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Sfoglio l'album dei ricordi
Sfoglio l'album dei ricordi.
La foto in bianco e nero sbiadita dal tempo ha come sfondo un giardino con alberi secolari.
Quattro figure sono in primo piano: le madri ai lati e le figlie coetanee al centro.
Tutte si tengono per mano.
La bambina a sinistra ( che riconosco a me somigliante) non riesce a stare in posa composta. Ha un piede sopra l'altro, le scarpe bianche alte alla caviglia, i calzini scesi in modo diverso, la gonnellina estiva chiara che lascia scoperte le ginocchia.
La frangetta tagliata di netto a metà della fronte è il solo elemento simmetrico della figura infantile.
Si intuisce che è stata costretta a posare mentre avrebbe desiderato giocare con l'amica e correre nel parco.
Lei, sempre rinchiusa in una scatola di appartamento sola con la madre, appare come un fuoco d'artificio che sta per esplodere.
Dal braccio teso della donna a sinistra la mano della bambina è trattenuta con forza e si intuisce che la madre la stringe con fermezza e possesso.
La signora sorride davanti alla macchina fotografica. Ha la gonna godé, la camicia bianca e le scarpe basse adatte alla sua figura alta e snella, l'acconciatura è quella in voga negli anni cinquanta. Il suo sguardo un po' spento tradisce l'apparenza del sorriso.
Lei: giovane mamma in un corpo di donna matura.
Ricordo con nostalgia le giornate trascorse con l'amica della domenica nella casa dove rimanevo impressionata a guardare le mosche appiccate sulla carta moschicida sopra la grande cucina a gas. La cosa che mi affascinava era che l'abitazione riservava al piano terra un ristorante dove spesso mangiavamo all'aperto sotto il pergolato e il cibo aveva un altro sapore rispetto a quello di casa. La mamma non è mai stata una brava cuoca, non amava fermarsi ore davanti ai fornelli e in questo credo di aver ereditato da lei perché riesco sempre a bruciare tutto quello che tento di cucinare.
Mi divertivo ad assaggiare nuovi piatti anche se era ben poco il tempo impiegato a stare seduta. Avevo voglia di calpestare l'erba fresca o sentire lo scricchiolio dei sassi sul sentiero che portava alla fontana. Avrei desiderato tuffarmi nell'acqua e sentirmi bagnata fin nel midollo e una volta tentai di farlo ma appena tolte le scarpe e immersi i piedi, l'urlo di mia madre mi fece desistere.
Sempre bloccata sul più bello!
Lei è stata apprensiva con me e con i miei fratelli che peraltro l'hanno fatta impazzire.
Anch'io le ho dato del filo da torcere nella breve vita vissuta insieme.
Ripensando a lei bambina ritrovo gran parte di me e da adulta le rimprovero di non aver mai guardato indietro, a tutti i guai che lei stessa ha commesso da piccola, tanto da vedersi negato il permesso di andare dai suoi nonni perché era un "gianburrasca".
"Tenetevi vostra figlia e riportatemela solo quando avrà imparato l'educazione " .
Così disse il bisnonno alla nonna materna facendola riconsegnare a casa dalla cameriera.
Il calesse trasportava una bambina bagnata fradicia avvolta da una coperta dopo aver fatto un tuffo nella vasca dei pesci rossi.
Era il millenovecentodieci.
Il bisnonno e il nonno erano entrambi ingegneri e abitavano uno a Treviso e l'altro in campagna a San Trovaso. Le distanze allora sembravano enormi e la mamma amava fare il percorso in calesse mentre il cocchiere spronava i cavalli in una corsa sfrenata sul Terraglio, dove le macchine non si erano ancora impadronite della strada che porta a Venezia, dove le ville facevano mostra di sé in tutta la loro maestosità ed opulenza.
Anche la villa del bisnonno era bella ma più modesta anche se lui aveva molta servitù e i mezzadri che lavoravano la sua terra.
Un passato perduto con la guerra e le disgrazie che un conflitto trascina con sé : beni perduti e persone rovinate per sempre...
Nell'album degli avi rivedo in una foto le figure erette degli uomini della mia famiglia, quattro maschi, accanto alla loro giovane sorella Elena. Nella foto lei è seduta tra loro che in piedi sembrano dominarla. Lei giovane promettente musicista fu costretta, dalla vita e dall'ambiente, ad abbandonare i suoi sogni e il suo amante.
Cantava suonando al pianoforte : "Tripoli bel suol d'amore " mentre lui moriva lontano. Rinunciò per sempre alla sua vita amorosa e visse una vita triste e solitaria.
Di lei conservo un diario dove un tempo si usava raccogliere i pensieri delle amiche, le poesie e i fiori che appassivano sbiadendosi tra le pagine dei versi in rima. Mia madre, da piccola, ha sentito spesso la zia piangere e l'ha vista bere più volte un bicchierino di rosolio per consolarsi dell'amore perduto.
All'età di nove anni, la mamma mi ha voluto fare un regalo. Mi ha accompagnato in campagna a vedere la villa della sua famiglia acquistata e ristrutturata da un architetto.
Di tutte le case della mia vita quella è stata la più amata anche se non ho mai vissuto un giorno lì dentro. Ma i ricordi raccontati con rimpianto da chi l'aveva frequentata da bambina me l'avevano fatta sognare com'era veramente.
La fontana non era più riconoscibile nella sua bellezza e i pesci rossi erano stati sostituiti da foglie secche. Il rumore del treno che passa vicino mi ha riportato alla mente il desiderio della piccola Mariateresa (questo il nome di mia madre) che aspettava con ansia di sentire arrivare i genitori per riportarla a casa.
La visita in quella casa immersa nella campagna riservava per me una sorpresa.
All'interno c'erano ancora le vetrate originali decorate in oro e grisaglia di Murano, descritte da lei nei minimi particolari e conservate intatte dopo una sessantina d'anni. Le ho sfiorate e, chiudendo gli occhi, ho risentito la voce della bisnonna che con la sua dolcezza cercava di plasmare il carattere del marito fingendo perfino uno svenimento per farsi compiangere ed assecondare nel difendere l'irruenza della nipote. Ho immaginato la famiglia del bisnonno, unita e seduta sul sofà e i contadini ricevuti con rispetto nello studio dell'ingegnere che aveva sempre una parola di conforto per i loro problemi.
Burbero ma buono e onesto il capofamiglia che con saggezza aveva educato i suoi quattro figli maschi pretendendo la laurea da ognuno. Lo stemma della nostra famiglia si trova all'università Il Bò di Padova dove tutti hanno studiato.
La severità ha dato i suoi frutti anche se resta un rimpianto tipico dell'epoca: l'unica donna della famiglia è rimasta in casa a cucire i merletti e non ha avuto il permesso di studiare!
Spero che il mio amato bisnonno, che non ho mai conosciuto, non stia in un angolo a scoprire cosa ne è rimasto della sua famiglia meravigliosa.
Ma se proprio in un angolo di cielo lui ci sta osservando vorrei che fosse orgoglioso dei suoi pronipoti, maschi e femmine, che laureandosi cercano di coprire un posto onorevole nella vita.
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