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Zoo
In questo mondo non ci sono zoo. La maggior parte degli animali gira tranquillamente per i villaggi. Sì, non ci sono città in questo mondo, ma soltanto villaggi. Gli animali girano per le strade, nessuno fa molto caso a loro. Mi ricordo di quando arrivai qui. Prima vivevo sulla Terra. La religione, lo smog, la droga. Ero talmente depresso che passavo le mie giornate chiuso in casa. Non avevo una ragazza da un anno ormai. E avevo venti anni.
Ero arrivato quasi al suicidio. Mi svegliavo la mattina e odiavo ogni cosa che vedevo, a partire dalla mia casa. Tutto mi sembrava sempre uguale. La colazione, l'università, gli amici. Giudicavo ciò che mi circondava. Era tutto brutto, e grigio. Mi sentivo giudicato da ciò che mi circondava. Ero brutto, e grigio.
Così decisi di costruirmi una navicella spaziale. Per andarmene da questo mondo. Per i materiali usai degli scarti di altre navi spaziali: avevo una fabbrica di navi spaziali proprio sotto casa. Non me ne intendevo molto di come si costruisce una navetta, io avevo fatto il liceo classico. Così lessi un paio di manuali sull'argomento, e costruii la mia navicella. Era grande poco più di una utilitaria, stavo molto stretto. Era di forma sferica, e non c'erano comandi.
Entrai nella navicella, e venni ibernato. La navicella partì, e iniziò a vagare senza meta per lo spazio. Era stata costruita proprio per questo: per vagare senza meta. Si sarebbe disattivata solo una volta raggiunto un nuovo mondo, o sarebbe esplosa nel caso non fosse riuscita a farlo.
Aveva un motore a moto perpetuo: per costruirlo mi ispirai a quei marchingegni cinesi che una volta messi in movimento, non si fermano più: molle e così via. Tuttavia c'era sempre il rischio che un giorno sarebbe esplosa. Poco mi importava: morire o trovare un nuovo mondo; era sempre meglio che continuare la mia inutile e insensata vita.
Ma non esplose: mi risvegliai in un prato fiorito. Capii di non essere sulla terra perchè il cielo era di un rosso vivo. Non un rosso sangue, sgradevole, ma un rosso bello, come di un tramonto infinito. C'era un grande mare davanti a me, con due grandi soli, che si alternavano a vicenda. Capii che in quel mondo non c'era mai notte, solo rosse giornate di bellezza.
Credetto di essere finito nel paradiso. Mi guardai intorno: c'erano enormi animali che facevano l'amore intorno a me, e all'orizzonte, sotto il cielo rosso, si stendeva un grande mare viola.
Mi sentivo felice, e riposato. Come se avessi dormito un'eternità e finalmente mi risvegliavo, e ricominciavo da capo a vivere.
Gli animali erano di tutti i colori più disparati, e di tutte le dimensioni. Alcuni assomigliavano in qualche modo a dei topi: ma non erano schifosi come dei ratti di città: sembravano dei topini usciti dai cartoni, con dei grossi baffi e dei grandi occhi azzurri.
Poi c'erano degli elefanti e dei rinoceronti. Mangiavano tranquillamente da degli alberi color rame, che emanavano un forte odore d'incenso. L'aria era fresca e calda. Avevo viaggiato per oltre 1000 anni e non avevo idea del pianeta in cui mi trovavo.
Arrivò una ragazza: portava un grande cesto d'acqua sulla testa, e aveva la pelle dello stesso colore degli alberi: rame. Di un rame irreale. Non era umana: i suoi occhi erano enormi, e pieni di sentimenti e di felicità. Stava andando da qualche parte, e quando mi vide si mise a urlare. Fece cadere il suo grande cesto pieno d'acqua per terra e scappò via. mi misi a inseguirla. Mentre correvo piangevo, non so perchè. Alla fine le saltai addosso per bloccarle la fuga: volevo comunicare con lei, volevo capire qualcosa di più.
Ero bagnato fradicio, mi ero appena scongelato. Avevo i capelli e la barba lunghissimi, e ai suoi occhi dovevo sembrarle un mostro. lei aveva dei lunghi capelli viola, toccandoli mi accorsi che erano molto ispidi e spugnosi. Non so perchè le stavo toccando i capelli. Lei era spaventata a morte. E io non facevo l'amore da una vita. Stavo piangendo ancora: per la felicità credo. Lei mi vide solo allora, e parve commuoversene. Improvvisamente mi vide, per la prima volta. Mi scrutò con i suoi grandissimi occhi e mi sembrò che stesse frugando nella mia anima. Capì subito chi ero: soltanto un povero viaggiatore perduto nel tempo e nello spazio, sbucato in un mondo fantastico, che si sentiva molto confuso e solo, da troppo tempo. Continuava a fissarmi, e i colori intorno a me sembravano mutare: mi sembrava che fosse tutto sempre più caldo, più vivo. Cercai di parlarle, ma tutte le mie parole si strozzarono nella mia gola. Un topino con gli occhi azzurri mi passò vicino e mi sorrise.
La ragazza continuava a fissarmi. Poi si tolse quei pochi vestiti che aveva e iniziò a strusciarmisi addosso. La guardai e incominciai a capire quanto fossi già innamorato di lei. Di un'aliena. Poi mi tolsi in fretta i vestiti e feci l'amore con lei. Per ore. Non facevo l'amore da 1001 anni. Per cui mi sentii per la prima volta davvero felice.
Poi caddi addormentato. Quando mi risvegliai mi trovavo in una foresta grigia. Ero solo, e faceva molto freddo. Volavano dei piccioni intorno a me. Piccioni bianchi. A parte quei piccioni non c'era proprio nessun altro animale. Non c'era più il mare viola, gli animaletti, il tramonto, l'aliena. La mia aliena.
Era un posto che poteva ricordare la transilvania. Mancava solo che piovesse. Mi sentii arrabbiato.
Ma mi feci forza e mi costruii una casa con delle canne di bambu' che trovai per terra. Una piccola capanna. Una volta costruita la casa, strappai un piccolo cespuglio dalla terra e lo portai dentro. Sarebbe stato il mio cuscino. Così entrai nella capanna e mi addormentai.
Sognai di volare, e di lasciare arcobaleni alle mie spalle. Sotto di me c'era una grande metropoli, e vedevo tutte le persone girare e girare, come delle formiche. Mi sentivo il re del mondo, finchè gli arcobaleni che lasciavo alle mie spalle svanivano, e io incominciavo a cadere, a precipitare.
Quando mi svegliai decisi di smettere di commiserarmi, così, uscito dalla capanna, iniziai a correre. Corsi, e corsi, e corsi ancora, attraverso quel tristissimo paesaggio. Era soltanto un triste bosco, con dei piccioni bianchi che continuavano a volarmi intorno.
Corsi fino a impazzire, fino a non farcela più, e quando finalmente caddi a terra sfinito, capii di essere arrivato in un posto nuovo: era un villaggio, ma non un normale villaggio. Vi erano degli alieni, alieni bipedi e alti, grigi, che giravano con disinvoltura per le strade. E c'erano dei grossi tubi che passavano sopra la mia testa. Era tutto molto strano.
Quando uno di quegli alieni mi vide, si mise ad abbaiare. Pensai che ora sarebbero venuti altri alieni per legarmi e portarmi dal loro capo, che avrebbe deciso sulla mia vita e sulla morte. Ma invece questo alieno si avvicinò e iniziò a leccarmi la faccia. In genere mi avrebbe fatto schifo ma questa volta non mi dispiacque. Mi sentii più sereno. Quegli alieni avevano il potere di dare la felicità alle persone solo leccandole. Mi chiesi perchè quando conducevo la mia vita sulla terra, non avevo mai preso un cane.
In ogni caso, mi lasciai andare. E caddi addormentato. Quando mi svegliai, da un sonno leggero e senza sogni, molti alleni si erano radunati intorno a me. Iniziarono a parlarmi.
- Benvenuto nel nostro piccolo paese, straniero. - disse uno, che aveva l'aria di essere il capo.
- Grazie. Io mi sento ancora molto confuso e non capisco bene se sto sognando o no.
- Tu non stai sognando.
Mi portarono in una capanna di bambu', che assomigliava molto a quella che io stesso avevo costruito nel bosco e mi portarono acqua e cibo. Un cibo fresco, sereno e intenso, che mi fece subito sentire meglio. Anche l'acqua era fresca e cristallina. Stranamente non avevo voglia di fumare una sigaretta, una volta finito di mangiare. Non fumavo da più di mille anni. Decisi così di lasciare perdere la mia vita passata, le mie abitudini passate, e di lasciarmi andare alla mia nuova vita, su quel nuovo mondo che sembrava essere così pieno di soprese.
C'era una aliena vicino a me. Era molto gentile. Mi aveva aiutato a mangiare. Stranamente non mi aveva fatto schifo l'idea di mangiare qualcosa toccata da degli alieni di quel tipo. Chissà poi cosa avevo mangiato.
- TI piace? è il nostro piatto nazionale. - Disse l'aliena.
- Lo trovo molto buono. Mi fa sentire più vivo. Cos'è?
- Lo coltiviamo nelle nostre pianure. Intorno alla nostra città ci sono delle paludi, dove crescono dei fiori bianchi e profumati. L'eterium lo tiriamo fuori da quei fiori.
Mi guardai intorno: esaminai la capanna. C'erano dei dissegni di cani appesi al muro, o meglio, ai bambu'.
In più c'era un aroma di fritto, di fiori fritti, intorno a me, che mi dava un senso di spensieratezza. Ringraziai l'aliena e mi alzai in piedi. Non mi importava molto di dove fossi, o con chi fossi, volevo solamente la pace interiore.
- Da dove vieni? - Mi chiese l'aliena infermiera.
- Da un brutto mondo, lontano e triste.
- Vieni da un'altro mondo? È bellissimo! Io pensavo provenissi da Ambra: anche se sembri più pallido, assomigli molto alla gente di là.
Credo si riferisse a quella landa con il mare viola e gli alberi gialli.
- No.
- Capisco.
Poco dopo uscì, e da quel momento tutti gli alieni incominciarono a trattarmi un po' come un pazzo. Erano sempre molto gentili con me, e a volte mi leccavano la faccia per farmi sentire meglio, ma capii che dovevano considerarmi pazzo.
Quando uscii da quella capanna, mi misi a esplorare la città. Nei tubi che passavano sopra le nostre teste ogni tanto schizzavano dei fiori. Questi alieni per coltivare usavano delle specie di aspirapolvere giganti. Percorsi tutta la città e vidi un sacco di colori, e di bella gente, gioviale. Alcuni tuttavia si intristivano quando mi vedevano passare.
Il giorno dopo, quando mi svegliai, mi accorsi di essere diventato anch'io un alieno bipede, alto circa 2 metri: e la mia lingua sapeva di caramello. Capii che ormai ero diventato un'abitante di quello strano paesino, così mi cercai un lavoro. Andai zampettando (a gattoni: in fondo non avevo ancora imparato a camminare) fino dal capo del villaggio, un grosso alieno con un grande scettro di ceramica.
- Ciao, io sono diventato stanotte come voi, e ora vorrei trovare qualcosa da fare in questa città.
- Sei proprio uno strano personaggio. Tu dovrai portare l'acqua dal ruscello che scorre fuori dalle mura.
Per mura intendeva un piccolo recinto di stecccato che doveva servire a proteggere la città da qualcosa di sinistro e magico. Iniziai quel lavoro, e lo continuai senza sosta per 7 mesi.
Durante questi 7 mesi ebbi delle relazioni soddisfacenti con qualche aliena. Non parlavo molto, e non dovevo essere un gran bell'esemplare di alieno, ma la mia stranezza doveva in qualche modo intrigare qualcuno. Furono delle belle esperienze, e in fondo stetti bene in quel periodo, al villaggio. Quasi scoprii cos'era la felicità.
Il problema era il lavoro: quando uscivo e mi inoltravo nella foresta grigia di colpo si abbatteva in me la tristezza e non vedevo l'ora di tornarmene a casa, nella mia capanna.
Il ruscello era bello e fresco, e in questo nuotavano tanti piccoli pesci colorati, che sembravano delle caramelle gommose.
L'acqua era dolce, e buona. Ogni volta che arrivavo al ruscello prima bevevo un bel po' d'acqua, e poi riempivo i miei secchi. Dopodichè li riportavo al villaggio.
Facevo degli strani sogni, spesso incubi.
Una volta sognai di essere davanti a un grande precipizio. Non si vedeva il fondo: era nero. Anche intorno a me tutto era buio. Ma in lontananza, dall'altra parte del precipizio, scorgevo una piccola luce.
Un vecchio ponte, molto instabile e stretto, di legno, portava in direzione di quella luce. Il vento lo spostava da una parte all'altra, producendo inquietanti scricchiolii. Non c'erano altre strade.
Iniziai ad attraversare il ponte. All'inizio ero molto insicuro: avevo continuamente paura di cadere nel precipizio. Tuttavia, mano a mano che procedevo, acquistavo sicurezza e forza. Quel ponte sembrava non finire mai. La luce era sempre lontana. Iniziai a pensare che, per quanto camminassi, non l'avrei mai raggiunta.
Ma continuai. Continuai ad andare avanti.
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