racconti » Racconti autobiografici » Non sono una fan di Dio
Non sono una fan di Dio
Inizio questo racconto nel modo più banale.
Mi chiamo Giada, ho 21 anni e da tempo sono alla ricerca di un lavoro.
Non sono una studentessa e la mia media a scuola, tranne in poche e rare occasioni, non si è mai alzata oltre il 6.
Ho interrotto gli studi per mancanza di tempo, per dare la precedenza a lavori mediocri che mi hanno fornito una grande esperienza di vita, ma non mi hanno portata da nessuna parte.
La mia vita, da un po' di tempo a questa parte, scorre lenta nella piacevole routine di casa-colloqui di lavoro-uscite con gli amici e la vita in famiglia.
Le persone che mi amano mi sono sempre state vicine qualsiasi cosa abbia deciso di fare.
La mia famiglia mi ha sostenuta (anche sgridata possiamo dirlo) nella possibilità di continuare o meno a studiare e fare l'università, gli amici mi hanno ascoltata, alcuni giustificata, altri cazziata ferocemente, per la decisione di non continuare a studiare, il mio ragazzo mi ha assecondata e sostenuta in ogni momento.
Non sono mai stata lasciata sola.
Non posso dire di aver mai sofferto in realtà di mancanza di ascolto e sostegno.
Non sono mai stata lasciata sola, tranne ieri pomeriggio, quando mi sono ritrovata ad affrontare una spirale di pensieri dolorosi, immobilizzata sopra una barella di ferro.
È strano, la mattinata a dire il vero è cominciata nella solita routine e prevedibilità.
Martedì sera mi sono fermata a dormire dalla mia più cara amica, in compagnia di un'altra cara ragazza e abbiamo passato una piacevole serata in compagnia di risate e narghilè.
Tutto è andato per il meglio, siamo tornate a casa, ho dato la buonanotte a Luca, il mio uomo di ritorno da un compleanno, e siamo andate a dormire.
Mercoledì mattina mi sono alzata, confusa e ancora addormentata, per andare in un agenzia consigliata dal mio moroso, agenzia con la fama di essere qualificata e realmente interessata a trovare posti di lavoro ottimi.
Sento mia madre per telefono, una telefonata come tante altre e la metto al corrente che sarei rientrata presto.
Una volta a casa ci siamo cucinate due pizze al forno e le ho ricordato eccitata il colloquio di lavoro che mi aspettava alle 16. 00 al Bicocca Village, un centro multisala vicino a casa mia.
Speravo nel meglio, sarebbe stata una fortuna trovare un posto comodo vicino a casa, retribuito nella media e confortevole.
Ci pensavo ancora mentre guidavo per dirigermi al colloquio.
Non ci ho più pensato quando quella macchina ha sfondato lateralmente la mia e mi ha sbalzata contro il marciapiede.
Tra I tanti film che ho guardato, mi colpivano le scene artificiali dei protagonisti, quando in procinto di morire o con la spiacevole sensazione di non farcela, vivevano dei veri e propri film accelerati della loro vita.
Sorridevo pensando a com'era possibile avere una visione tanto lucida dei momenti vissuti con le persone care, in un così breve lasso di tempo, dove non riesci a realizzare cosa ti sta succedendo.
Ora posso garantire che non è così assurdo.
Quando ho realizzato che quella macchina non si sarebbe fermata ho cercato di deviarla, ho sterzato, ma non così velocemente da evitare la collisione.
La macchina ha colpito la mia, con una violenza tale da sfondare la portiera dal mio lato, il lunotto posteriore che salta in mille pezzi, il finestrino aperto per la giornata calda mi ha impedito di sbattere la testa e mi ha permesso di rimanere sveglia.
Quando vieni colpito, non distingui più nulla.
Non vedi marciapiedi, non vedi strade, non vedi le macchine che passano vicine o frenano bruscamente, non vedi le persone che guardano per loro fortuna la scena da lontano paralizzate, non vedi gli alberi, non vedi assolutamente nulla.
È in quel momento che realizzi che potresti non vedere mai più, che non sai come e se ne uscirai viva, se tornerai a guardare nello stesso modo e con la stessa intensità.
E in tutta questa cecità di colpo vedi, con una precisione ed uno strazio lancinante, vedi le persone che ami, hai brevi flash degli ultimi momenti passati con loro.
Vedi tua nonna in cima alla scala che ti chiede il parere sui quadri appena appesi, vedi tua madre sdraiata sul letto che ti saluta prima di uscire, vedi le tue amiche ridere per una tua battuta appena fatta, vedi il tuo uomo che ti sorride con dolcezza quando avete appena finito di amarvi..
Ti nutri e ti aggrappi a queste visioni solo il tempo che basta per essere riportata alla realtà, alla tua macchina che ancora slitta sull'asfalto ruvido, al marciapiede che fa da leva facendola ribaltare, al nuovo colpo che prende mentre abbatte un semaforo che si piega inerme ma blocca finalmente la sua corsa impazzita.
Intrappolata in quella gabbia di lamiere non riesci a sentire nulla, realizzi qualcosa solo quando la tua macchina, in bilico sul marciapiede, torna nella sua posizione naturale con uno schianto, un tonfo da toglierti il fiato.
Personalmente non sono riuscita a regire meglio di come ho fatto.
Dopo la caduta il vuoto nel mio stomaco è stato riempito dall'orrore del fumo che invadeva la macchina, del fumo che usciva chissà da dove, dal serbatoio colmo di benzina.
Le domande insistenti di una donna che si informava sul mio stato fisico mentre io le urlavo di farmi uscire strattonando la cintura e cercando di aprire la portiera deformata.
E di colpo l'aria.
Il marciapiede dove mi sono seduta inerme e tremante a fumare senza riuscire ad aspirare, alla bottiglietta di acqua che mi è stata messa in mano da una persona generosa che non riuscivo a reggere, alle urla delle persone che chiamavano ambulanza e carabinieri.
Non sono mai stata lasciata sola, tranne quando mi sono ritrovata sdraiata sopra una barella di ferro, immobilizzata da un collare, a realizzare che ero ancora viva.
Non sono una fan di Dio, ma di sicuro una mano qualcuno me l'ha data.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0