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Il Temporale
<<Dai lancia>> disse Roberto all'amico Stefano che finalmente si decise a tirare il pallone verso di lui.
Roberto lo inseguì e lo tirò nuovamente verso il compagno di giochi che sembrava essere turbato da qualcosa.
<<Senti Roby, io devo tornare a casa, mia mamma si arrabbia altrimenti>>.
Roberto sembrò deluso dall'improvviso abbandono dell'amico.
<<Va bene>> disse infine, <<fa come ti pare, io me ne starò qui e continuerò a giocare anche senza di te>>.
Stefano abbassò il capo offeso e si allontanò dal campo in cui stavano giocando a pallone oramai da diverse ore, uscì da esso e si avvicinò alla sua bicicletta appoggiata al terreno polveroso del sentiero. La raccolse e si allontanò.
Roberto rimase così completamente solo in mezzo alla campagna. Alzò le spalle e tornò a giocare.
Si immaginò di essere il campione di una squadra di calcio, simulò di superare in dribbling innumerevoli avversari, di trovarsi a tu per tu col portiere e di batterlo con un potente e preciso rasoterra. Immaginò la rete gonfiarsi e migliaia di persone esultare e applaudire il proprio begnamino.
Immerso com'era nel suo gioco e nelle sue fantasie di bambino sognatore, Roberto non si accorse che il cielo si stava incupendo, una fitta coltre di nuvole nere lo stavano coprendo.
Sporadici fulmini e tuoni si stavano avvicinando da chissà dove e finalmente Roberto si accorse di tutto ciò e, dopo aver raccolto il vecchio e logoro pallone che stava utilizzando, si allontanò raggiungendo in un batter d'occhio la sua bicicletta
appoggiata in terra sul margine sinistro del sentiero.
Vi salì a cavalcioni e iniziò a pedalare a più non posso sperando che il tempo reggesse ancora un po' per permettegli di raggiungere la sua abitazione, distante circa quattro chilometri da quel luogo, ancora asciutto.
<<Avanti avanti>> diceva Roberto come ad autoincitarsi.
Il temporale era sempre più vicino.
Dalle sue fantasie scaturì questa volta una stretta strada di montagna, due ali di folla la avvolgevano urlando a squarciagola. Urlavano per lui, lo incitavano di continuare a pedalare. Lui era un campione di ciclismo che si accingeva a vincere l'ennesima corsa.
"Un chilometro all'arrivo, ce la farò" disse mentalmente guardandosi indietro per scorgere i suoi fantomatici rivali che aveva appena staccato su quell'impervia salita delle dolomiti.
Delle grosse goccie iniziarono a cadergli addosso ridestandolo improvvisamente dal suo sogno ad occhi aperti.
Numerosi fulmini iniziarono a cadere dal cielo e Roberto fu preso letteralmente dal panico, sua madre gli diceva sempre che era meglio non trovarsi in un bosco durante un temporale perché qualche fulmine scendendo dal cielo avrebbe potuto colpire un
albero che avrebbe potuto così incendiarsi, cadere e causare seri danni.
Iniziò a pedalare più velocemente. Sentì i suoi polmoni sotto sforzo, se li immaginò stridere come dei pneomatici di un'automobile da corsa in curva durante una gara. Improvvisamente una serie di numerosi fulmini iniziò a scaricarsi direttamente sul sentiero che lui stesso stava percorrendo, grosse scintille luminose si alzavano dal terreno sabbioso del sentiero quando questi lo colpivano, scintille luminose che risaltavano nella penombra del cielo incupito dai grossi nuovoloni.
Inizialmente i fulmini colpivano il suolo circa dieci metri indietro rispetto a dove si trovava lui, ma ben presto Roberto vide che si stavano avvicinando. Se si fosse fermato un attimo o avesse anche solo rallentato uno di quei fulmini lo avrebbe
sicuramente colpito.
Ansimando si piegò in avanti, come vedeva di sovente fare ai suoi campioni preferiti del ciclismo, e iniziò a pedalare a più non posso, era sicuro che non avrebbe retto quel ritmo ancora a lungo. I fulmini si stavano avvicinando.
La ruota anteriore della bicicletta di Roberto colpì un sasso che spuntava dal terreno. La parte anderiore della bicicletta si sollevò di almeno dieci centimetri (fortunatamente la ruota anteriore non si era impigliata nel sasso riproducendo una sorta di effetto rampa. Quando la ruota anteriore toccò nuovamente terra la bici sbandò paurosamente per alcuni metri prima di rimettersi definitivamente in carreggiata. Roberto tirò un lungo
sospiro di sollievo senza smettere di pedalare notando con soddisfazione che la sua velocità non era diminuita nonostante l'imprevisto inatteso. Tuttavia la preoccupazione di cadere si aggiunse a quella di non poter più reggere fisicamente un ritmo del genere.
I fulmini si stavano avvicinando sempre più.
Roberto cercò di aumentare ancora di più la velocità rischiando più di una volta di sbandare e uscire dalla piccola carreggiata del sentiero. Improvvisamente scorse il cartello che tanto aveva atteso. Borgo Chiuso, il piccolo villaggio rurale in piena campagna in cui risiedeva.
Proprio in quel momento un fulmine cadde qualche centimetro avanti alla sua bicicletta, producendo un rumore simile ad uno sparo di fucile da cacciatore che spesso Roberto sentiva
provenire dai boschi che circondavano Borgo Chiuso.
Roberto ebbe l'istinto di frenare, ma la velocità era troppo elevata, le ruote strisciarono per qualche metro nella sabbia del sentiero prima che Roberto mollasse nuovamente i freni
e ripartisse a tutto gas sbandando vistosamente.
Proprio in quel momento altri due fulmini colpirono alla destra e alla sinistra della sua bicicletta come se qualcuno, sparando dal cielo, cercasse in tutti i modi di prendere la mira.
Fu in qul momento che Roberto capì. Per qualche oscuro motivo il temporale lo voleva morto.
Ormai era giunto a pochi metri dal cartello di Borgo Chiuso e non voleva fermarsi, non vedeva l'ora di essere a casa, al calduccio davanti al fuoco. Rimpiangeva di non essersi avviato verso casa in compagnia dell'amico Stefano.
Altri tre fulmini, seguiti da dei maestosi tuoni, colpirono il terreno a pochissimi metri da lui.
Finché, quando ormai costeggiava il cartello di Borgo Chiuso, un fulmino lo colpì in pieno.
Una scarica elettrica avente circa 20-25 kiloampere di corrente, gli attraversò il corpo. un dolore indicibile lo attraversò facendolo urlare e cadere violentemente dalla bici che, producendo ancora delle scintille, proseguì ancora per qualche metro prima di accasciarsi su un fianco.
Roberto cadde invece di schiena rimanendo in quella posizione per qualche secondo prima di spirare.
"Hai vinto tu pezzo di merda" pensò nell'attimo in cui sopraggiunse la morte.
A quel punto il temporale parve soddisfatto, smise di piovere e in meno di un minuto il cielo ridiventò completamente azzurro e privo di nuvole.
<<Dove diavolo è ?>> chiese Anita a Sandro che stava leggendo attentamente un articolo delle prime pagine de "Il Tirreno".
<<Era fuori con quel suo amico, Stefano>>.
<<Ho capito ma con questo temporale dovrebbe tornare a casa, è pericoloso>>.
<<Quel bambino se la sa cavare meglio di me e te messi insieme>>.
<<Non ti interessa di tuo figlio? preferisci non bagnarti?>>.
Sandro sospirò irritato e si alzò dal vecchio tavolo della cucina. Prese uno dei tanti obrelli appoggiati al muro di fianco all'ingresso e uscì nel grosso cortile della cascina in cui
viveva in compagnia di sua moglie Anita e dei suoi tre figli Giovanni (che lo aiutava nell'attività di allevamento di tacchini), Alice (che da oltre due anni studiava a Padova) e il piccolo Roberto.
"Dannazione non voglio andare a cercarlo, quella donna non sa che suo figlio è in grado di cavarsela da solo".
Si diresse verso la strada con l'intenzione di prendere il piccolo trattore spider con cui si muoveva nella zona, quando vide arrivare Stefano, l'amico di Roberto, a cavallo della sua bici.
<<Ehi, dov'è mio figlio?>>.
<<È già in casa mia ad aspettarmi, io sono tornato indietro perché avevo dimenticato il pallone>> rispose Stefano. Non sapeva perché aveva mentito, forse perché non voleva ammettere di aver abbandonato l'amico in mezzo alla campagna nel bel mezzo di un temporale. "Dopotutto non ho colpa, non pioveva ancora quando sono tornato a casa".
Sandro tirò un sospiro di sollievo e lo salutò con la mano ritornando verso la sua abitazione.
<<È a casa di Stefano, stanni li a giocare finché non finisce il temporale>> annunciò Sandro alla moglie che sembrò tranquillizzarsi.
Sandro si sedette nuovamente sulla sedia e tornò ad immergersi nella lettura del giornale. Attesero quasi venti minuti in cui il tempo non aveva alcuna intenzione di migliorare, poi
il fuoco del camino si intensificò improvvisamente ruggendo minacciosamente, diventò talmente imponente da attecchire anche sulle cataste di legna fuori dal camino.
Proprio in quel momento il temporale smise di colpo e tornò il sereno.
<<Ma che diavolo succede?>> chiese Sandro al vento cercando di spegnere a forza di secchiate d'acqua l'incendio che si era propagato per tutta la zona intorno al camino. Finalmente riuscì
a domarlo e uscì in strada vedendo Stefano tornare di corsa verso la campagna a cavallo della sua bicicletta.
<<Ehi Stefano>> chiamò a più non posso Sandro. Il bambino si voltò di scatto con epressione colpevole.
<<Dov'è mio figlio? mi avevi detto che era con te>>.
Il bambino scoppiò a piangere disperato.
<<L'ho lasciato da solo in mezzo al campo, stavamo giocando a pallone e io non avevo voglia, lui invece è rimasto li e ora mi sento in colpa...>> piagnucolò Stefano.
<<Avanti non fare così, Roberto è un bambino sveglio, vedrai che si è trovato un rifugio perfetto e ora starà giocando nuovamente in mezzo al campo, dai raggiungiamolo almeno giocherò anche io una partita con voi>>.
Il bambino parve tranquillizzarsi e raggiunse l'adulto sa bordo del piccolo trattore che partì dirigendosi verso l'aperta campagna.
Arrivarono, ridendo e scherzando, a circa venti metri dal cartello che indicava la fine di Borgo Chiuso e videro in terra la bicicletta di Roberto completamente annerita. Insieme
scesero dal trattore e vi si avvicinarono per vedere meglio.
<<Che cazzo è successo...>> esclamò preoccupato Sandro. Ma fu quando vide, a circa dieci metri di distanza, il corpo carbonizzato di suo figlio, si inginocchiò sul terreno polveroso
e scoppiò a piangere disperato strappandosi i capelli.
Proprio in quel momentoricordò di una cosa ormai sepolta nella parte inconscia della sua memoria.
Era un'afosa giornata di luglio di circa trent'anni prima, Sandro si trovava con un gruppo di amici su un muretto in pietra poco fuori dal borgo.
Stavano bighellonando attendendo la fine delle lezioni di catechesi, le quali insegnanti erano delle ragazze veramente carine tutte casa e chiesa.
<<Le insegneremo noi come si sta al mondo>> esclamò uno dei suoi amici che aveva alzato decisamente il gomito quel pomeriggio. Anche Sandro non si poteva dire sobrio al cento per cento.
Improvvisamente il cielo era diventato scuro come china coprendosi di grossi nuvoloni neri.
Tutti erano scoppiati a ridere.
<<Avanti chi ha il coraggio di sfidare il temporale?>> aveva chiesto uno dei ragazzi.
<<E che cosa si dovrebbe fare per sfidare il temporale?>>.
<<Guarda Sandro>> aveva detto il ragazzo prendendo fra le mani magre un ombrello dalla punta in ferro e, dopo esser saltato in piedi sul muretto, aveva teso la punta metallica verso il cielo.
<<Se per dieci minuti nessun fulmine ti prende, hai vinto, altrimenti vince lui, ti va?>>.
Sandro aveva annuito accettando la sfida.
si era messo nella posizione indicata dal suo amico e aveva atteso, inizialmente non credendo che i fulmini potessero colpire un ombrello quasi a terra, ma poi aveva dovuto ricredersi.
Era una cosa davvero pericolosa.
I fulmini gli passavano davvero vicino rischiando più di una volta di colpirlo, ma lui, annebbiato dall'alcol non si era reso conto del pericolo che aveva corso continuando imperterrito la sfida mentre i suoi amici, ancora meno sobri di lui, ridevano a
crepapelle.
I dieci minuti erano terminati e Sandro aveva vinto la sfida esultando. La sera gli amici gli avevano pagato da bere e quella storia era stata progressivamente dimenticata.
Fino a quel giorno.
Ora Sandro capiva quando suo nonno gli diceva: <<non sfidare la natura perché lei vince sempre perché lei sa aspettare>>.
Il temporale aveva saputo aspettare e aveva vinto.
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