racconti » Racconti surreale » Genesio racconta
Genesio racconta
Non nevicava più, però quella sera incrociai pochi passanti e ognuno mi superava frettoloso nonostante il ghiaccio avesse trasformato gli Champs Elisées, come le altre strade di Parigi, in una lastra di olio.
Il freddo pungente non mutava la mia andatura lenta, tanto che mi fermai sotto la smorta luce del lampione a guardare la locandina del teatro la Renaissance che annunciava Sarah Bernardt in La dame aux camelias. Tuttavia quando svoltai in Rue Royale quasi rimpiansi di essermi fatto lasciare dalla carrozza così lontano, per cui entrando da Maxim's mi sentii risollevato.
Il maitre mi accolse con la solita deferenza e intanto che mi accompagnava al tavolo, mi disse: "Voi, siete il primo della brigata". Il principio d'irritazione che mi attraversò (di regola, mi presentavo in ritardo) si dissolse vedendo apparecchiato per cinque.
Mi sentii onorato, gratificato avrebbe espresso in modo più preciso la sensazione che provai ma a quell'epoca la parola non veniva usata, constatare che il buon Alain mi aveva incluso nel suo ristretto gruppo di amici carissimi e m'intrigava conoscere gli altri che si sarebbero seduti al tavolo.
Passò qualche minuto appena, che parte della mia curiosità fu soddisfatta: entrarono Jean e Guy. Di frequente al Club, incontravo quei miei coetanei un po' eccentrici: due dandy trentottenni con cui mi trovavo a mio agio, anche se la loro ricercata eleganza non poteva competere col mio stile eclettico.
I consueti convenevoli stavano uscendo dalle nostre bocche, allorché comparve il buon Alain con al braccio una donna bellissima.
Quella splendida quarantenne, mi rapii. Il suo corpo effondeva raffinatezza a cominciare dal serico abito color pesca, al florido decolleté ornato da una collana di smeraldi, ai verdi occhi incastonati in un ovale perfetto, ai capelli biondi raccolti dietro la nuca.
Tossicchiavo per nascondere la mia sorpresa di avere a portata di mano tanta armonia ma la mia esultanza scomparve quando il buon Alain annunciò: "Questa è Martine, mia moglie ".
Stupito, non immaginavo proprio che avesse una moglie così affascinante, e sconsolato considerai: "Non potrò mai cogliere quel fiore senza calpestare l'amicizia con Alain. Non voglio trovarmi nella seccante posizione di litigare con quel bonario cinquantenne".
Questo pensiero fosco aveva attenuato la luminosità del locale, eppure il saluto che lei mi rivolse: abbassò graziosamente la testa, ebbe il potere di alterare i battiti del mio cuore.
Mentre i commensali erano distratti dal cameriere che serviva, lei appoggiandosi allo schienale della sedia e cercando il mio sguardo, mi scoccò un'occhiata in cui ardevano maliziose promesse. Poi Martine ebbe un movimento delle labbra come se se le fosse morsicate, quindi mi disse pianissimo: "Da Voi, domani alle sei".
Ero combattuto: la mia felicità o il senso sacro, per me, dell'amicizia? Perciò, desideravo che nel pavimento si aprisse una voragine capace di inghiottirmi.
Credo che i convitati si fossero accorti del mio turbamento.
Udendo una carrozza fermarsi davanti a casa, guardai la pendola: segnava le 18 e 30, successivamente colsi il tono poco cortese del maggiordomo: "Si, il signore vi sta aspettando ancora. Lasciate il mantello, vi accompagno in biblioteca da Monsieur Genesio".
Appena nel vano della porta: "Scusate... tutto questo ghiaccio" e accostandosi, mi sussurrò: "Non riuscivo a liberarmi di Alain". In seguito, esauritasi la sua risata: "So chi siete. Lo so da qualche mese ma" e dopo una pausa servitale a calmare il respiro: "non avevo il coraggio di venire. Invece quando ieri sera vi ho visto, ho capito che posso chiedervi ciò che Alain mi nega da parecchio. All'inizio, mio marito rimandava sostenendo che dovevo dedicami ai figli: il nostro matrimonio è stato allietato da due bimbi meravigliosi. Ma diventati grandi i bambini, Alain continuava a rinviare. Ora, che da tre anni i figli sono morti in un incidente ferroviario, Alain seguita a indugiare e io non posso più lasciar correr via il tempo perché tra breve la mia avvenenza sarà solo un ricordo.
Ma ho capito: Alain non sa cosa fare, per cui mi sono rivolta a voi".
Avevo già attraversato un secolo, eppure il mio spirito di vampiro era sconvolto come lo sono le acque di un lago durante una tempesta. Comunque mi alzai dalla poltrona, domandandole: "Voi conoscete il prezzo? Sapete che il fuoco e il sole possono annientarvi? Che ogni notte dovrete uccidere un essere umano per nutrirvi del suo sangue, perché la fame offusca la ragione anche in noi? Sapete che i vampiri... ". Interrompendomi: "Ho inteso molte cose su di loro", seguitando: "sono pronta. Anzi, lo desidero subito".
"No. Prima voglio parlarne col mio amico Alain". Il mio secco rifiuto dovette apparirle simile a una frustata, dato che dopo essere rimasta immobile, Martine gemendo: "Ad Alain avete regalato l'immortalità senza che ve lo chiedesse" e si accasciò sul divano, dietro di lei. "Certo, Martine e saprete anche perché l'ho fatto".
"Alain è sempre stato molto vago circa l'evento che ha visto nascere l'amicizia con voi. Vi prego, ditemelo".
"Tornavo a casa. Sperando di veder passare una carrozza, camminavo svelto perché il cielo si stava pericolosamente schiarendo: mi aveva distratto l'ultima vittima con cui mi ero saziato. Nei pressi della Senna, un gruppo di quattro o cinque giovinastri mi assalì pensando di derubarmi facilmente: in giro c'era solo qualche nottambulo.
Per un istante che mi parve eterno restai rigido, non reagii dato che guarisco da una ferita o da una frattura in brevissimo tempo, poi realizzai che il sole, già pronto a mostrarsi, poteva uccidermi.
Allora un rantolo rabbioso accompagnò la mia reazione: con un calcio atterrai uno degli assalitori e sebbene un altro mi tirasse il braccio con vigore, rapido mi liberai da mani robuste che mi stringevano il torace.
Mazzate e pugni in gran quantità: ognuno di noi, non si risparmiava per portare il proprio contributo alla rissa ma a un certo punto, fui colpito alla testa con un bastone e inevitabilmente stramazzai al suolo. Intanto che registravo una scarica di colpi abbattersi sul mio corpo, il dolore fortissimo: tentavo di ridurlo aggrappandomi con tutto me stesso ai miei sensi, mi fece svenire.
Però, quasi subito riaprii gli occhi: rammento ancora che il cielo era poco più chiaro di quando avevo perso conoscenza. Tentai di alzarmi in piedi ma la gamba spezzata me lo impediva. Per questo, il terrore si impadronì di me pensando che se anche l'osso si fosse rimarginato in fretta, il tempo non sarebbe stato sufficiente per nascondermi al sole, i cui raggi mi avrebbero ridotto in cenere.
Fortunatamente, di lì passava Alain che notando i miei maldestri tentativi di alzarmi, mi si avvicinò comprendendo dalle ferite sanguinanti, che non ero un ubriaco.
Reggendomi a lui mi sforzavo di camminare, di andare via e: "Presto, presto chiama una carrozza!" ripetevo con petulante apprensione.
Nei quindici minuti impiegati per arrivare da me, mi ero completamente ripreso: i tagli risanati come l'arto, per cui sollecito scesi dalla carrozza e mi precipitai in casa.
L'ora insolita spinse Pierre, il Maggiordomo a chiedere: "Monsieur, qualcosa non va?" Mentre di corsa salivo le scale per andare in camera dove mi aspettava la bara: rifugio durante le sgradite luci del giorno, gli gridai: "Potete raccontare al mio amico, ciò che sapete di me e riferite ad Alain che lo aspetto qui, stasera, a cena".
Terminato il racconto, rimasi a fissare Martine per un tempo lunghissimo. In seguito il mio sguardo si spostò al caminetto. Quindi preceduta dal fruscio dell'abito, udii la donna venirmi vicino e inginocchiarsi davanti a me.
La sua bellezza mi rendeva insopportabile la vista di lei prostrata, anzi quella visione bruciava nella mia anima così che le scivolai accanto mettendomi in ginocchio e sollevando le braccia per cingerla. Eppure non la toccavo e nemmeno pronunciavo il suo nome. Mi trattenevo temendo potesse accorgersi del lieve tremore che mi aveva conquistato, fino ad assoggettare anche la voce.
All'improvviso Martine tirò su la testa ed esibendo le guance rigate di lacrime: "Non posso sopportare che mi rispondiate a quel modo" mi disse scossa dai singhiozzi".
In quell'istante provai intenso il desiderio di farne la mia compagna per l'eternità, pertanto...
Ansimò quando le forai la carne del collo e inarcò il corpo. Sentivo i suoi seni schiacciati contro il mio petto mentre le succhiavo il sangue. Con vigore continuavo a suggere la sua linfa vitale, benché percepissi il suo cuore rallentare, il capo caderle all'indietro e gli occhi diventare opachi come quelli di uno che sta morendo. Poi, le appoggiai il mio polso sulla bocca, dicendole: "Bevi, bevi", ma il sangue le colava sul mento e lei sembrava morta. La cullavo, le sussurravo delicate parole d'amore.
Di colpo mi sentii tirare tutte le vene: mi succhiava con tale violenza che il suo cuore pareva tuonasse contro il mio. Le sue unghie si conficcavano nel mio braccio. Mi lacerava a pelle, quando avvertii la porta della biblioteca sbattere violentemente contro il muro.
Sorpreso, di scatto girai la testa: quel groviglio di sensazioni aveva tanto impegnato la mia mente da non lasciarmi accorgere di ciò che accadeva.
Vidi apparire Alain. che con lunghi passi mi si avvicinava. Poi cogliendomi alla sprovvista, mi afferrò per le spalle obbligandomi ad alzarmi in piedi e con il volto contratto dall'ira: "L'avevo immaginato! Mi brucia il suo tradimento" urlò indicando Martine e aggiunse: "ma il tuo! L'eccellente amico che mi rende la moglie una sgualdrina" e calcando sulle ultime parole, tentò di colpirmi la faccia con un pugno.
Riuscii a evitare il cazzotto e madido di sudore: "Non è come credi. Guarda tu stesso".
"Non dire altro" rispose Alain dandomi una spinta che mi fece perdere l'equilibrio, poi si avviò verso la porta.
"Non puoi andartene" gli gridai, aggiungendo "hai fermato la trasformazione di Martine in vampiro. Adesso, devi aiutarmi a rimed...". Interrompendomi con ira "Arrangiati. Ora è la tua donna: non mi interessa niente di voi due" e uscì.
Mi misi accanto a Martine che, completamente riversa sul tappeto, gemette più forte rendendosi conto di avermi di fianco. Tremava come se avesse freddo, molto freddo e dai sommessi mormorii che si sforzava di bisbigliarmi, non compresi niente. Tuttavia appena le appoggiai sulle labbra il mio polso, incominciò a succhiare tranquilla e dal suo volto scomparve ogni traccia di spasmo. Vedevo la sua pelle bianca diventare rosa: sembrava un neonato che poppa tranquillo. Però la sua bramosia di sangue mi stava indebolendo oltre misura, per cui allontanai il mio polso dalla sua bocca. La sua brama di sangue la fece gridare. Lo strillo durò finché alzandosi a sedere i suoi occhi incontrarono i miei, e lì si perse.
Da quel 16 dicembre 1843, sono passati cento quattordici anni ma per il nostro amore non è trascorso neppure un giorno. Che sia l'incontro di due anime gemelle?
1234
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0