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Lo stesso giorno
Era già mattina, la sveglia suonava fastidiosa sul comodino. Allungai un braccio e la spensi, come sempre.
Da appena alzata avvertii uno strano senso di soffocamento; il mio petto pareva chiuso, il mio cuore scosso.
Dalla finestra potevo vedere nuvole grigie e pesanti che coprivano il cielo, maligne. Il gatto dei vicini se ne stava appollaiato su di un basso ramo dell'albero che troneggiava al centro della strada, completamente spoglio; il suo buffo collare giallo riluceva anche da quella distanza.
Era inverno, ora me ne rendevo conto.
Bevvi a malapena una tazza di caffè, da sola in cucina, poi me ne andai a scuola.
Il tempo non prometteva nulla di buono, le nuvole si scurivano nel cielo e il vento si alzava, sferzandomi in faccia, freddo.
Mi strinsi nel cappotto, pentendomi di non aver preso una sciarpa.
Entrai a scuola e lasciai che le lezioni mi scivolassero addosso, c'era qualcosa di maledettamente apatico in me, quel giorno. Avevo come l'impressione che il tempo scorresse a rallentatore, per potermi far cogliere meglio ciò che mi circondava.
I colori delle magliette dei miei compagni erano stranamente vividi mentre le parole che uscivano dalle loro bocche e da quelle dei professori, si perdevano nel nulla prima di raggiungere le mie orecchie.
Credo di aver passato l'intera mattinata a guardare... sì a osservare.
Non ho aperto bocca, non ho parlato, di questo sono totalmente sicura. Era la prima volta da quanto potevo ricordare della mia vita, che non avessi nulla da dire. Nulla, come se i rumori non fossero importanti, come se un incantesimo li avesse risucchiati e, con loro, anche la mia voce.
Quando l'ultima campanella suonò flebile, uscii di scuola sentendomi l'unico essere vivente in tutto in mondo.
Sì, il petto opprimeva e il cuore sussultava, avevo paura, ma infondo ero l'unica cosa viva. Contavo soltanto io.
Il pomeriggio s'ingrigì presto e la pioggia prese a cadere fitta, costringendomi in casa fino all'ora di cena.
"Vai a prendere un po' di zucchero, l'abbiamo finito".
La voce di mia madre mi raggiunse lontana ma vera. Non risposi e m'infilai il cappotto, lenta.
Uscii e faceva sempre più freddo, tanto che il mio respiro condensò con l'aria, salendo in alto come una piccola nuvoletta di fumo. Era buio e per la via non c'era anima a piedi, erano tutti al caldo, a preparare la cena.
Le luci delle case erano accese e ai miei occhi apparivano quasi arancioni; mi pareva impossibile pensare che dentro quei quadratini colorati si trovassero delle persone vere, come me.
Davanti al vialetto di casa mia c'era il gatto dei vicini, il bel persiano dal pelo blu, con quel buffo collare giallo legato al collo.
Mi avvicinai a lui e lo carezzai un momento; era strano che fosse ancora fuori, era piovuto per tutto il pomeriggio e l'asfalto regolare era tutto bagnato e scivoloso.
L'animale fece le fusa e accostò la testa alla mia mano, in segno di affetto.
Lo ignorai e guardai l'orologio: erano precisamente le diciannove e otto minuti.
Intanto il gatto, stufo della mia indifferenza, si allontanò veloce, attraversando la strada sotto i miei occhi.
In quel preciso istante sbucò a tutta velocità un'Audi grigia dalla curva, travolgendolo in pieno. Il sangue del gatto si mescolò alla pioggia che bagnava la strada. Brutta cosa la morte: un momento prima sei presente, sei vivo, quello dopo sei inanimato, senza possibilità di rimedio.
Il guidatore frenò e le ruote emisero uno stridio che mi risvegliò dal silenzio.
Scese dall'auto un uomo per controllare la situazione e per vedere come stava la sua macchina; io attraversai la strada e me na andai a comprare lo zucchero a mia madre.
Quella sera cenammo in silenzio, tranquilli, mentre fuori aveva ripreso a piovere.
Decisi di andare a dormire presto, ero molto stanca e provata.
Quando spensi la sveglia mi accorsi che era come se avessi dormito solo dieci minuti.
Da appena alzata il mio petto si chiuse, proprio come la mattina precedente.
Mi affacciai alla finestra e il cielo era grigio, ancora una volta nuvoloso, quasi rabbioso.
Un dettaglio di quel panorama invernale, molto suggestivo, mi turbò enormemente: quasi persi l'equilibrio, nel vedere il gatto dei vicini appollaiato su di un ramo basso dell'albero più grande del quartiere.
Non mi stavo sbagliando, era lui, lo riconoscevo da quel suo collare giallo, tanto buffo e originale.
Eppure era morto sotto i miei occhi la sera prima. Come poteva essere su quell'albero tranquillo?
Mi imposi di lasciar perdere ancora prima che la mia gola si serrasse e i miei arti prendessero a tremare, non dovevo avere terrore di una cosa simile.
Uscii di casa senza mangiare e mi accorsi che faceva freddo.
Il fiato condensò con l'aria e questo mi ricordò qualcosa. Mi bloccai per un secondo e il vento freddo mi sferzò in faccia. Subito pensai che avevo sbagliato a non prendere una sciarpa.
All'improvviso mi sentii come in un dejà vu, si, come se tutto quello l'avevo già vissuto.
Forse perché era così: il giorno non era cambiato, era esattamente come quello precedente.
Scossi la testa violentemente per dimenticare e lasciai che la giornata mi scivolasse addosso di nuovo, mentre il mio petto si stringeva sempre più e la morsa dell'ansia raggiungeva rapidamente la gola.
Il mio cuore tremava e con lui le mie membra.
No, parlare era impossibile in quella situazione.
Passai il tempo a cercare di convincermi che quella non era la stessa giornata che avevo vissuto il giorno prima e, nel mio cervello, quasi urlavo a me stessa che tutto ciò non era vero.
Come potevano essere due giorni uguali? Non era possibile.
Poi mi chiesi cosa avevano di diverso i giorni della mia vita tra loro e trovai una sola risposta: nulla.
La routine era quella, tutto si somigliava, ogni mattina, ogni sera, ogni azione, ogni soggetto. Un lampo illuminò la mia mente, così che tutto parve cristallino come l'acqua di un ruscello: la mia vita era vuota.
Io ero vuota.
Non ricordavo un singolo giorno nel quale avevo riso più degli altri, pianto più degli altri e soprattutto amato più degli altri.
Ricordavo estati, inverni, persone, ma non sentimenti. Mi chiesi cosa fosse, un'emozione, ma non trovai una risposta.
E tutto era grigio, nelle mie rimembranze, so solo questo.
Allora perché stupirsi di quel dejà vu? Allora perché la gola era stretta e la bocca secca? Che quello fosse il primo giorno memorabile della mia vita?
Iniziai a pensare che quel giorno non era quello precedente ma una sua copia semplice, come lo era stata tutta la mia vita.
Mi chiesi se non stessi impazzendo, se non mi fossi immaginata tutto, se non fosse soltanto un brutto sogno. Se lo fosse stato, in cosa sarebbe consistita la differenza con la realtà? I miei pensieri si mescolarono e mi sentii in un universo parallelo creato dalla mia mente.
"Vai a prendere un po' di zucchero, l'abbiamo finito".
La voce di mia madre mi scosse, facendomi tremare di paura: stavo impazzendo.
Scesi per il vialetto e scorsi il persiano dei vicini.
Mi avvicinai ma non lo accarezzai. Non avrei permesso a quella giornata di finire come credeva lei. Non avrei permesso ad una giornata di farmi impazzire.
Battei forte gli scarponi sul cemento bagnato e il gatto schizzò di lato con un balzo, il suo miagolio risuonò nel silenzio mentre si incamminava sul vialetto di un'altra casa.
Guardai l'orologio, erano le diciannove e otto minuti.
Di lì a qualche secondo un'Audi grigia sarebbe spuntata dalla curva, a tutta velocità, ne ero sicura.
Non provai nessun tipo di esaltazione nel saperlo, come sempre mi sentii priva di sentimento. Nei sogni non si provano sentimenti.
Tutto era vuoto, tutto era grigio, tutto era inutile e freddo.
Allora forse, ero inutile anch'io.
Era più peccato vivere una vita inutile e vuota o farla finire?
Non cercai nemmeno una risposta e attraversai la strada.
Se tutto ciò fosse stato un semplice sogno non sarebbe accaduto niente, mi sarei svegliata di soprassalto o magari avrei continuato a dormire.
Feci appena in tempo a vedere l'Audi sbucare dall'angolo e a cambiare idea rispetto al giorno prima.
Che cosa curiosa la morte: un attimo prima sei e quello dopo non sei più e forse è un bene che non sia reversibile. Magari è così bello non essere che anche se si potesse, nessuno tornerebbe indietro. Per questo non ce l'hanno mai raccontato.
Lo stridio delle gomme non raggiunse le mie orecchie; non vidi sangue, ma il mondo aveva smesso di essere grigio.
Non mi svegliai, ma ancora non ho capito se la vita è un sogno o realtà.
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