestiti da donna che trovai nell'armadio. La sensazione che avevo era quella, inspiegabile, di trovarsi dentro una stanza giocattolo a grandezza umana. Fui attirato da un oggetto che faceva bella mostra di se sul comò.
Non sembrava un giocattolo; piuttosto un oggetto prezioso. Era un cofanetto portacipria. Finemente lavorato sembrava realizzato in ora tanto brillava di luce propria.
Lo presi tra le mani, e osservai la magnifica filigrana con la quale era stato lavorato. Mentre lo rigiravo tra le mani sentii che il cofanetto vibrava. Ebbi la sensazione che prendesse confidenza che assorbisse energie dal mio corpo. Con mia sorpresa era diventato caldo.
Trovai la clip d'apertura e mi decisi a premere la levetta per aprire il cofanetto. Quando si apri in due come un'ostrica marina accadde un fatto stupefacente. Dal cofanetto usci una luce accecante. Preso dallo spavento lascia cadere l'oggetto in terra. La stanza era completamente invasa da questa luce magicamente fuoriuscita dal portacipria. La curiosità vinse la paura. Mi avvicinai per vedere meglio. Ebbi la netta sensazione di assenza di pericolo; anzi una strana sensazione di pace pervadeva la mia mente. Raccolsi l'oggetto e lo misi davanti a me per guardarci dentro. Aspettavo di trovarvi uno specchio, ma quello che vidi non era una normale superficie riflettente. Nello specchio si vedeva una scena sempre più nitida a mano a mano che cercavo di vederla più chiara. Come se la scena che vedevo fosse il frutto dell'integrazione tra il mio essere e l'oggetto stesso. Vidi una stanza. Mi resi conto che il cofanetto ubbidiva alla mia mente; la visuale cambiava a seconda dove pensassi di guardare. Pensai di guardare il pavimento e il soffitto e lo specchietto esaudì i miei desideri. Continuai a guardare e vidi i mobili della camera, un letto dei vestiti. Poi da un lato vidi un essere umano seduto visto da dietro. Era una ragazza. Quasi si fosse accorta che la stavo osservando si girò verso di me, ma il suo sguardo si perse nel vuoto evidentemente lei non mi vedeva. Pero questo mi permise di osservarla in viso. Aveva lineamenti regolari capelli castani e due begli occhioni espressivi tendenti al verde. Man mano che osservavo la scena i miei sensi ne divenivano parte. Cominciai a percepire odori e rumori che venivano dalla scena. C'era profumo di mangiare e sentivo rumori di piatti nella stanza accanto.
Continuai a guardare la ragazza era graziosa molto giovane. Pensai che se avessi avuto figli in gioventù potevo esserle padre. Ma per quanto la parte razionale di me indugiasse in questo tipo di constatazioni sentivo quella giovane molto vicina a me e non come una figlia. La vedevo piuttosto come un essere umano. Forse il gran bisogno che avevo in questo periodo di calore umano, mi rendeva vulnerabile a tali tipi di sensazioni. Sì quella ragazza aveva un volto sereno che sentivo molto vicino alla mia persona.
Non potei alla fine fare a meno di guardarla come donna ed era una donna. Provai un nodo alla gola quando pensai all differenza d'età e capii perché la parte razionale della coscienza voleva che al guardassi come figlia.
Però ero irresistibilmente attratto da quegli occhi perché li sentivo specchio di un'anima gemella alla mia.
Forse due solitudini cosi profonde possono incontrarsi solo per magia in una dimensione parallela al di fuori della realtà.
Cominciavo a capire il miracolo. Perché mi trovavo lì in quella casa strana.
Non so dove, ma in qualche posto esisteva una persona come quella che vedevo in quella stanza che sentivo poteva capire...
Fui pervaso da un irrefrenabile desiderio di parlargli; raccontargli di me della mia vita. Forse volevo perdermi.
Forse vicino a lei potevo ritrovarmi.
Si udì una voce chiamare dall'altra stanza "Paola vieni a tavola che è pronto" e la giovane disse " Sì eccomi arrivo."..
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- Concordo con gli altri commenti. Il racconto mi è piaciuto, l'ho goduto tutto, ma lo trovo incompleto. Potrà il protagonista trovare nella realtà quella ragazza oppure no? E cosa accadrebbe se la trovasse? Vorrei saperlo, magari in una puntata successiva (o è già apparsa e mi è sfuggita? Ho letto il raaconto solo oggi). Saluti.
- Grazie per i commenti ma per me il racconto finiva li. Ora mi avete messo in crisi, vedrò se posso trovare il modo di continuarlo visto che è cosi da 10 anni.
- interessante, veramente bello... attendo il seguito

- Su Francesco, se c'è una continuazione sbrigati a scriverla o a pubblicarla perchè la trovo così avvincente che sarebbe un peccato perderne la magia.

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