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La Caffetteria

Quando arrivo al bar le trovo tutte lì come ogni giorno.
Le stesse persone.
La solita clientela fissa e abitudinaria.
Rituali e movimenti quotidiani.
C'è il vecchio che chiede il solito bicchiere d'acqua. Ha pochi denti in bocca e zero anelli per le dita.
E in testa mille pensieri. Ma chissà a cosa o chi pensa, nessuno lo sa, quando chiede il solito bicchiere d'acqua. Quando si fa il giro dei bar della via e si riempie la pancia dentro il suo maglione grigio pesante di acqua di rubinetto.
E il barista lo sa già. E quando lui entra è già lì con il bicchiere in mano che glielo riempie.
E dice, Questo è l'ultimo, poi fuori dalle palle.
Allora lui butta giù e va via lasciandosi dietro l'odore della strada. Di sampietrini umidi e veleno per topi.
Ma tra trenta minuti, forse di meno, tanto lo so, tanto lo sappiamo tutti, sarà di nuovo qui.
Più in là, verso il fondo della sala, ci sono tre donne con i loro vestiti a fiori. Le permanenti. Mani e visi rugosi.
Stanno sempre lì. Non le ho mai viste in altro posto che non fosse quel tavolo. O più in là. Attaccate alle slot machine alla ricerca della giusta combinazione tra una vincita cospicua e l'orgoglio di poter dire di aver vinto.
E ridono. E parlano. E raccontano segreti che diventano di tutti perché urlati.
Consumano caffè e aperitivi. Uno dietro l'altro mentre sfogliano il fiore degli ultimi noiosi avvenimenti della città.
Poi tornano a giocare. Gridano. Urlano. Festeggiano baldanzose. Le vedo muoversi e sbracciarsi per aver vinto. Un secondo. Perché poi si chinano di nuovo affrante per aver perso il doppio di quanto guadagnato.
Che scherzo la vita.
E poi ci sono io.
Io mentre il bancone resta vuoto e anche le ultime signore sono andate via.
Sempre io quando mi accorgo che anche l'uomo del bicchiere d'acqua ha preso la via di casa.
Io, mentre il barista quasi mi ignora mentre passa lo straccio umido sul bancone.
Io, ultimo avventore prima della chiusura.
Io, che sotto al mio naso, mescolo nel bicchiere il tempo perso, gli amici andati, gli amori perduti che mai più torneranno.

 

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5 commenti:

  • gianni castagneri il 09/02/2014 17:02
    bel pezzo! il bar anche come incontri di solitudini diverse... si e' sempre soli anche tra la gente!... bello comunque avere la voglia e la capacita' di guardarsi attorno e di provare ad entrare nella vita di chi ci circonda...
  • Noir Santiago il 16/10/2010 11:22
    Il bar e la quotidianità hanno molto fascino. Prima il casino, i vecchietti che giocano a brisca facendosi scappare un paio di bestemmie, le partite... e poi la quiete.
    Mi hai fatto venire in mente i miei primi aperitivi "con i grandi" e quanto mi sentivo fico...
    Dai elettricità e nostalgia al lettore ed è fatta. Anche Nunzio ha ragione. Bello davvero.
  • Anonimo il 13/10/2010 17:19
    Ho sempre considerato il bar come una zona franca, dove tutto si amalgama e le dferenza scompaiono. Il tuo vicino di sedia magari è un miliardario, oppure un barbone. In quel momento però è uno che beve un bicchiere. Il motivo non conta.
    Molto bello il tuo racconto.
    Ciao.
  • Michele Rotunno il 12/10/2010 17:23
    Mi ricorda tanto una canzone di Gaber.
    Ben scritta e piaciuta
    Miro
  • Anonimo il 12/10/2010 17:18
    Uno spaccato di vita quotidiana con una certa vena malinconica..
    Mi è piaciuto!
    p. s. ci sono bar più allegri però a Bologna, ci vivo anche io
    ciao!!

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