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Il travet
Era in ufficio ormai da sette ore, continuava a lavorare senza staccare gli occhi dallo schermo del computer; ogni tanto con voce atona rispondeva alle domande del collega seduto alla scrivania accanto senza mai guardarlo, poi riprendeva a battere con ritmo incessante e instancabile, dava quasi ai nervi quella sua metodicità.
Non si alzava mai, nemmeno per bere un bicchier d'acqua o sgranchirsi un po' le gambe, aveva pochissimi contatti, parlava solo se interrogato. Alla fine della giornata, sempre alla stessa ora, spegneva il suo computer, riordinava le pratiche sulla scrivania, si infilava attento il cappotto e se ne andava, voltandosi ancora una volta a guardare l'ufficio per essere certo di aver lasciato tutto al proprio posto.
Era estremamente preciso, sulla sua scrivania tutto era disposto con ordine maniacale, tutto perfettamente allineato, mai un granello di polvere o una carta accartocciata, buttata lì per caso o per fretta: aveva sempre il tempo per ripristinare l'ordine anche dopo un lavoro urgente.
Arrivava tutte le mattine alle sette in punto, dava il buongiorno al portiere, mai una parola di più, e si dirigeva diligentemente all'ascensore per raggiungere rigorosamente alle sette e tre minuti il suo ufficio. Appendeva i suoi effetti personali all'attaccapanni, sempre allo stesso posto, accendeva il terminale e immediatamente riprendeva il lavoro esattamente dal punto dove si era interrotto la sera precedente. Aveva una pazienza da leone e non perdeva mai la calma in nessuna situazione, a volte non sembrava nemmeno umano, era sempre estremamente controllato.
Il suo collega di ufficio invece, arrivava sempre in orari diversi, non era mai puntuale, era caotico, chiacchierava troppo, parlava ad alta voce e lo importunava con continui dubbi o domande su come procedere, non rispettava mai le procedure, era svogliato, prendeva cinque caffè al giorno, la pausa per il pranzo era eterna, era sempre a flirtare con le colleghe, non gli stava mai bene niente, si lamentava del lavoro, della sedia che era scomoda, della luce che era poca e sbagliata, delle pratiche che erano troppo complesse o troppo banali, insomma era un continuo lamentare, denigrare, confrontare, rivendicare e soprattutto stuzzicare quell'uomo silenzioso e distante: lui in genere taceva, a volte annuiva con un suono gutturale indefinito senza però distogliere lo sguardo dal terminale.
Nessuno in ufficio conosceva niente della sua vita privata, sapevano che non era sposato e non aveva figli, che viveva in una grande villa fuori città, ereditata alla morte dei genitori. Non si sapeva niente di parenti o familiari, niente di hobby, passioni, interessi, niente di niente. Non sembrava benestante, nonostante la grande casa, anzi dall'abbigliamento un po' dimesso pareva quasi soffrire di ristrettezze economiche, anche se era sempre perfettamente curato e in ordine. Si sapeva solo che in dieci anni di servizio non si era assentato un solo giorno, non aveva mai scioperato, preso un permesso o partecipato ad una sola assemblea, non aveva mai nemmeno fatto una sola ora di straordinario, anche quando c'erano scadenze importanti, adducendo come scusa la presenza di tre cani che lui custodiva senza il supporto di nessuno. Svolgeva il suo lavoro attentamente ma senza la minima passione, era davvero un soggetto che passava inosservato e così fu che col suo anonimo comportamento ed in modo assolutamente inconsapevole attirò suo malgrado l'interesse della nuova e discussa dirigente d'azienda.
Arrivata da poco più di un mese, era una donna sulla trentina, sveglia e rampante, con la battuta sempre pronta e l'atteggiamento mascolino che contrastava con l'aspetto delicato e femminile. Era estremamente aggressiva, dispensava a larghe mani elogi e punizioni, non sopportava l'ipocrisia e tantomeno le servili adulazioni, ma le piacevano i complimenti e stare al centro dell'attenzione. Si fece, infatti, presto notare da tutti gli impiegati di sesso maschile per le generose scollature e le vertiginose minigonne e per la gestione spregiudicata del potere, lasciandosi influenzare senza nasconderlo da simpatie per agevolare o al contrario da antipatie per contrastare l'operato dello sfortunato di turno.
Sensibile com'era ai complimenti, si lasciò presto sedurre dalle attenzioni galanti del collega d'ufficio del nostro anonimo impiegato e cominciò a frequentarlo segretamente; dal canto suo il seduttore non aveva perso occasione per farsi notare dalla nuova dirigente sfoggiando in sua presenza le migliori qualità professionali e soprattutto i migliori pettorali. Da donna sensibile quale essa era si era lasciata coinvolgere, certamente dalla professionalità, ma più di tutto dai pettorali davvero degni di interesse.
Consumarono ben presto la loro storia di sesso, come le mille altre storie di sesso già vissute in precedenza da entrambi e presto recuperarono la reciproca indipendenza. Purtroppo quale scomodo strascico di questa effimera avventura restò il fatto che a quasi tutti i loro incontri carnali aveva assistito un impassibile testimone. I due amanti clandestini, infatti, avevano scelto come alcova l'ufficio condiviso dai due colleghi, e non si erano minimamente preoccupati di nascondere le effusioni al povero impiegato, il quale senza mai mostrare segni d'imbarazzo e senza mai distogliere lo sguardo dal monitor aveva continuato a battere insistentemente sui tasti della propria tastiera anche quando l'atmosfera diventava rovente e forse sarebbe stato opportuno abbandonare la postazione e lasciare libero sfogo ai due sconvenienti attori.
Ciò successe non solo la prima volta, quando incredulo aveva assistito all'approccio e all'amplesso tra i due senza apparentemente scomporsi di una virgola, ma anche agli incontri successivi, non reputando giusto che spettasse a lui allontanarsi dalla postazione di lavoro per lasciare privacy ai due amanti, senza che da parte loro ci fosse mai stata la minima richiesta in tal senso. Lui si era limitato ad ignorarli, come del resto loro avevano ignorato lui, non preoccupandosi di dare sfogo ai loro istinti più bestiali in sua presenza.
Purtroppo passata l'animalesca passione tra la dirigente e l'impiegato, il nostro travet rimanesse unico e scomodo testimone della squallida storia e pertanto suscettibile suo malgrado di ritorsioni da ambo le parti.
Le condizioni lavorative del povero burocrate perciò cambiarono sensibilmente: ormai la dirigente voleva liberarsi di quell'imbarazzante fardello, mal sopportando l'idea che nei momenti di lascivia aveva ecceduto in atteggiamenti estremamente osceni di fronte a quell'uomo che continuava imperterrito a restare a lavorare alla sua scrivania.
Cominciò, quindi, a provocarlo in ogni modo, cercando di fargli venir fuori una reazione sgarbata che giustificasse un trasferimento d'ufficio o addirittura un licenziamento, ma la pazienza dell'impiegato non aveva limiti. Lo insultò apertamente davanti ai colleghi e lo mortificò, ma lui non recepiva alcuna offesa, sembrava un essere inanimato. La dirigente ormai lo disprezzava, non sopportava nemmeno più la sua vista. Giustificando con menzogne e falsità la decisione, nel giro di poche settimane lo licenziò.
L'uomo nel suo stile più consono non batté ciglio, raccolse i suoi effetti personali, scrisse una lettera con le istruzioni da lasciare al suo sostituto e si accinse ad andarsene. Come ultima cosa bussò all'ufficio della dirigente per porgerle il suo saluto più caloroso. Era di spalle e lui la colse di sorpresa, ma lei non reagì. Lo lasciò fare, tutto e anche di più, restò completamente in balia di quell'uomo per quasi due ore, lo stesso uomo che fino a pochi minuti prima aveva considerato una perfetta nullità. Il saluto dell'impiegato fu davvero di quelli che non si dimenticano e lei non lo dimenticò ... continuò a rimpiangerlo per molto tempo. Tornata in sé, ma ancora tutta presa dall'inaspettato ma apprezzato incontro erotico, la dirigente annullò presto la lettera di licenziamento, ma niente e nessuno poteva riportare l'impiegato in quell'ufficio: lui le regole le rispettava!
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