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Redenzione
Dopo la prima volta che l'avevo visto mendicare, ero tornata in quella zona tante altre volte.
Gli avevo portato da mangiare, e qualche volta l'avevo accompagnato al bar a prendersi cappuccino e brioche.
Col tempo aveva imparato a fidarsi di me ed era arrivato a raccontarmi parti personali della sua vita precedente. Mi aveva raccontato di quello da cui scappava, degli incubi che lo tormentavano e che lo portavano ad avere ancora paura.
Adesso me ne stavo davanti ad una tomba, intenta a fissarla. Avevo pagato io la sepoltura, e in quel momento ripensai ad un istante passato.
Ce ne stavamo affacciati al balcone di pietra intenti a fissare il Po illuminato dai lampioni.
"A volte vorrei poter rimediare ai miei sbagli", mi disse.
Mi voltai verso di lui: "E non puoi?"
"Non in questo caso, no."
Annuii, mi umettai le labbra e fissai un altro punto.
"Una volta ho letto che la vita non è altro che ricerca della redenzione."
"Che significa?"
Tornai con lo sguardo sul suo viso stanco e rugoso, consumato dal tempo e dalla paura.
Infine dissi: "Che in fondo tutti vogliamo essere perdonati. Da qualcuno, per qualcosa."
Mi guardò e chinò il capo per nascondere le lacrime. Poi non disse più nulla. Capii che per il momento non voleva parlarne, ed io rispettai la sua scelta.
Infine tornai a fissare il Po, e mi accorsi che all'orizzonte si stava facendo buio.
Tornai al presente e controllai l'orologio. Diedi un ultimo saluto alla lapide ed uscii dal cimitero.
Una volta in commissariato, Lentini non esitò a fare domande.
"Dove sei stata?"
"Sono passata in un posto."
"Hai un fidanzato?"
"Sì, e se proprio lo vuoi sapere è molto più bello di te."
Lui annuì. "Gentile come sempre."
Presi posto alla mia scrivania, e risposi: "Sei tu quello che non si fa mai gli affari propri, e poi si lamenta se gli rispondono male."
Aprii il cassetto chiuso a chiave, ed estrassi un fascicolo.
"È stata da quel barbone amico suo. Il cadavere ritrovato qualche mese fa", udii.
Alzai lo sguardo dalle carte e vidi Scalzi sorridermi: se ne stava in piedi dinanzi la sua scrivania.
Lo fissai. "Sei messo male se non hai niente di meglio da fare che spiarmi."
"Tanto è stato un suicidio. È inutile che cerchi indizi. Occupati dei veri casi."
"Cioè, di quelli che non sai risolvere tu?"
"Ti sopravvaluti, Fermi."
"E tu invece mi sottovaluti."
A quel punto Lentini rise. Poi disse: "Non ti conviene, Scalzi. Ti è già andata male una volta. Com'era il caffè?"
La battuta di Lentini che alludeva ad un evento di qualche mese fa tra me e Scalzi, provocò le risatine di parecchie colleghi presenti, e il suo viso si tramutò in una maschera di rabbia misto alla vergogna. Si mise sotto braccio una cartella e mi si avvicinò.
"Non credere che sia finita qua."
"Prova a minacciarmi ancora, e puoi stare certo tu che non finisce qua."
Irritato, si allontanò.
A quel punto Lentini mi si avvicinò sussurrando: "Non sapevo che ti stessi occupando di quel caso."
"Non sono tenuta a dirti tutto quello che faccio."
Mi alzai e mi diressi in archivio. Lentini mi seguì in corridoio.
"Che significa, siamo partner sì o no?"
"Questo adesso non c'entra."
"Certo, sempre come vuoi tu."
Alzai gli occhi al cielo. "Lentini, dacci un taglio."
"Quel caso è stato archiviato. LoRusso lo sa?"
Mi bloccai e costrinsi lui a fare lo stesso.
"Ecco, è per questo: è per questo che a volte ti tengo fuori. Tu a volte giudichi con presunzione, e io non sopporto quando si parla senza sapere."
"Ma che vuoi dire?"
"Voglio dire che quel caso per me non è chiuso."
"Quell'uomo si è suicidato. Su cosa devi indagare?"
"Ma sì, certo! E per uccidersi si è riempito di sprangate e poi si è legato polsi e caviglie", spiegai ironica.
Lentini mi fissò stupito. "Potrebbe essere successo di tutto."
Annuii. "Hai ragione. Ed è quello che ho intenzione di scoprire."
"Avanti... lo sai che non lo puoi fare."
"Devo."
"Cinzia? Non ne vale la pena."
"Vai a dirlo all'uomo che è stato picchiato a sangue."
"Non..."
Io lo interruppi e sottolineai: "È stato ritrovato con segni evidenti su polsi e caviglie, il che significa che mentre qualcuno lo riempiva di calci e pugni, è stato immobilizzato per far sì che non potesse difendersi. Al momento del ritrovamento, il suo corpo era livido e il suo viso sfigurato. Avrà sofferto per quasi tutto il tempo del pestaggio e non ha potuto difendersi."
Lentini non rispose, ed io continuai col magone: "Quindi non venirmi a dire che non ne vale la pena."
Infine mi voltai e proseguii per l'archivio, e questa volta Lentini non mi seguì.
Dopo un'ora impiegata a farmi consegnare i moduli necessari per la richiesta di materiale archiviato, sentii vibrare il cellulare. Fissai il display e appresi che era LoRusso.
"Sì?"
"Passa in ufficio, per favore. Devo parlarti."
Mi risultò strana la telefonata di LoRusso. Sapevo che se mi aveva chiamata e mi aveva chiesto di passare nel suo ufficio, significava che era successo qualcosa. E visto cosa avevo intenzione di iniziare, immaginavo volesse dissuadermi dal farlo.
"Il tempo di salire, e sono da lei."
Mentre lui riattaccò senza dire altro, io restai qualche istante col cellulare accostato all'orecchio. Infine lo riposi in tasca e m'incamminai.
Una volta là dentro, mi chiese spiegazioni.
"Non capisco."
"No. Sono io che non capisco", disse lui.
Sapevo di cosa stava parlando, ma volevo sentirmelo dire.
"Deve dirmi qualcosa, dottore?", domandai.
"Non puoi occuparti di un caso irrisolto senza autorizzazione e senza nuove prove."
Scossi il capo e risi ironica.
LoRusso parlò: "So già quello che pensi. Lentini non voleva, l'ho costretto io a parlarmene."
"Certo."
"Il punto non è questo, Fermi."
"E allora qual è?"
Unì le mani e le appoggiò sulla scrivania. "Il punto è che non puoi muoverti come vuoi. Io devo rispondere a quelli sopra di me e lo sai che non sei vista di buon occhio."
"Perché, che gli ho fatto? Gli ho sottratto un caso che lasceranno marcire nel dimenticatoio?"
"Smettila di scherzare."
"E chi sta scherzando?"
"Lo sai il perché non gli vai a genio", fece una breve pausa. "Tu lavori in questo commissariato, ma non gli appartieni. E questo a loro non è mai andato giù."
Feci spallucce. "E che cosa dovrei fare? Farli contenti e sottomettermi?"
"Non dico questo, dannazione!", gridò.
Io serrai la mascella, ma non replicai. LoRusso riprese a parlare con tono pacato.
"Tu sei ancora qua perché lavori bene. Quelli non aspettano altro che un tuo passo falso per metterti alla porta. Se continui ad occuparti di quel caso e loro lo vengono a scoprire, a quel punto io non potrò aiutarti."
Non dissi nulla. Mi limitai a fissarlo negli occhi e a continuare a non capacitarmi del fatto che se avessi ceduto alle sue richieste, quell'uomo morto non avrebbe avuto giustizia.
Infine mi alzai e uscii dall'ufficio senza dire altro.
Tornai a casa che erano le dieci di sera.
Parcheggiai e ritirai la posta dalla cassetta delle lettere.
La accomodai sul tavolino dell'ingresso e andai a lavarmi le mani.
Fissai lo specchio e non riuscii a non vedere tutto quel sangue. Le foto che la polizia scientifica aveva scattato allora, lo ritraevano ridotto ad una poltiglia.
Distolsi lo sguardo e cercai di scacciare quell'immagine.
Mi buttai sul divano, e fissai il soffitto; ma nella quiete del silenzio, mi ritrovai a ripensare al caso che volevo a tutti i costi riaprire.
Ci sarebbero voluti mesi per farlo: tutta la maledetta burocrazia m'impediva di muovermi velocemente.
Andai in cucina e misi la padella sul gas. Mentre l'olio era intento a scaldarsi, mi mossi un istante verso l'ingresso a recuperare la posta.
La sfogliai e notai qualcosa che attirò la mia attenzione. Il retro di una busta bianca segnalava il mittente: Alberto Vasari era il caso che stavo seguendo.
Spensi il gas e mi accomodai al tavolo.
La scartai bruscamente e lessi.
<<Quando ci siamo visti l'ultima volta, non sono riuscito a chiederti di salvarmi, perché so che l'avresti fatto.
Devi capire che per quanto tu possa avermi visto impaurito e indifeso in questi mesi, in passato ho fatto tanto male. E ogni volta che col ricordo torno al tempo in cui militavo nelle squadre d'azione, sento di non riuscire ad abbandonare quel macigno che mi trascina giù.
L'uomo che tradii trent'anni fa, mi sta cercando per mantenere la sua promessa. Si chiama Franco Lupi detto Scorpione e il loro quartier generale in Piemonte si trova in una zona fuori mano, in un capannone sulla strada che da Torino va verso Cuneo.
Sono pericolosi, e molto. Se potete, fermateli.
Non sentirti in colpa per la mia decisione. Aver trovato un'amica con la quale confidarmi è stato per me il più bel regalo che potessi ricevere negli ultimi anni.
E come hai insegnato ad un povero vecchio come me, redenzione è adesso.>>
Scossi il capo e mi asciugai la guancia col palmo della mano. Se solo me l'avesse permesso, avrei potuto aiutarlo. Invece aveva pensato che per redimersi gli era bastato morire, e indicarmi il sito del covo per fermare quei fanatici.
Fissai un punto sul muro e ricordai.
"Facevi parte di un gruppo di estremisti di destra?", gli chiesi.
"E la cosa terribile era che militavo. Facevo parte dell'organizzazione operativa che andava per le strade ad intimidire, e non solo."
Scosse il capo, e continuò.
"Non ci credevo realmente. Ero solo un ragazzo arrabbiato e senza un punto di riferimento."
Lo lasciai proseguire.
Lui sogghignò. "Sai la redenzione della quale mi parlavi?"
Io annuii.
"Ecco perché credo di non riuscire ad ottenerla, ora come ora. La cerco per quello che feci in quel periodo."
Attesi, e lui riprese.
"C'erano delle volte in cui piangevo talmente forte per quello che commettevo, che avevo timore che qualcuno del gruppo potesse sentirmi e farmi fuori accusandomi di non essere abbastanza all'altezza", fece una breve pausa. "Il fatto era che i modi di intimidire si erano fatti sempre più violenti: le botte erano sempre più forti e il sangue sempre più rosso. Mi facevo paura da solo, ma non sapevo come uscirne."
Si mise una mano in volto e pianse.
"Quella sera avevamo in programma di assaltare il quartier generale dei ragazzi di sinistra."
Annuii.
"Conoscevo ogni procedimento, ogni dettaglio di quel maledetto piano", continuò.
Lo lasciai parlare. Pensavo di aver capito cosa voleva confidarmi.
Mi fissò con il viso rigato di lacrime. "Io volevo andarmene via. Non volevo che nessuno si facesse male. Devi credermi."
"Non ti sto giudicando. Sul serio."
"Feci una soffiata e avvertii i ragazzi dello schieramento opposto. Successe il finimondo."
"E i tuoi lo vennero a sapere?"
"Giurarono vendetta. Se mi trovano, quelli mi ammazzano."
Era per quello che era morto.
La polizia non aveva voluto indagare oltre, e la sua morte era stata archiviata come suicidio. I ragazzi di una volta e ora uomini, avevano portato avanti la loro vendetta promessa trent'anni prima.
Alberto non aveva voluto farsi salvare, ma mi aveva chiesto di fare qualcos'altro. Mi asciugai nuovamente i residui delle lacrime e annuii a me stessa.
Mi fiondai in salotto e recuperai l'arma d'ordinanza. Controllai la carica e inserii la sicura. Afferrai le chiavi dell'auto ed uscii.
Arrivata a qualche metro distante dal loro quartier generale, rallentai.
Quando vidi qualcuno in lontananza, spensi l'auto e restai in attesa.
Fissai il cielo buio oltre il parabrezza, quando sentii bussare dal finestrino.
Mi voltai di scatto e vidi il viso di Lentini. Non credo di avergli mai voluto bene come in quel momento.
Aprii la portiera, e sussurrai: "Tu che fai qua?"
"E tu?"
"Lentini? Va' via. Se LoRusso lo viene a scoprire, finisci nei casini."
"Tu invece hai l'immunità?"
"No, ma sono responsabile per me stessa. Non voglio esserlo anche per te."
"Allora non sei arrabbiata con me per averglielo riferito."
"In realtà ti detesto."
Lentini rise e scosse il capo.
"Allora, che si fa?", domandò tornandomi a guardare.
"Come facevi a sapere che mi trovavo qua?"
Fece spallucce. "Ti ho seguito, che domande. Con la testa dura che ti ritrovi ci manca solo che finisci ammazzata."
Lo fissai scettica. "Scusa, forse stai confondendoti. Sei tu quello che ancora non sa controllarsi quando è sotto pressione."
"Ti odio quando sottolinei sempre tutto."
Sorrisi. "Lo so."
Gli feci segno di salire in auto.
Una volta dentro, prese a piovere e mentre la pioggia batteva sui vetri, io cominciai a spiegargli quello che avevo scoperto.
"E quindi non si è ammazzato", osservò.
"No. Non si è ammazzato con le sue mani, ma è come se l'avesse fatto. Si è fatto trovare, e non mi ha permesso di aiutarlo."
"Cosa pensi di fare?", mi chiese.
Scossi appena il capo. "Non lo so."
Fissai la struttura in lontananza, e ripresi: "Sai, è come quando qualcuno ti fa un torto. Lo odi con tutte le tue forze, e sei convinto che non riuscirai mai più a perdonarlo."
Feci una breve pausa. "Ma poi capisci che continuare a restare arrabbiato non fa cambiare le cose, perché quel torto ormai ti è stato fatto. Puoi solo lasciarlo indietro e andare avanti per i fatti tuoi."
A quel punto fissai il mio partner. "Perché non poteva succedere anche a lui e a loro?"
Lentini scrollò le spalle. "A volte il rancore non c'entra. Lo sai che in gioco c'è anche la mente. Se non sai reggere, impazzisci."
Fu in quell'attimo di silenzio che udii una raffica di spari.
Scendemmo dall'auto e cominciammo a correre verso l'edificio. Fu solo arrivati quasi a destinazione, che pensai potesse trattarsi di una trappola.
"Aspetta, aspetta!", dissi senza successo.
Lentini si fermò, ma il tempo di aprire bocca che due uomini coperti in volto, armati di catene e manganelli, cominciarono ad avanzare nella nostra direzione: uno verso Lentini, l'altro verso di me.
A quel punto sfoderammo le armi e gli intimammo di alzare le mani.
"Abbassatele subito", arrivò una voce da dietro.
"Oh merda", commentò Lentini.
"Stavo per dire la stessa cosa", dissi io.
Ubbidimmo e ci voltammo.
Poco distanti, tre uomini incappucciati. Due ci puntavano contro le armi, mentre il terzo si avvicinò, allargando le braccia.
"Mi spiace essere ricorso a questi giochetti, ma dovevo assicurarmi di avere la meglio dalla mia parte", gridò per sovrastare il rumore della pioggia.
"Prego, entriamo", continuò facendo cenno verso il capannone.
Una volta all'interno, lo stesso che aveva parlato prima, mi porse la mano e si presentò. "Scorpione. Tutti mi chiamano così."
Ricordai il nome scritto sulla lettera. Declinai la stretta e parlai. "Siamo agenti di polizia."
"Lo so, e voi siete nel mio territorio."
L'uomo fece cenno verso Lentini, e altri due uomini coperti in volto, lo trascinarono altrove.
Mi mossi nella sua direzione, ma uno dei due mi bloccò puntandomi contro un fucile.
Feci la smorfia di chi trattiene ciò che invece vorrebbe dire a tutti i costi, e chiesi: "Dove lo portate?"
"Non si deve preoccupare. Se il suo collega non cercherà di fare il Rambo, non si farà del male. Voglio solo parlarle a quattrocchi, commissario: è lei che m'interessa."
"E quelli là?", domandai indicando i suoi scagnozzi.
L'uomo rise e disse: "Lei ha ragione, e mi scuserà. Ma sono per precauzione: ho osservato come lavora, e so che è molto capace in quello che fa... particolare, azzarderei."
"Ah, è per questo."
"Sì, e non solo. Lei potrebbe essere l'unico testimone a mio sfavore. Il vecchio era amico suo, no? Scommetto che le ha raccontato parecchi fatti, anche di quello che mi fece anni fa, e come mi chiamo realmente."
"Già. Ciò che non si può avere spontaneamente, si può comprare: giusto?"
Annuì compiaciuto. "Giusto."
"Sbagliato. Perché io non accetterò nessuna delle sue proposte."
L'uomo sogghignò, e si tolse il cappuccio. Un uomo sulla cinquantina, rasato, con uno scorpione disegnato sul lato destro del collo, e una cicatrice sul labbro.
"Neanche ora che conosce il mio volto?"
"E crede che questo mi possa far cambiare idea?"
"Se tiene alla vita, forse ci penserà due volte."
Attesi. Poi riallacciandomi al discorso di prima, dissi: "Tutto quello che fate è assurdo. Qua non esiste il suo territorio."
"Si sbaglia."
"Cosa sarebbe, una zona franca?"
"Tipo, sì. Soprattutto per chi ha le idee diverse dalle mie."
"Il fascismo è finito da un pezzo", azzardai io.
Mi fissò.
"Sì. Sì, è vero", fece una breve pausa. "Ed è per questo che faccio parte di questo movimento. Per ripristinare ciò che non c'è più. L'Italia ha bisogno di difendersi."
"L'Italia non ha bisogno di quelli come voi."
"Sono a capo di questo gruppo da ormai trent'anni, e mi creda quando le dico che so quello di cui ha bisogno questo paese. L'Italia deve tornare agli italiani."
Annuii. "Bella cazzata."
Chi gli stava a lato, caricò le armi.
"I miei ragazzi sono un po' suscettibili, li deve scusare."
Non dissi nulla, e Scorpione mi si avvicinò quasi a sfiorarmi il viso.
"Non c'è modo per farle cambiare idea, commissario? Io e lei potremmo allearci. Insieme per l'Italia, non capisce?"
Lo fissai per alcuni istanti. Infine, scandendo bene ogni singola parola, dissi: "Quello che fate mi fa venire il vomito."
Lui si irrigidì, ma poi sorrise e prese a camminare.
"L'uomo che mi ha venduto trent'anni fa, come lei sa', ha fatto una brutta fine. Ci pensi bene e rivaluti la mia proposta. Siamo stati capaci di trovarlo dopo trent'anni. Io e questi ragazzi lavoriamo bene e combattiamo per una giusta causa."
"Sì, per diventare assassini."
Si voltò di scatto e gridò: "NON SIAMO ASSASSINI!"
Si massaggiò il collo e sembrò voler riprendere il controllo quando spiegò: "Lei commissario, e il suo collega, la polizia in generale non è poi tanto diversa da noi."
"E perché, sentiamo?"
"Perché anche voi uccidete i cattivi."
"Quello che fate voi è esercitare violenza gratuita, voi istigate all'odio razziale, e intimidite chiunque non sia dalla vostra parte", scossi il capo. "Io non lavoro così, e quindi me lo lasci pure dire: io non sono affatto come voi. Si cerchi un altro alleato."
"Siamo noi i coraggiosi, lei continua a non capire."
"Siete così coraggiosi da dovervi coprire il volto ogni volta che mettete in pratica le vostre schifosissime idee."
A quel punto l'uomo sogghignò e mi fissò, divenendo serio.
"Se non è con me, è contro di me, commissario."
Fece cenno verso i due che gli stavano alle spalle. "Prendetela."
Sapevo di rischiare la vita agendo così, ma arrivata a quel punto non avevo poi molta scelta.
Scaraventai il vecchio sui due armati e mi misi a correre nella direzione dove avevano portato Lentini.
Ero senza la mia arma e questo avrebbe potuto risultare un problema, specialmente se il mio partner era sorvegliato da uomini muniti di mitra.
Sentii le grida dietro di me, e a quel punto mi ritrovai dinanzi un cancello.
"E tu che fai qua?", domandò un ragazzino poco più che sedicenne, munito di fucile.
"Scorpione mi ha detto di dirti una cosa", dissi.
Lui mi fissò perplesso. "Che cosa?"
"Di tornare a casa a bere il latte."
Gli tirai un calcio che gli fece perdere l'equilibrio e finire sulla rete del cancello. A quel punto vidi due mani fermarlo per le braccia e immobilizzarlo: era Lentini.
"Dai!", m'intimò.
Afferrai l'arma e colpii la nuca del ragazzo, col calcio del fucile.
"Prendi le chiavi, prova nella tasca! Fai in fretta!"
"Sei ferito?"
Lui scosse il capo.
Recuperai la chiave e mi guardai indietro per assicurarmi che non ci fosse nessuno.
Liberai Lentini e mi frugai in tasca in cerca del cellulare: non mi ricordavo di averlo preso, e silenziosamente ringraziai il cielo e chi mi voleva bene da lassù. Composi il numero e chiamai LoRusso dicendogli di inviare diverse pattuglie in soccorso.
Lentini afferrò il fucile e ci muovemmo a grandi passi.
Udii la voce di Scorpione, sbraitare, e i passi marcati degli anfibi delle teste rasate.
"Corri!", gridai a Lentini. La pioggia prese a batterci nuovamente addosso e fu in quell'attimo che vidi il mio partner crollare a terra, e il fucile scivolare lontano.
Mi voltai di scatto in cerca della spiegazione: poco lontano, notai Scorpione e altri due uomini venirmi in contro.
Arrivato vicino, rimase fermo e digrignò i denti. Di scatto mi colpii in viso, ed io caddi a terra.
"Non solo sei una puttana maleducata, ma sei anche recidiva! Declini la mia offerta e ferisci i miei uomini!"
Con la lingua mi toccai il labbro tagliato e riconobbi il gusto dolciastro del sangue.
"Sono una puttana che però non potrai mai avere! Hai perso!", gridai per coprire il rumore della pioggia.
Rabbioso, mi afferrò per i capelli e mi abbaiò in faccia. "Se non ti posso avere con me, commissario, allora non ti avrà nessun altro!"
Fece segno ad uno dei suoi uomini. Lasciò la presa e mi puntò l'arma contro.
Deglutii, sicura di star per morire. Davanti mi passò tutta la vita. Mentre gli occhi mi divenivano lucidi del pianto e della rabbia, serrai la mascella.
Sentii Lentini gridare e infine udii due, tre spari: non riuscii a distinguerli.
Istintivamente per difesa, portai le mani avanti: come se un paio di palmi potessero in qualche modo bloccare il piombo.
Sentivo di essere ancora in piedi. Mi toccai e non vidi sangue. Come poteva essere?
Ritornai con lo sguardo su Scorpione e lo vidi a terra, intento a fissarmi con occhi di ghiaccio. Poi notai due chiazze di sangue su entrambe le gambe, e dietro di lui vidi LoRusso con l'arma tesa.
Fu allora che capii: il mio capitano mi aveva salvato la vita.
Altri agenti raggiunsero gli uomini armati e gli sfilarono i fucili di mano.
Mi scostai i capelli dal viso bagnato e socchiusi gli occhi. Quando li riaprii, annuii al vicequestore in segno di infinito ringraziamento.
Dopo, come l'incubo che finisce, scorsi in lontananza le famigliari luci blu della polizia, e mi sentii al sicuro.
Una volta in ospedale, io e Lentini venimmo medicati nella stessa stanza.
Fortunatamente era stato ferito solo di striscio alla spalla, ed io me la cavai con tre adesivi a colla per bloccare la ferita sul labbro superiore. Il pugno ricevuto non mi aveva arrecato altri danni.
"Adesso si può sapere che cazzo è successo?"
Mi voltai verso l'entrata e vidi LoRusso sulla soglia con le braccia spalancate a tenere la porta.
Tenendosi la spalla fasciata, Lentini scese dal lettino.
"Possiamo spiegarle."
"Dovete, Lentini", disse sottolineando l'obbligo.
L'infermiere finì di sistemarmi la medicazione, ed uscì: forse aveva compreso che di lì a poco ci sarebbe stata un'accesa discussione.
L'uomo chiuse la porta, e nella stanza restammo noi tre: conoscevo quell'espressione e raramente l'avevo vista sul volto di LoRusso.
A quel punto passò in rassegna i nostri visi e si fermò sul mio.
"Se servisse a farti tornare indietro, aggiungerei al tuo viso altri cazzotti a quelli che hai beccato stasera", mi disse.
"Dottore...", azzardò Lentini.
"No, Lentini. Questa volta non funziona così."
LoRusso tornò su di me ed io parlai. "Lo so quello che mi aveva detto."
"E meno male."
Esitai.
"Mi dispiace di aver trasgredito i suoi ordini, dottore", feci una pausa. "Ma non mi pento di quello che ho fatto."
"Tu non ti penti di quello che hai fatto?", mi fissò con espressione dura. "Tu saresti potuta morire, stasera."
"Lo so."
"Ti ho sempre appoggiata, Fermi. Sempre. In tutto quello che hai fatto e che hai detto per tutti questi anni. E questo non è un rimprovero, voglio che tu lo sappia. Quello che ho fatto, l'ho fatto perché credevo in te e in quello che stavi facendo."
"Ma?"
"Ma sapevi a cosa andavi in contro quando hai accettato di violare un mio ordine."
"Che significa?", domandò Lentini aggrottando la fronte.
Io però avevo già capito a cosa si riferiva.
A quel punto la porta si spalancò ed entrò l'uomo che mi detestava e che io detestavo: dirigente Sergio De Rosa.
Vestito con un abito nero elegante e l'impermeabile in braccio, esordì sorridendo.
"Commissario Fermi, Ispettore Lentini."
Poi si voltò verso LoRusso che chinò il capo.
Senza il minimo interesse per le nostre condizioni, chiese: "Gliel'hai già detto?"
Il vicequestore non rispose e De Rosa riprese a parlare.
"Mi dispiace per questa decisione drastica, ma il regolamento è il regolamento anche per lei, Fermi."
Serrai le mascelle doloranti e deglutii.
A quel punto Lentini si fece avanti.
"No, mi scusi, De Rosa. Ci dev'essere un errore."
"Nessun errore, ispettore. Glielo assicuro. Il commissario Fermi dimentica sempre che non è lei a dettare le regole."
"Continuo a non capire: il caso è stato risolto. Il lavoro di Fermi ha permesso di sgominare quella banda di pazzi e ha scoperto l'assassino di quel povero uomo. Questo non conta nulla?"
"Fermi ha trasgredito a degli ordini ben precisi e ha agito di sua iniziativa. È un membro dell'ordine pubblico, non un investigatore privato."
"Visto che sono presente nella stanza, vi sarei grata se non parlaste come se non ci fossi", dissi.
Annuii, e proseguii: "D'accordo. Se lei crede sia corretto agire così, lo faccia. Non sto cercando giustificazioni."
De Rosa annuì con quel sorriso da stronzo che non avevo mai potuto soffrire.
"Michele, ci pensi tu?", chiese
Ogni sua singola mossa era fatta di proposito. Chiamarlo per nome e dargli il compito di sospendermi dall'incarico, era un colpo basso per entrambi.
LoRusso divenne serio in volto.
Recuperai il cappotto ed uscii. Percorsi il corridoio con le sue parole che non smettevano di ronzarmi in testa.
"Commissario Fermi, lei è sospesa dal servizio per aver violato le procedure e per aver messo in pericolo la vita di un agente di polizia."
"Tutto questo è ridicolo! L'ho deciso io!", commentò Lentini.
Il vicequestore però non si fermò: "Domani mattina dovrà passare in ufficio a ritirare le sue cose, e prendere atto della lettera di sospensione comprensiva di data di reintegro."
Mi tese la mano col palmo rivolto all'insù, e attese.
Il cuore mi si era catapultato in gola. Mi sfilai l'arma e recuperai il distintivo. Infine glieli porsi.
Fissai De Rosa e lessi la soddisfazione sul suo volto.
Uscii dalla struttura che aveva smesso di piovere, e all'orizzonte un timido sole tentava di farsi spazio tra le nuvole nere.
Le cose possono cambiare, pensai. Come la tempesta che incombe sulla città, ma che non dura a lungo.
Alberto aveva preferito morire, ed io non ero riuscita a fargli capire che la vita può concedere possibilità di redenzione.
Ero stata sospesa, ma sarei tornata. E senza darmi per vinto avrei continuato a combattere per tutte le persone che come Alberto, erano deboli e indifese.
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Grazie mille, cara! Contentissima!
- brava Roberta, sei davvero brava non potevo perdere questo racconto fantastico!
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Davvero grazie mille, Claudia: è proprio un gran bel complimento!
Grazie di essere passata!
A presto!
- Roberta: bravissima!!!! Ormai di donne detective/poliziotto eccetera sono pieni gli scaffali ma questa Fermi... mi sembra proprio che abbia una marcia in più!
- aaahahahhahha!! non me ne sono neanche accorto.
- AHAHAHAH!!! Beh... che devo dirti, Mottola? STRA - GRAZIE MILLE!
I tuoi commenti sempre così ben esplicati non possono che farmi contenta!
Concordo con te. L'argomento è interessante e mi è piaciuto approfondirlo e lavorarci sopra: magari anche nella speranza di far capire qualcosa di buono...
Sul fatto invece che Fermi si metta in proprio, per il momento non l'ho messo in conto: anche perchè mi piace l'idea del poliziotto buono visto male dagli altri solo perchè non è disposto ad essere come loro!
RIgrazie, Mottola!!!
(ah! E comunque ci hanno perso quelli in divisa a non averti tra loro!)
- Ahahah!!!
Grazie mille, Michele!
Dunque... adesso ne sto scrivendo uno con protagonista Fermi, ma presto tornerà anche Mandelli!
Grazie ancora, è sempre piacevole vederti tra i miei puntuali lettori!
- Ma, Giova? Tu che l'inglese lo conosci come le tue tasche, non mi correggi? "She's... etc etc"
Grazie, carissimo! A presto!
- Oh, abbasso la guardia un paio di giorni e mi ritrovo a leggere uno dei tuoi migliori racconti?? Applausometro al massimo, Robi, concordo con Giovanni che migliori a vista d'occhio, davvero impressionante!!
Questo racconto è uno spettacolo, completo in ogni sua parte, avvincente, grande ritmo ma anche ben sviluppato nei temi affrontati: l'indipendenza di Fermi rispetto all'inquadramento poliziesco, come sai, mi tocca da vicino per recenti esperienze, ma anche la rinascita di un estremismo fascista e xenofobo è un bell'argomento. Devo dire che alla fine ho pensato che venisse cacciata definitivamente e si mettesse in privato, ma forse fa troppo America e a Torino l'America puzza troppo di Marchionne... comunque grande, mi sei proprio piaciuta parecchio!!!
Ultimamente si è detto spesso che cinque stelle non sono sufficienti, e devo dirlo anch'io... sarebbe ora che si cambiasse il sistema di voto, magari in centesimi!!!
- Beh, come vedi non sono il solo a proporti certi suggerimenti. Quando cominci a pensarci su?
Per tutto il resto non fai che confermarti e confermarmi la tua bravura nei dialoghi.
Brava Roby, ma non dimenticarti di quell'altra, mi piacerebbe confrontarle più spesso.
Ciao
- Scherzi? finito?? io starei ad ascoltarti per ore.
un bacione, bella
- Ahah! Sei la seconda persona che si esprime dicendo così: grazie anche a te, contentissima!
Dunque... sia tu che Giuseppe avete parlato di azione: ora vi spiego un po'. Quando sono arrivata a quel punto del racconto, subito l'ho trovato difficilotto.
Dal mio punto di vista, descrivere di combattimenti e cercare allo stesso tempo di mantenere un bel ritmo affinchè la scena non cada nel banale, non è facile! Però dopo aver preso il via, in poco mi sono ritrovata a scrivere la fine!
Arrivati a questo punto, ci sono i vostri commenti che confermano la buona riuscita!
Ahah! Do you think she sexy?
Sì, beh. Quando ho creato il suo personaggio, le ho dato volutamente quell'aria un po' da sexy - dura, ma dal cuore buono e leale.
Questo poi mi ha permesso e mi permetterà anche di creare scontri con i membri del commissariato stesso (vedi De Rosa e Scalzi).
Fermi è una bella donna e allo stesso tempo è un poliziotto che lavora sodo secondo sani principi, e che non è disposta né a soccombere né a piegarsi alle varie illegalità che magari possono sorgere all'interno di una grande struttura.
Okay, ora ho finito. Ahah! Bacione, Giova! E grazie di esser passato.
- mmm... ma com'è che maturi così velocemente? questo è anche meglio di quello precedente!!
Mi ripeto ma non fa niente, è giusto che venga detto quando bisogna dirlo: sei bravaaaaaaaaaaaaaa!! chi mi ha preceduto parla di pura azione: è vero. bella anche la parte dei ricordi di lei e le scene di confronto.
io persevero nel dire che Fermi è sexy, non c'è niente da fare...
- Ahahah! Vov! Son contenta, Giuse! Infinitamente grazie!
- Mi hai stupito Robi, non aspettavo altro che un tuo racconto per darmi la carica giusta
dall'inizio, fino al ''torna a bere il latte'' fino ai tre spari, pura azione. Grande
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