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L'eredità (parte 1/2)
"Sorellina, non crederai mai a ciò che sto per dirti!" Max piombò nel piccolo salottino in preda all'euforia, facendola quasi sobbalzare per lo spavento.
"Che diavolo Max, vuoi farmi venire un accidente?" Lo rimproverò lei alzando gli occhi dal libro che aveva preso in mano da poco. Si trattava di Scheletri, una raccolta di racconti scritta dal suo autore preferito, Stephen King.
"Scusami tanto Vale, ma sono troppo contento." Non ci sarebbe neanche stato bisogno di dirlo, la ragazza lo notò dalla larghezza del suo sorriso e da una strana luce presente nelle sue iridi. "Ok, dimmi di che si tratta, ma che sia qualcosa di abbastanza serio da giustificare l'interruzione della mia lettura altrimenti per te saranno guai."
"Lo è sorellina, lo è. Stamattina il postino mi ha portato questa lettera," disse sventolandola per un attimo in aria. "L'ha scritta un notaio, il quale ci invita a raggiungerlo ad Aosta al più presto."
"Scusami un attimo, tutta questa euforia per un viaggio senza motivo ad Aosta? Ti ha dato di volta il cervello?"
"Fammi spiegare! Il motivo per cui dobbiamo andarci è semplice; un nostro zio è morto ed essendo noi gli unici parenti alla lontana rimasti, automaticamente siamo divenuti anche gli unici eredi."
L'atteggiamento di Valentina mutò completamente e anche a lei finalmente spuntò un sorriso che la rese incantevole. Non avevano un assoluto bisogno di soldi certo, ma un'eredità spuntata dal nulla era un sogno che avrebbe fatto gola a molti. La classica opportunità di dare la svolta ad una vita che, fino a quel momento non era stata per niente entusiasmante, soprattutto dopo la morte di entrambi i genitori in un incidente stradale.
"Davvero? Gli unici eredi?"
"Proprio così, dice che ha impiegato parecchio per scovarci nell'albero genealogico."
"Per caso accenna anche a cosa ci ha lasciato questo zio?"
"Non è molto specifico per quanto riguarda i soldi, ma lo è invece sulle proprietà."
"Avanti, non farmi stare sulle spine."
"Vale, quell'uomo possedeva un castello ed è proprio lì che il notaio ci aspetta."
Il cuore della ragazza saltò un battito.
No, non è possibile! Una simile fortuna non può capitare proprio a me.
In un modo o nell'altro però era capitata. E non se la sarebbe lasciata scappare per nulla al mondo.
Il giorno seguente si misero subito in viaggio, percorrendo i 160 chilometri che separavano Frossasco, un comune in provincia di Torino, da Aosta in poco meno di un'ora e mezza. Il problema maggiore fu quello di scovare l'ubicazione esatta al primo colpo; trattandosi di un castello era tutt'altro che semplice visto quanti ne sorgevano a nord del capoluogo Valdostano. Malgrado le indicazioni presenti sulla lettera dovettero chiedere informazioni ad alcuni abitanti del posto, molti dei quali risultarono essere piuttosto vaghi nelle spiegazioni.
Furono costretti a sorbirsi una decina di chilometri di sentieri stretti e tortuosi e giunsero in vista del castello solamente verso la metà del pomeriggio, quando oramai non ci speravano più; era situato a circa millecinquecento metri di altitudine, in uno dei pochi punti dove la montagna spianava per lasciare spazio ad un dolce declivio. Circondato a est e ovest da uno splendido bosco, e sovrastato a nord dalle imponenti cime delle alpi Aostane, quel maniero sembrava trovarsi letteralmente fuori dal mondo, l'unico elemento costruito dall'uomo in mezzo a chilometri di natura selvaggia.
"Oh mio Dio!" esclamò Valentina a bocca aperta, rimirando il magnifico contrasto del cielo azzurro con il grigio delle pareti e il verde delle chiome degli alberi. "Questo è uno..."
"Stavi per dire uno spettacolo?" Le venne in soccorso il fratello notando la sua difficoltà. "Sì, senza ombra di dubbio. Non ho mai visto niente del genere in vita mia."
Condusse l'auto fin quasi all'ingresso e si fermò giusto accanto ad un'altra vettura, il cui proprietario non poteva che essere il notaio. Scesero e avanzarono fino al portone, piacevolmente deliziati da un venticello fresco che spirava da ovest. Valentina si sentiva come in paradiso e respirò a pieni polmoni, assaporando l'assoluta purezza di quell'aria ricca di ossigeno.
Suonarono e poco dopo l'enorme portone alto almeno tre metri si aprì cigolando.
"Oh buongiorno, voi dovete essere il signor Massimo e la signorina Valentina giusto?"
"Siamo noi," rispose Max non disdegnando un'occhiata alla donna che si trovava davanti. Indossava un tailleur grigio molto elegante e doveva avere all'incirca quarant'anni, ma fu un altro particolare ad attrarlo maggiormente: i suoi occhi, nascosti dietro ad un paio di occhiali da vista molto sottili, erano di uno stranissimo colore giallo che né lui né sua sorella avevano mai visto prima.
"Vi aspettavo," continuò la donna invitandoli ad entrare. "Io sono Silvia Giansanti, il notaio che vi ha spedito quella lettera."
"Come ha fatto a scoprire che eravamo imparentati con il defunto?"
"Grazie ad un documento che ho miracolosamente scovato in una delle stanze del castello dopo mesi di ricerche, dove il signor Conti nominava proprio la vostra famiglia."
Valentina non stava ascoltando nulla di tutto ciò, la sua attenzione era orientata al salone che la circondava. Con una superficie che si aggirava attorno ai cento metri quadrati doveva valere da solo più di dieci volte la loro casa di Frossasco, senza contare l'arredamento. Mobili antichi, divani e poltrone di pregevole fattura, una decina di quadri e un magnifico tappeto persiano che copriva il centro del pavimento. In fondo al salone iniziava poi un'ampia scalinata che conduceva ai piani superiori e ogni singolo gradino era coperto da una morbida moquette rosa.
La Giansanti finalmente riuscì a catturare anche l'attenzione di Valentina e condusse entrambi gli eredi in una piccola stanza al piano superiore, dove li fece accomodare su due comode poltrone, mentre lei si sistemò dietro la scrivania.
"Credo non vorrete perdere altro tempo, quindi che ne dite se affrontiamo subito l'argomento di ciò che vi spetta?"
"Sinceramente non attendevamo altro," rispose Valentina che notò solamente in quel momento gli occhi della donna. Non era solamente il colore a renderli così strani, c'era qualcos'altro, qualcosa di più profondo che alla ragazza sfuggiva.
"Ebbene, il signor Conti non ha lasciato alcun testamento specifico, quindi automaticamente tutti i suoi beni vanno ai parenti più prossimi, in questo caso voi due."
"I suoi beni? Non aveva solo questo castello?"
"Esatto, era l'unica proprietà ma poi c'è il denaro. Aveva aperto un conto bancario qui ad Aosta e questi sono i documenti che lo provano."
Il notaio passò loro alcuni fogli contenenti estratti conto, movimenti bancari, interessi composti e per ultimo il riepilogo delle disponibilità liquide del defunto.
Quando Max lesse la cifra finale per poco non cadde dalla sedia, mentre la reazione di Valentina fu più composta. Si limitò ad alzare lo sguardo per incontrare ancora una volta quello della Giansanti, che non faceva una piega.
"Quindici milioni e trecentomila euro!"
"Precisamente."
"E il castello, saprebbe dirci il suo valore?"
"Facendo una stima approssimativa non meno di venti milioni, escludendo ovviamente i quadri e gli oggetti di valore presenti nelle varie stanze."
"Mi scuserà se faccio così tante domande, ma siete davvero sicura che noi siamo gli unici eredi?" Valentina faticava a reprimere la gioia per quella sensazionale notizia, ma allo stesso tempo era come se una parte di lei la frenasse; a ventun'anni oramai aveva imparato a non credere nei sogni, e quello in cui stava vivendo dava proprio l'impressione di esserlo, in tutto e per tutto.
"Capisco i suoi dubbi signorina, ma le posso assicurare che è così!" Per la prima volta il volto del notaio si distese completamente, sfoggiando un angelico sorriso che contagiò subito anche Valentina. "Nessuna clausola o condizione, nessun vincolo. Avrete solo un impedimento."
"Lo sapevo," commentarono fratello e sorella all'unisono. "C'è sempre un impedimento accidenti."
Silvia li osservò divertita, poi si decise a non farli soffrire ulteriormente spiegando loro la natura di quell'impedimento.
"Tranquilli, si tratta solamente di firmare delle carte, parecchie carte. Ve la sentite di fare questo sforzo?"
Valentina si stupì del tono spensierato che stava prendendo la conversazione e subito prese in simpatia quella donna.
"Beh, per una simile eredità siamo disposti a farci venire persino un crampo alla mano, vero fratellino?"
"Parole sante," commentò Max e tutti e tre si misero a ridere.
Lo squillo del cellulare della Giansanti spezzò quella splendida atmosfera e la donna si congedò momentaneamente, uscendo dalla stanza e lasciandoli soli.
"Saremo ricchi sorellina, finalmente la dea bendata ha deciso di passare da queste parti."
"E l'ha fatto in grande stile," aggiunse lei illuminata dal suo stesso sorriso. "Qui non stiamo parlando di spiccioli."
Trascorsero quasi cinque minuti e iniziarono a chiedersi quanto potesse durare la telefonata del notaio.
"Vale, lo sai come sono no? Quando iniziano a parlare è difficile fermarli."
Un grido lacerò il silenzio, riempiendo ogni singola stanza del castello e gelando il sangue nelle vene dei due fratelli. Un urlo di dolore raccapricciante, quasi disumano, che si insinuò nelle zone più recondite della loro mente paralizzando ogni singolo muscolo del loro corpo.
Nel momento in cui, dopo cinque interminabili secondi cessò, nella stanza cadde il silenzio più assoluto, un silenzio assordante.
"M... ma," balbettò Valentina facendo fatica a costruire una frase. "Cos'è suc... successo in nome di Dio."
Max dal canto suo non riuscì a parlare. Un nodo gli stringeva la gola facendogli quasi mancare il respiro.
Iniziarono a risuonare dei passi, dapprima lievi poi sempre più decisi e distinti. Di chiunque si fosse trattato doveva essere davvero grosso.
E stava salendo le scale.
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