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L'ultimo bacio
Un urlo atroce straziò la notte, rimbombando come un'eco tra i muti grattacieli che si ergevano cupi e minacciosi sulla città. La pioggia cadeva fitta, il cielo nuvoloso era a tratti rischiarato da qualche lampo, ma il rumore del tuono si udiva a stento. I lampioni funzionavano ad intermittenza, come se proprio quella sera dovesse saltare la corrente.
Se il vicolo non fosse stato al buio, se lei non fosse stata così paranoica, probabilmente tutto ciò non sarebbe mai accaduto.
Là, inginocchiata sul selciato e seminascosta da dei bidoni della spazzatura, una ragazza teneva in grembo il capo di un giovane uomo - chi poteva dire se si trattava del fidanzato o il fratello? - ma dal modo in cui gli accarezzava i capelli era chiaro che doveva volergli bene. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi, e il trucco le colava sulle guance trasfigurandole il volto, abbruttendolo: i lunghi capelli rossi, appesantiti dall'acqua e da essi resi più brillanti, le cadevano sulla faccia nascondendole il viso ad altri che non fossero il ragazzo che teneva stretto a sé.
Quest'ultimo inspirava a stento, il volto una maschera di sangue. Il petto gli si sollevava e alzava a fatica, come se ogni respiro gli provocasse un estremo dolore: doveva avere qualche costola incrinata, e forse anche una grave lesione interna, a giudicare dal sangue che gli scorreva in rivoletti dalle labbra socchiuse. Molto probabilmente non avrebbe visto la prossima alba, e questo lo sapeva.
Malgrado la sofferenza riuscì però a sollevare un braccio, stringendo gli occhi e mordendosi il labbro inferiore per non lasciarsi sfuggire un gemito. Avvicinò la mano pallida al volto della ragazza, riuscendo ad accarezzarla e macchiandosi le dita del suo trucco ormai completamente sciolto. Fece per parlare, voleva disperatamente dire qualcosa, ma la voce sembrava essere intrappolata nella sua gola: niente sarebbe riuscito a fargli muovere le labbra e vibrare le corde vocali, e ormai era troppo tardi. L'ambulanza non sarebbe mai arrivata in tempo, ma in un certo senso lui non sembrava preoccupato né tantomeno disperato. Sapeva che la sua vita sarebbe dovuta finire in un modo simile, avrebbe dovuto aspettarsi che quella sarebbe stata la sua ultima notte su questa terra. Non si era mai visto vecchio, sul suo letto di morte, semplicemente perché non era destino che fosse così.
Ma come far sì che la sua fidanzata lo comprendesse e se ne facesse una ragione?
Gli faceva molto più male vedere le sue lacrime, sentire i suoi singhiozzi, piuttosto che provare dolore per quelle costole incrinate o avvertire indistintamente il proprio sangue fuoriuscire dal buco di una pallottola sul suo addome. Erano, quelli, supplizi talmente tanto lancinanti da sparire di fronte al pianto della donna che amava, soprattutto perché era consapevole che non sarebbe mai riuscito a consolarla.
Visto che tenere il braccio sollevato era troppo doloroso lo abbassò, preferendo stringere una mano della giovane con la sua - il tiepido calore che possedeva poteva forse alleviare il suo dolore, e rendere meno tragica la sua dipartita, se solo avesse cessato di pensarci. In realtà, la sua mente era un groviglio confuso di suoni e sensazioni, le sue orecchie udivano solo un sibilo coperto dal rumore della pioggia e da quello del pianto disperato di Cathy. Qualcosa gli impediva di pensare lucidamente, forse lo stesso qualcosa che gli aveva impedito di parlare. Se avesse avuto abbastanza forza per farlo, avrebbe sicuramente imprecato.
Deglutì a fatica, sentendo che il tempo che gli era rimasto era ormai agli sgoccioli. Strinse gli occhi, chiedendosi perché non sentisse la pioggia sul viso, e comprendendo solo alla fine che era il capo della ragazza a proteggerlo, e il suo intero corpo chino su di lui. Se si sforzava, poteva anche sentirla sussurrare parole indistinte al suo orecchio, preghiere, invocazioni. Promesse a un Dio che non stava di certo ascoltando la fidanzata di un assassino.
«Non mi lasciare, Henry... Ti prego, Dio, ti prego, non farmi questo... Non morire, amore mio... Non lasciarmi da sola... » Deboli mormorii alternati da singhiozzi e lacrime, che non fecero che attanagliare di più il suo cuore ormai al limite.
Cercò di stringere la mano intorno alla sua, in modo da farle capire che l'aveva sentita e che stava cercando di confortarla, sebbene non fosse nella condizione di poter consolare nessuno. La ragazza sembrò avvertire il debole contatto perché sgranò impercettibilmente gli occhi, chinandosi di più su di lui e rinforzando le sue preghiere, come se fossero potute servire a qualcosa.
Ma ormai sapeva di essere giunto al limite. Non si sentiva quasi più le gambe, come se il sangue avesse smesso di circolarvi per potersi concentrare esclusivamente intorno alla ferita più grave, e l'acqua che gli aveva raggiunto gli indumenti, anche attraverso il cappotto di Cathy di cui lei si era privata per proteggerlo il più possibile, non migliorava di certo la sua condizione. Poteva quasi ammettere di essersi rassegnato.
Voleva dirle che l'amava un'ultima volta, voleva dirle di non preoccuparsi, di scappare, prima che arrivasse la polizia, voleva dirle talmente tante cose che forse non erano neanche così importanti - voleva che lei sapesse che l'aveva sempre amata, sempre, in ogni situazione e in ogni luogo, malgrado ciò che facesse, forse, le avevano fatto credere il contrario. Non voleva morire lasciandola nel dubbio che lui l'avesse amata o meno, voleva dirglielo, maledizione! I suoi occhi non avrebbero smesso di lacrimare e il suo petto sarebbe stato ancora scosso dai singhiozzi, ma almeno avrebbe saputo che l'amava! Che anche adesso, mentre moriva, desiderava sentire le sue labbra sulle sue!
Ebbe un tremito, forse causato proprio da quell'ira che neanche in punto di morte voleva abbandonarlo. E forse lei lo comprese - dopotutto, l'amava così tanto! - perché si sforzò per chinarsi ancora di più su di lui, riuscendo a portare le sue labbra a sfiorare quelle livide e tremanti del ragazzo, impossessandosi del suo ultimo bacio.
«Ti amo, » sussurrò, prima di baciarlo ancora una volta. E in quel secondo bacio inghiottì il suo ultimo alito vitale, e poté sentire chiaramente la vita abbandonare le sue membra. Il suo corpo si accasciò su di lei, immobile, ma invece di allontanarlo da sé lei accentuò la stretta, nascondendogli il volto contro il petto.
Un altro grido, disperato, e altre lacrime amare.
Erano usciti come tutti i venerdì sera, insieme, tenendosi a braccetto, l'uno godendo il calore dell'altro. Erano stati al cinema, e poi in pizzeria, e adesso rientravano a casa con l'intenzione di concludere la serata in bellezza. Quella settimana Henry aveva fatto il bravo, aveva cercato di rimanere il più possibile lontano dagli affari della sua famiglia, e tutto perché era il loro primo anniversario da quando abitavano insieme. Cathy aveva intenzione di premiarlo, per quello.
Era stata una brava fidanzata, aveva sempre fatto buon viso a cattivo gioco - aveva quasi sempre cercato di ignorare quello in cui il suo ragazzo era coinvolto, fingeva di non vedere le macchie di sangue sui suoi vestiti, quando li lavava, così come faceva finta che il ragazzo non nascondesse una pistola dentro il primo cassetto del comodino accanto al letto, o sotto la scrivania, o nel mobile bianco in cucina. Purtroppo aveva fatto i conti con tutto questo quando aveva deciso di seguire il suo cuore e iniziare una relazione stabile con uno come lui. Poco importava che trascorresse intere nottate a piangere, in bagno o stretta al suo cuscino quando lui era fuori per del 'lavoro', stremata dalla paura che lui potesse non tornare. Lo amava. E quando, sano e salvo, lui varcava la porta di casa, Cathy era nuovamente felice e tutto veniva dimenticato. Per poi ripetersi, come un rito, la volta successiva.
Riflettendoci a mente lucida, forse lui non le aveva mai detto chiaramente che l'amava, ma lei aveva imparato col tempo a riconoscere e a decifrare i suoi sentimenti e i segnali che il suo corpo le mandava. I suoi occhi grigi non avevano più segreti, le sue labbra carnose erano una terra familiare, le sue braccia un caldo covo dove rintanarsi ed essere al sicuro.
Sì, immaginare una vita lontana da lui o addirittura senza, le sembrava praticamente impossibile.
Eppure il fato tende a non fare preferenze, così, quando è arrivato il momento per ciascun essere umano, esso si scaglia senza remore su di lui, portandogli via ciò che gli è più caro.
Prendere una scorciatoia non era stata una buona idea: era inverno, pioveva, e anche se poteva essere piacevole passeggiare abbracciati cercando di ripararsi sotto lo stesso ombrello, di sicuro era altrettanto poco saggio avventurarsi in zone che non erano competenza di Henry o di chi lui rappresentava. Purtroppo l'arroganza maschile di chi crede che nulla possa scalfirlo è più grande di qualsiasi tipo di prudenza.
Cathy si era accorta che c'era qualcosa di strano nel momento in cui avevano girato l'angolo per finire in una stradina poco trafficata e con sporadici lampioni. Forse era una sorta di istinto femminile, o forse l'abitudine che aveva acquisito da quando stava con Henry di rimanere sempre sull'attenti, prestando attenzione al più piccolo particolare. Così non le era piaciuto il rumore di passi dietro di loro, a una ventina di passi di distanza, ma quando aveva pregato il fidanzato di affrettarsi lui aveva replicato di restare calma, che non c'era alcun motivo di preoccuparsi.
«Con me sei al sicuro, » aveva detto, dolcemente.
Ma l'istinto aveva avuto la meglio e Cathy non aveva potuto esimersi dal voltare leggermente la testa per guardare chi ci fosse dietro di loro, per vedere se effettivamente qualcuno li stesse seguendo. Non l'aveva tranquillizzata il vedere delle figure sospette nascoste nei profili delle case, come se - chiunque fosse stato - stesse aspettando il momento più opportuno per attaccarli. Il cuore aveva iniziato a batterle furiosamente nel petto, e d'istinto si era stretta di più al corpo di Henry, posando il capo sul suo petto.
Stava per succedere qualcosa, lo sentiva dentro di sé come si sente l'eco di un tuono.
Voltarono a sinistra in un altro vicoletto, più stretto e buio di quello che l'aveva preceduto. Cathy era forse più terrorizzata dal silenzio surreale che regnava in quelle stradine, e dal fatto che ogni ombra sembrava celare un mostro pronto a balzare fuori al minimo segno di disattenzione da parte sua, come nei suoi incubi di bambina. Non vedeva l'ora di essere a casa, e di chiudere a chiave la porta del loro appartamento.
Improvvisamente inciampò su una pietra divelta dal lastricato, perdendo l'equilibrio e rischiando di cadere in avanti sulla strada, non fosse stato per la prontezza di Henry che la riafferrò per un fianco. Gemette spaventata, rimettendosi in piedi e maledicendosi per quella stupida perdita di tempo, ma ormai era troppo tardi.
Non fece in tempo ad avvisarlo dell'imminente pericolo, perché la voce le morì in gola: vide soltanto gli occhi di Henry spalancarsi, sorpresi, prima che sul suo bel volto si disegnasse un'espressione di puro dolore. Qualcuno lo aveva pugnalato al fianco, costringendolo ad abbandonare la presa su di lei e facendola cadere per terra, priva di appoggio. Furioso, si voltò verso colui che aveva osato tanto, e con un ringhio gli si avventò contro, cogliendolo di sorpresa.
Lo sconosciuto indietreggiò brandendo un pugnale insanguinato, il cappuccio che teneva sollevato a coprirgli il volto scivolò all'indietro rivelando un viso giovane - era un ragazzino, forse più piccolo dello stesso Henry, ma con una luce nello sguardo che non perdonava. Malgrado la ferita sanguinante al fianco, Henry riuscì a colpirlo con un calcio nello stomaco, costringendolo a piegarsi su se stesso, ma così facendo gli diede l'opportunità di colpirlo dal basso verso l'alto, questa volta su una coscia. Ruggì, irato e sofferente, e afferrò il giovane per i capelli gettandolo a terra con una ginocchiata sotto il mento.
Vedendolo dolorante, Cathy fece per raggiungerlo, ma qualcun altro la afferrò alle braccia, da dietro, impedendole di muoversi. Gridò, spaventata, attirando l'attenzione del fidanzato che si distrasse e non si accorse di un altro ragazzo che gli stava arrivando alle spalle. Quest'ultimo fu abbastanza rapido da bloccargli le braccia dietro la schiena, impedendogli ogni genere di movimento, e a quel punto nel vicolo sembrò posarsi una sorta di cappa di pesante silenzio. Cathy ansimava - il petto era stretto dall'angoscia - e riuscì solo a focalizzare lo sguardo sul suo ragazzo, fissando i suoi occhi grigi nei quali leggeva rabbia e dolore. Avrebbe voluto raggiungerlo ma non poteva - troppo stretta era la presa sui suoi polsi.
Dall'ombra uscirono altri tre ragazzi, tutti di età diverse ma con il medesimo cappuccio calato sugli occhi e con le mani ricoperte da guanti. Si avvicinarono a loro minacciosi, ma più che preoccuparsi di lei si concentrarono su Henry, fissandolo con sguardi che esprimevano solo un odio cieco. Il più alto gli afferrò il mento con una mano, strattonandolo rudemente strappandogli un gemito; lo lasciò andare, indietreggiando e voltandosi verso di lei come se fosse stato curioso di sapere chi fosse la fidanzata di uno come Henry. Cathy ricambiò il suo sguardo sperando che vi leggesse la sua muta preghiera, ma ciò non accadde: senza che nessuno di loro se lo aspettasse il nuovo arrivato si voltò ancora verso Henry, talmente in fretta che lei non riuscì a comprendere come avesse fatto, e lo colpì con il pugno chiuso dritto in faccia, da destra a sinistra, per evitare che il contraccolpo all'indietro potesse ferire il suo compare.
«Cosa ti succede, eh, figlio di puttana? » Sibilò, riprendendo fiato dopo il colpo. «Adesso non fai più il gradasso, eh? »
Scambiò uno sguardo col tizio robusto alla sua destra, come a volerlo tacitamente invitare a fare la mossa successiva. Questo non se lo fece ripetere, e, prima che Henry potesse riprendersi dall'altro colpo, gli diede un forte pugno dritto in pieno stomaco, facendogli crollare le gambe in ginocchio dal dolore. Cathy si lasciò scappare un grido, slanciandosi istintivamente verso di lui ma venendo subito trattenuta.
«Ti conviene stare ferma, tesoro, o faremo del male anche a te. » Sussurrò nel suo orecchio il tizio che la teneva stretta. La ragazza deglutì, in lacrime, sbattendo più volte le palpebre per cercare di scacciare le gocce di pioggia che le cadevano continuamente sul viso.
Il ragazzo alto si chinò leggermente su di lui il tanto che bastava per afferrargli i capelli e sollevargli il viso, in modo da poterlo guardare dritto negli occhi. «Forse non ti ricordi di me, Anderson, perciò lascia che ti rinfreschi la memoria. » Ringhiò, perfettamente udibile. «Tu hai ucciso mio fratello perché si trovava nel tuo territorio, l'hai fatto fuori senza nessun rimpianto: e lui non stava facendo niente che andasse contro i tuoi interessi. »
Cathy vide chiaramente il suo fidanzato deglutire, cercando di parlare: sputò per terra un grumo di sangue, ma quando rispose riuscì a non far tremare la voce.
«Mi ricordo delle persone di cui mi sono occupato personalmente, e posso garantirti che non sono stato io ad uccidere tuo fratello. » Aveva lo stesso tono che avrebbe potuto usare se le posizioni fossero state invertite, e probabilmente questo fece infuriare ancora di più i suoi assalitori.
Quello che doveva essere il capo strinse gli occhi, per niente colpito dalla sua risposta: anzi, probabilmente credeva che il giovane non sarebbe stato tanto sciocco da osare replicare. «Beh, ma qualcuno è stato, non ti pare? » Ribatté, lasciando bruscamente la presa sui suoi capelli. «E visto che dev'essere per forza stato uno dei tuoi, allora sarai tu a pagare. Prenderne uno per educarne cento, non è forse così? »
Henry non raccolse la provocazione e quella volta non rispose, limitandosi a ricambiare freddamente lo sguardo del giovane alto. La sua espressione glaciale non piacque a chi si trovava dinnanzi a lui, perché ciò gli fece guadagnare un altro pugno in pieno viso che lo costrinse a voltarlo da una parte, mentre altro sangue gli scivolava dalle ferite sullo zigomo colando insieme alla pioggia.
«Basta! Smettetela, prendersela con lui non riporterà in vita tuo fratello! » Gridò Cathy, con le lacrime agli occhi. Non poteva sopportare di rimanere in silenzio mentre il suo fidanzato veniva pestato davanti a lei.
«Jake, falla star zitta. » Sibilò il capo, voltandosi appena.
Il ragazzo che la teneva stretta le tappò la bocca con una mano, mettendo a tacere le sue suppliche e stringendole il polso fino a quando il dolore non la fece smettere di dimenarsi. «Ehi, Bill, perché non prendi lei? Credo che ci siano molti modi per fargliela pagare, usando la sua donna. » Propose, con una strana luce nello sguardo.
L'altro si voltò completamente verso di lui, ponderando la proposta. Ma poi scosse la testa, in un'espressione disgustata. «Non sono uno stupratore. La ragazza non c'entra niente. »
Cathy vide lo sguardo di Henry rilassarsi a quelle parole, come se per un istante anche lui avesse temuto che quei tizi perdessero la testa e cercassero di vendicarsi anche su di lei. Tuttavia l'attenzione di Bill si riportò nuovamente sul loro 'prigioniero', dimenticandosi quasi del tutto della sua ragazza.
«Sai com'è morto mio fratello? » Riprese, con voce sibilante. «Prima l'hanno picchiato, fino a quando le sue gambe non avevano più retto il suo peso. Aveva quattro costole rotte, e una gli aveva perforato il polmone: sarebbe morto anche senza quel proiettile in pancia, ma perlomeno avrebbe potuto resistere fino all'arrivo dei soccorsi. I tuoi l'hanno conciato così male che quasi non l'avevamo riconosciuto. »
I respiri di Henry si stavano facendo più lenti e sofferti, visto che il sangue continuava a fuoriuscire copiosamente dalla ferita al suo fianco. Sembrava che non stesse ascoltando una sola parola di quello che il tizio chiamato Bill stesse dicendo, ma Cathy sapeva che in realtà la sua mente stava registrando ogni cosa: era sicura che, se fossero sopravissuti entrambi a quella serata, Henry gliel'avrebbe fatta pagare.
«Vedi, Anderson, ho intenzione di fare a te ciò che è stato fatto a mio fratello. Questo non cambierà la realtà delle cose, ma sicuramente aiuterà me a stare meglio. »
Questa volta da lui partì un calcio che lo prese in pieno petto, riuscendo per la prima volta a strappargli un urlo soffocato: Henry strinse i denti ma il dolore era troppo forte, così si accasciò in avanti. Sarebbe caduto per terra se non l'avessero tenuto. Quel Bill doveva essere allenato, perché i suoi colpi erano precisi e molto, troppo dolorosi.
I fulmini che illuminavano a scatti il cielo scuro rendevano ancora più agghiaccianti e spaventose le facce degli uomini che avevano circondato i due fidanzati, acuendo il senso di impotenza e la paura che entrambi provavano. Nessuno di loro si preoccupava per sé stesso, tuttavia: lei era terrorizzata per la sorte di Henry, mentre quest'ultimo, al contrario, fremeva dalla voglia di punire il bastardo che osava stringere in un cupido abbraccio la sua Cathy. Neppure i pugni e i calci che non cessavano di piovergli addosso riuscivano a distrarlo dal pensare alla sua fidanzata.
Quando poi l'individuo che teneva immobilizzato Henry lo lasciò andare, privo di forze, facendolo cadere per terra, un ultimo calcio lo costrinse a giacere inerte sull'asfalto, impedendogli di alzarsi e rispondere ai colpi. Sembrava svenuto, il suo volto sporco di sangue e pioggia.
Cathy credeva che fosse finita - o, almeno, lo sperava. Purtroppo, non sembrava affatto così.
Nella mano di Bill si materializzò l'ultima cosa che lei avrebbe voluto vedere: una pistola. Con un incredibile sangue freddo, l'uomo la puntò verso il ragazzo indifeso per terra, non prima però di averlo risvegliato con un ennesimo calcio.
«Voglio guardarti negli occhi mentre muori. » Sibilò, stringendo gli occhi.
Henry riuscì a lanciargli un'occhiata altrettanto gelida e irata, sputando ai suoi piedi un grumo di sangue che gli si era raccolto in bocca con aria di sfida.
«Razza di bastardo! » Gridò, furioso. Il dito premette sul grilletto, e la detonazione che seguì rimbombò nel vicolo deserto, coprendo il rumore dei tuoni.
Cathy urlò, disperata. Non si accorse di essere nuovamente libera di muoversi, come non fece caso al fatto che i persecutori del suo ragazzo si erano dileguati in tutta fretta, abbandonandola sola sotto la pioggia. Si precipitò al fianco di Henry, prendendogli delicatamente il capo tra le mani e posandoselo in grembo, singhiozzando come se non riuscisse a respirare. Le sue mani tremavano mentre accarezzava il volto del giovane, mentre cercava di tamponare inutilmente la ferita con la giacca che si era sfilata.
«Non mi lasciare... » Balbettò.
Il suo sussurro si perse nella notte.
Poi un altro grido.
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