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Incontro Fortunato
Conobbi Francesca in un giorno di pioggia.
Passeggiava sulla riva del mare senza un ombrello che la proteggesse dal violento acquazzone che veniva giù da un cielo plumbeo e pesante di un freddo pomeriggio di marzo.
Era uno di quei tipici giorni in cui ci si lascia vincere dalla voglia di rimanere in casa, seduti sul divano, a sfogliare i vecchi album del passato.
Forse fu proprio per quello che quel pomeriggio uggioso, decisi di indossare l' impermeabile, spalancare l'uscio del mio monolocale, afferrare il primo ombrello che trovai a portata di mano e dirigermi verso la spiaggia dell'Arenella.
Mi è sempre piaciuto passeggiare sulla riva del mare in inverno, respirare il profumo agrodolce della salsedine e nutrimi di quella fitta nebbiolina che si alza nell'aria appannandomi le lenti degli occhiali.
C'era vento, quel giorno, un vento fastidioso che si infiltrava sotto i vestiti.
Gelide raffiche, che come mani invisibili, si aggrappavano ai miei abiti, quasi a denudarmi di essi.
Rabbrividendo mi avvolsi più stretto nel mio impermeabile nero e continuai a camminare, cercando sollievo alla pesantezza che avvertivo nella testa.
Era come avere il cervello pieno di ciottoli.
Tante pietre che si muovevano avanti ed indietro nel labirinto dei miei pensieri senza trovare una loro stabilità. Una massa informe di elucubrazioni e preoccupazioni aggrovigliati l'uno con l'altro.
Avrei voluto mettermi a testa in giù ed scuotermi, finché, quei ciottoli, ad uno ad uno non avessero abbandonato la mia testa, lasciandola, finalmente, vuota e leggera.
Dopo otto anni di un difficile e travagliato rapporto matrimoniale, da circa due mesi, avevo ottenuto il divorzio da mia moglie Serena, ma oltre a separarmi da lei ero stato costretto a subire un doloroso distacco anche da mio figlio Matteo.
Il tribunale, considerando il mio stato di disoccupazione, aveva preferito affidarlo a mia moglie che possedeva maggiori disponibilità economiche per garantirgli una crescita serena ed agiata.
Serena era partita per Parigi appena una settimana prima, portandosi via mio figlio, lasciando un profondo vuoto sia nella mia vita che nel mio cuore.
Quel pomeriggio continuai a camminare a capo chino, oppresso dal peso della disperazione che mi premeva la nuca, gli occhi rivolti sulla sabbia bagnata, dove, con i miei stivali neri, faticavo ad avanzare e proseguire oltre.
Mentre ero immerso nei miei problemi, un pastore tedesco mi venne incontro abbaiando vigorosamente, scuotendosi dal pelo il carico di pioggia e sabbia che doveva aver accumulato durante quella inopportuna passeggiata.
Io rimasi immobile, paralizzato dalla paura.
Temo i cani sin da quando ero bambino. Cinofobia, o qualcosa del genere.
Mi hanno detto che si chiama cosi questo mio malessere di fronte ad essi, ma sapere il nome della mia fobia non me la rende meno terrorizzante.
"Pedro, che è successo? Perché stai abbaiando? C'è qualcuno sulla spiaggia".
Udire, in lontananza, la voce della sua padrona mi rassicurò, facendo in modo che la morsa in cui sentivo imprigionato il mio corpo iniziasse a scricchiolare come fa il ghiaccio quando si versa su di esso dell'acqua fredda.
Cric, cric, cric. Avvertii che qualcosa, dentro di me, si spezzava e che pian piano ricominciavo a respirare liberamente.
" Si... signorina, può... può mettere il guinzaglio al suo cane. Mi sta abbaiando contro.. ed io.. io ho paura", balbettai imbarazzato, mentre la pioggia continuava a cadere sulla cupola aperta del mio ombrello nero, inzuppando i mori capelli della ragazza e i suoi leggeri abiti primaverili, poco adatti a quella giornata che aveva ancora le parvenze di un pieno inverno.
"Non abbia paura. Pedro è un cane buonissimo. Non farebbe del male nemmeno ad una mosca".
La ragazza mi si fece più vicina e solo allora notai che i suoi occhi erano l'uno di un colore diverso dall'altro.
L'occhio destro azzurro come il cielo in estate ed il sinistro, invece, verde, come lo era quel giorno, il mare in tempesta.
Su una delle tante riviste mediche a cui sono abbonato mensilmente, qualche tempo fa, lessi che questa caratteristica fisica si chiama eterocromia, ma non mi era mai accaduto, prima di quel giorno, d'incontrare qualcuno che la presentasse.
"Pedro, vieni qui, smettila di dare fastidio", lo richiamò la ragazza.
Il cane obbedì prontamente ai suoi ordini e si avvicinò a lei, facendosi, nuovamente, condurre al guinzaglio.
"Mi spiace, se, in qualche modo, le ho procurato dello spavento", si scusò tendendo una mano verso il dorso della mia, sfiorandomela delicatamente con i suoi polpastrelli freddi.
Aveva dita piccole e magre, simili a quelle di una bambina.
Delle sottili vene azzurre trasparivano sotto la sua pelle pallida e le ossa della mano s'intravedevano, in rilievo, su di essa.
"Mi chiamo Francesca, e come avrà capito, lui è Pedro", si presentò, congiungendo i nostri palmi in una debole stretta.
"Io.. io sono Andrea ", farfugliai ancora scosso, tremando un po' per il freddo e un po' per lo spavento appena avuto.
Anche la ragazza, mi resi conto, tremava a causa del vento gelido che soffiava sulla spiaggia e con i vestiti bagnati che indossava correva il serio rischio d'ammalarsi.
"Cosa ci fa sulla spiaggia con questo tempo da lupi e... e senza un ombrello?", le domandai cercando di ritrovare un certo autocontrollo.
"Beh.. l'avevo con me, ma un colpo di vento me l'ha rotto...", mi disse starnutendo, mentre Pedro mi si avvicinava annusando i miei vestiti.
"Credo... credo che sia il caso che di ripararci in qualche posto caldo. Le sembro troppo sfacciato se... se l'invito a prendere una cioccolata calda al tavolino di un bar? Sto morendo di freddo anche io", azzardai mentre la mia cinofobia, tornava a solleticarmi il cervello mandando in tilt il mio ipotalamo, innescando quello strano meccanismo che mi fa aprire e chiudere nervosamente la palpebra dell'occhio destro ogni volta che mi sento in pericolo.
"Ma le fa così tanta paura il mio cane?", mi domandò Francesca, incuriosita dalla mia reazione esagerata, tirando Pedro per il guinzaglio, allontanandolo definitivamente dalle mie ginocchia.
"E'.. è.. più forte di me. Ogni volta che ne vedo uno... mi.. mi.. sento male", ammisi, cercando di mantenere il più possibile le distanze dal cane.
"Lo sai che lei è proprio buffo!", esclamò, sorridendomi e mettendo in mostra una fila di denti candidi, dove spiccava un apparecchio ortodontico che le donava un aria ancora più da bambina.
"Vada per il bar e per la cioccolata calda. Mi fa piacere la sua compagnia. Anche se ha un aria un po' da imbranato, mi sembra che sia una persona molto simpatica", m'apostrofò, lasciandomi a bocca aperta per la sfrontatezza dimostrata nei miei confronti che però me la rese ancora più piacevole, rallegrandomi per qualche minuto dalle preoccupazioni di quella giornata.
Ci sedemmo al tavolino di un bar poco distante dalla spiaggia, lasciando Pedro all'esterno al riparo della pioggia sotto una tettoia.
Francesca continuava a tremare per il freddo, cosi mi spogliai del mio impermeabile e glielo misi sulle spalle.
"Grazie, va già molto meglio", mi ringraziò lei, stringendo tra le mani la sua tazza di cioccolata calda per riscaldarsele.
"Me lo dici che cosa ci facevi sulla spiaggia con una pioggia del genere?", le domandai, decidendo di darci del tu, come mi aveva chiesto lei prima che facessimo il nostro ingresso nel bar.
"Beh.. non dovrei essere io a ricordarti che anche tu eri sulla spiaggia con questo tempo di burrasca", controbatté lei, bevendo un sorso della sua cioccolata.
"Ecco.. io.. io volevo chiarirmi le idee. Mi sentivo soffocare dentro casa. Sto passando un momento poco felice ed avevo bisogno di... di...", non riuscii a terminare la frase.
Non so che cosa mi successe in quell'attimo ma persi il controllo delle mie emozioni e presi a singhiozzare come mai mi era capitato prima.
Abbassai il capo e le lacrime rotolarono giù dai miei occhi l'una dopo l'altra, sgranando sulle mie guance, come i grani di un rosario tra le mani di un Cattolico intento a pronunziare un solenne Ave Maria.
Francesca rimase per un attimo sorpresa di fronte a quella mia reazione inattesa, poi avvertii la sua mano sfiorare di nuovo la mia, come aveva fatto poco prima sulla spiaggia.
"Su, non fare così, Andrea. Vedrai che qualunque cosa ti sia successa si risolverà", tentò di consolarmi, accarezzandomi il dorso della mano con le sua dita da bambina.
"Mi manca mio figlio. Mia moglie me l'ha portato via... me l'ha strappato dalle braccia senza nemmeno darmi l'opportunità di salutarlo. Se mi va bene, forse lo rivedrò per le vacanze pasquali ", le rivelai, asciugandomi il viso con la manica del mio maglione.
"Abbiamo divorziato da pochi mesi. Lei se ne è andata a Parigi ad abitare in casa dei suoi genitori e ha portato con se anche Matteo", continuai a raccontarle mentre Francesca m' ascoltava in silenzio.
"Un genitore non dovrebbe mai essere privato dell'affetto del proprio figlio", singhiozzai senza nemmeno più tentare di asciugarmi le lacrime dalle guance.
"L'ho visto venire al mondo, ho udito il suo primo vagito ed ho pianto di felicità quando l' infermiera, me lo pose, per la prima volta, tra le braccia.
Era così piccino, Matteo. La sua manina non riusciva nemmeno a stringere tutto il mio dito", continuai a raccontarle.
"Assistere alla sua crescita è stata una delle gioie più belle che mi abbia concesso la vita. Proprio il mese scorso ha compiuto cinque anni. Abbiamo festeggiato il suo compleanno assieme... però.. però sognavo di poter trascorrere con lui qualche anno in più... vederlo diventare grande... vederlo diventare un uomo...".
Alzai di nuovo gli occhi verso Francesca. Aveva gli occhi lucidi di lacrime e la loro differenza di colore, sotto la luce a neon del bar si fece ancora più evidente.
"Mi spiace, non volevo rattristarti", mi scusai con lei, accorgendomi della sua commozione.
Le sue labbra tiepide mi sfiorarono la guancia, asciugando l'ultima lacrima caduta dai miei occhi.
"Grazie", mi sussurrò con la voce rotta dal pianto.
"E di cosa?", le domandai, non capendo il motivo della sua gratitudine."Vedi.. anche io.. anche io questo pomeriggio mi trovavo sulla spiaggia perché avevo bisogno di fare chiarezza dentro di me. Sono incinta...", mi confidò, afferrando un tovagliolo di carta, passandoselo sugli occhi.
"Tra poco più di due ore ho un appuntamento in una clinica privata per abortire.
Questo bambino che mi porto nel grembo è un figlio illegittimo. Suo padre è un uomo sposato.
Una persona abbietta e priva di scrupoli che mi ha porto anche dei soldi affinché mi pagassi l'intervento...", s'interruppe, volgendo lo sguardo fuori dalla vetrina del bar.
"Quando ci siamo incontrati sulla spiaggia ero convinta a mettere fine alla mia gravidanza... ma ora.. dopo questa nostra conversazione, ho cambiato idea".
Francesca si voltò di nuovo verso di me, cercando di sorridere tra le lacrime.
"Hai ragione, Andrea. Nessun genitore deve essere privato dell'affetto del proprio figlio.
Questo bambino è mio e lo crescerò da sola, anche senza l'appoggio di suo padre... e poi.. poi sapere che ci sono uomini sensibili come te, mi da la speranza di poter incontrare qualcuno che sappia amare sia me che il mio bambino".
Si alzò dal tavolino posando per un ultima volta le sue labbra delicate sulla mia guancia destra.
"Ora devo tornare a casa. Con questi vestiti bagnati indosso temo di prendermi una polmonite", si pronunziò lei, porgendomi il mio l'impermeabile.
"Puoi tenerlo, Francesca", le dissi, "me lo restituirai domani".
"Già... domani...", concluse lei, lasciando in sospeso quell'ultima frase che forse era un addio oppure una promessa di un prossimo incontro.
"Ma la prossima volta, lascia Pedro a casa", mi raccomandai strappandole un ultimo sorriso ed una speranza di una felicità futura assieme a lei.
Da quel giorno è trascorso un anno. Io e Francesca, dopo quel nostro incontro fortunato sulla spiaggia, abbiamo continuato a frequentarci ed il mese prossimo ci sposeremo.
A settembre è nato Alessandro.
È un bambino dolcissimo e se anche non potrà mai riempire il vuoto nel mio cuore lasciato da mio figlio Matteo, che ora vedo solo tre volte l'anno, durante le festività del calendario, mi ha regalato una nuova speranza di gioia.
Per quanto riguarda Pedro... beh, in qualche modo, abbiamo imparato a convivere, anche se mantenendo le giuste distanze l'uno dall'altro.
È proprio vero che l'amore, a volte, fa miracoli...
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