racconti » Racconti su sentimenti liberi » La legge del riccio solitario (parte prima)
La legge del riccio solitario (parte prima)
Alessandro.
La vita è composta al novanta per cento da tempo che scorre senza senso, le giornate morte, la routine.
Il restante dieci per cento, sono le volte in cui il nostro cuore batte in maniera diversa e molto spesso tutto si riduce a quelle giornate, dove in un secondo, si può rovinare una vita.
Impieghiamo tanto tempo a non vivere veramente, limitandoci a sopravvivere, rimandando a domani quello che non abbiamo il coraggio di fare oggi, sperando di trovare nel frattempo la forza per affrontare i nostri demoni.
Io in vita mia, ho cercato di trovare un senso alle cose, un perché, ma non ci sono riuscito. Poi un giorno...
Morgana
Alla fine delle superiori ho deciso di cercare lavoro, ma non è facile trovarlo, quindi passo il tempo a spedire curriculum privi di esperienza sperando che qualcuno mi dia un posto, ma la buona volontà non basta, bisogna avere le conoscenze, le spintarelle che io non ho.
Fuori è una bellissima giornata d'estate, il cielo è così azzurro che solo guardarlo mette allegria. Mi piace il caldo, ma non c'è nessuno con cui possa uscire, così scivolo nella tristezza.
Dalla finestra una leggera brezza mia accarezza la pelle strappandomi un sospiro. Di solito in estate sono sempre al mare con gli amici, ma quest'anno no, il gruppo si è diviso.
Mia sorella Ambra si è fidanzata e ha deciso di girare il mondo e questa è già una tragedia, poi se n'è andato anche Francesco, l'unica persona con cui riuscissi a parlare seriamente. Un giorno arriva e dice che parte per studiare medicina a Pisa, tutto qui.
Tutti gli altri, facevano solo spessore, accrescevano il numero del gruppo, ma non ha mai avuto un vero rapporto con loro.
Attorno a me c'è il silenzio, non c'è nessuno in casa a parte Doe, il mio amore, che sembra accorgersi della mia tristezza e mi viene in contro, guardandomi dal basso come per chiedermi perché sia giù.
Gli accarezzo la testa e lui ricambia leccandomi una mano. Si accontentano di poco per essere felici i cani, magari ci riuscissimo anche noi umani.
Forse sono solo una ragazzina che non sa come complicarsi la vita e allora s'inventa problemi che non esistono, ma io li sento pesanti come macigni. Ho l'impressione che la mia vita sia cambiata troppo, di stare crescendo in fretta come se qualcuno mi stesse rubando una cosa preziosa.
Guardo l'orologio, sono le due del pomeriggio e la noia cresce sempre di più.
In TV non c'è niente, andrei al cinema, ma non ho soldi e non ci andrei da sola.
Mirko, quello che dovrebbe essere il mio ragazzo, non ho idea di dove sia.
Mi guardo intorno cercando qualcosa per imbrogliare il tempo, ma non c'è nulla di interessante. Vado in camera dove ho lasciato il libro che Ambra mi ha portato dal festival della musica di Budapest, lo apro e inizio a leggere, ma l'argomento non mi piace granché, quindi lo poso sul comodino promettendomi di leggerlo prima o poi, altrimenti ci rimarrà male e mi porterà il muso.
Alzo gli occhi e vedo la mia immagine riflessa nello specchio dove ho attaccato tutte le foto dei miei amici. Le guardo una per una riportando alla mente le giornate al mare, le chiacchierate lunghissime fatte con loro e subito un grande senso di nostalgia m'invade. Ecco cosa rimane dei ricordi e delle persone a cui tenevi tanto, solo delle foto attaccate sopra uno specchio.
Scaccio il pensiero e mi lascio cadere sul letto dove qualcosa di duro mi colpisce la schiena.
Mi alzo dal notebook che ho appena schiacciato e decido che potrei andare un po' su Facebook, tanto per fare qualcosa.
Premo il tasto di accensione e il portatile si avvia mandando il rumore di una carica elettrica che si amplifica nella stanza. È lentissimo, ci vorranno cinque minuti, forse di più, prima che sia pronto..
Mentre aspetto che si avvii, torno in cucina a prendere il cellulare, compongo il numero di Ambra e aspetto che risponda, sperando che sia sveglia.
Il telefono squilla tre volte prima che una voce impastata dal sonno mi risponda scocciata.
<<Sono io. Come va?>> Chiedo
<<Ah, ciao sorellina. Bene>>
<<Dove siete ora?>>
<<In Tunisia, più o meno.>>
Quanto vorrei essere come lei, non preoccuparmi di nulla, partire quando ne ho voglia verso posti nuovi, ma non ho questo coraggio. Tunisia, Budapest, Praga, Berlino, per me sono solo nomi imparati a scuola, lettere su una cartina geografica che probabilmente rimarranno tali.
<<Tu che fai?>> Mi chiede la sua voce trasformandosi in uno sbadiglio.
<<Parlo con te e aspetto che si avvii il portatile.>>
<<Mirko?>>
<<In giro, ma non so dove.>>
In sottofondo c'è una voce che molto probabilmente è quella di Mattia, il fidanzato di Ambra.
<<Aspetta,>> dice lei non so bene a chi, <<Mattia ti vuole salutare.>>
Dopo un po' una voce gasatissima mi dice <<Morgana, è uno spettacolo allucinante qui, cioè noooooooo, pazzesco.>>
Trattengo a stento una risata, Mattia ha un modo di parlare buffissimo, dice le frasi senza staccarle, non prende neppure fiato, trasforma tutto in un'unica parola.
<<Ci sono gli Iron Maiden, I Muse, tutto.>>
<<Che ficata. Mi piacerebbe essere lì.>>
Mi piacerebbe davvero vedere dal vivo quei gruppi, ma i posti troppo affollati mi mettono in agitazione, difficilmente vado a concerti perché il giorno dopo mi ritrovo lividi ovunque con tutta quella gente che spinge e urla.
<<Te l'avevamo detto di venire.>>
<<Hai ragione.>> Rispondo facendo di sì con la testa come se potesse vedermi, <<Ma che ci vuoi fare?>>
<<Niente, che vuoi farci. Io vado a cercare della birra, ti ripasso Ambra, ciao.>>
Il cellulare passa nelle mani di mia sorella, non ha aspettato neppure che gli dicessi ciao.
<<Morgana?>>
<<Sì, sono qui.>>
<<Dicevo, oggi stai tappata in casa?>>
<<Credo di sì.>> Dico sospirando. Che altro potrei fare?
Dall'altro capo del telefono sono sicura che Ambra sta pensando a qualcosa da suggerirmi.
<<Hai comprato quella macchina fotografica, scatta delle foto, no?>>
<<Già.>>
Prendo in considerazione l'idea, ma a cosa dovrei scattare delle foto? Non mi viene in mente nessun posto in città che valga pena di fotografare.
<<Qualcosa inventerò, non preoccuparti.>> Dico sviando il discorso.
<<Bene. Oggi io vedo di comprare dei pensierini per voi. Ci sono un sacco di bancarelle.>>
<<Tipo mercato? Si spende meno che da noi?>>
<<Un botto meno!>> Esclama lei. <<Le sigarette cosano due euro, ti rendi conto?>>
<<Pensa un po'.>> Dico sorpresa <<Ora devo andare o finisco tutti i soldi. Ci risentiamo ok?>>
<<Va bene, vado a ricercare Mattia. Mi raccomando stai su con la vita.>>
Attacca e io rimango ad ascoltare il suono della chiamata interrotta. Mi sento sola quando lei è lontana, ma da quando ha conosciuto Mattia, sembra essersi dimenticata di tutto il resto, esiste solo lui.
Pensando a questo un fiotto acido mi sale dallo stomaco verso la gola e io lo spingo giù a costo di farmi venire un'ulcera. Meglio andare a vedere se il PC è pronto.
Ritorno in camera sempre più abbattuta con Doe che mi gironzola intorno.
Dallo schermo, Jack Skeletron di Night Before Crhistmas mi guarda con una mano alzata mentre cerca di afferrare un cuore di fumo.
Ho guardato quel film migliaia di volte: con Ambra, con Francesco, con Mirko, potrei doppiarlo a occhi chiusi. Ora non mi azzardo neppure più a chiedere a qualcuno se vuole rivederlo con me, mi direbbero che sono scema.
Poso l'anulare sul mouse e lo trascino sull'icona internet, due clic e l'applicazione si apre. Sono connessa al mondo intero, eppure mi sento sempre sola.
Mi basta scrivere f sul motore di ricerca che subito viene fuori facebook scritto in neretto.
In maniera automatica metto la mail e la password poi per qualche secondo la schermata diventa bianca prima che appaia la home di facebook.
Nella pagina notizie, ci sono un sacco di link tipo: "Dirò sempre ciò che penso, farò sempre ciò che sento." la frase è accanto alla foto di Tony Montana.
Scorro verso il basso e noto che alcune delle mie compagne di classe delle superiori hanno cambiato la foto al profilo, ci darò un'occhiata.
Anche Lisa ha cambiato la foto. Lei era un'altra delle mie amiche inseparabili che da quando si è fidanzata e ha trovato lavoro, è sparita.
Sono cose normali, mi dicono tutti, ma per me non funziona così. Dopotutto anche io sono fidanzata e convivo per di più, ma il tempo per gli amici l'ho sempre trovato.
Oggi mi è presa proprio male, qualunque cosa faccia mi aumenta sempre di più la tristezza. Sarebbe meglio tornare a letto e ricominciare da capo, tanto non c'è neppure una persona sulla chat di facebook.
Trascino la freccetta verso il X rossa che chiude l'applicazione, ma noto che l'icona di richiesta dell'amicizia ha accanto un +1. Clicco e leggo: Alessandro Delvento, conferma o rifiuta.
Sono passati otto anni dall'ultima volta che l'ho visto, quasi nove. Bene o male ho saputo un po' tutto di tutti quelli che venivano alle elementari con me, molti li ho anche rivisti, ma lui è sparito nel nulla dopo l'esame di quinta.
Apro gli occhi e sento subito il pulsante dolore alla testa, segno premonitore che la giornata non sarà delle migliori.
Nella stanza, il ventilatore tenta inutilmente di raffreddare l'aria rarefatta, ruotando prima verso destra e poi verso sinistra.
Cerco qualcosa per coprirmi, ma sotto di me c'è solo il materasso, non so dove siano finite le lenzuola.
Vorrei spegnere questo sbuffante seccatore in qualche modo, ma questo maledetto caldo, che non dà tregua né di giorno, né di notte e mi ha tolto le forze.
Afa, cielo azzurro, riverbero accecante, tutte cose cui rinuncerei volentieri, ma che invece piacciono tanto alla gente. Perché poi, cosa ci troveranno di tanto bello devo ancora capirlo.
Mi chiedo che ore siano, ma conoscendo i ritmi del mio orologio biologico, sarà senz'altro pomeriggio e la sola idea di alzarmi e fare i conti col sole, mi fa tornare la voglia di dormire, magari è meglio se resto sdraiato a guardare la mia stanza avvolta dalla semioscurità.
Gli oggetti appaiono sempre diversi nel buio, eppure sono sempre gli stessi. Chissà se questa regola vale anche per gli esseri umani? Apparire in un modo alla luce e in un altro all'ombra è solo questione di illuminazione, ma il risultato è sempre il solito, sia che uno si nasconda o meno, resta quello che è.
Luce o no, la mia stanza è un gran casino e assomiglia più a uno sgabuzzino che a una camera.
Sul comodino ci sono quattro o cinque libri che mi ero promesso di finire, ma che poi ho messo lì, dando la precedenza agli ultimi che ho comprato. Faccio sempre così, comincio a leggere un libro, poi passo davanti alla libreria, ne vedo uno che mi sembra più interessante e lo compro abbandonando il precedente.
Il cassetto del comodino non riesce a chiudesi da quanto è pieno e non voglio immaginare cosa ci troverei dentro se decidessi di ripulirlo.
Dalla sgangherata scrivania, un suono proveniente dal PC mi fa capire che sta lavorando per scaricare uno dei tanti album che ho cercato su Emule.
Mi alzo, alla ricerca di qualcosa da mettere, anche se non ricordo dove ho lanciato i vestiti stanotte, quando sono tornato a casa. Saranno da qualche parte, forse sotto il letto, dove nascondo le cose quando non voglio raccoglierle.
Potrei cercare nell'armadio, fra quell'appallottolata massa di indumenti, dove sono sicuro ci sia anche qualcosa che potrei mettermi, ma fa caldo e non c'è nessuno in casa, quindi tanto vale girare in boxer.
Mi avvio verso la porta chiusa a chiave e faccio scattare la serratura. La chiudo sempre perché mia madre, ha il vizio di mettere a "posto" le cose che trova in giro per camera mia. Non che la cosa sia grave, ma con tutto quell'ordine non trovo mai niente e perdo un sacco di tempo a chiedere cose tipo "Mamma, dov'è il DVD che stava qui." E dall'altra stanza lei mi risponde "Sarà nel cassetto."
Io apro il cassetto e cerco, ma non lo trovo comunque, così sono costretto a farlo cercare a lei, che si alza dicendomi frasi come "Ce l'hai sotto il naso, ma non trovi mai nulla."
Arriva e senza neppure guardare, trova quello che cercavo e me lo mette in mano dicendo "Era tanto difficile?"
Così è meglio se la camera rimane chiusa e in perfetto disordine.
Apro la porta e la luce mi colpisce in pieno facendo contrarre violentemente le mie pupille, accentuando il mal di testa.
Perché deve sempre avvolgere del tutto le tapparelle? Non potrebbe aspettare che mi alzi e le tiri su? Anche se effettivamente questo non succederebbe quasi mai prima delle due del pomeriggio.
Afferro il telecomando che sta sul tavolo e accendo la TV, detesto stare troppo in silenzio, mi dà l'idea di qualcuno che aspetta una notizia importante, mi mette ansia.
Faccio scorrere i canali. Politica, guerra in Afganistan, crollo dell'economia non so dove, finalmente trovo qualcosa di familiare.
La sigla reppata da Will Smith ne "Il principe di Bel Air" mi strappa un sorriso facendomi ricordare le ore che ho passato davanti a quella serie. Oggi non c'è più un telefilm come si deve, niente che valga la pena vedere.
Una volta lo trasmettevano di mattina, proprio all'ora in cui dovevo uscire da casa per andare a scuola e la cosa mi faceva imbestialire. Pregai mio padre di comprarmi un videoregistratore, lo assillai per tutto il mese, finché esausto non cedette alle mie richieste.
Tutte le mattine mi svegliavo, preparavo la cassetta, programmavo il videoregistratore in modo che registrasse sempre 5 minuti prima e dopo ora segnalata sulla guida tv, così non mi sarei perso l'inizio o la fine se l'orario fosse stato sbagliato.
Farei di tutto per tornare a quei tempi in cui ero felice, ma il mio stomaco mi avverte che lui non è in vena di ricordi nostalgici e che vuole carburante Siccome lo conosco ed è uno stomaco burbero, meglio dargli retta.
Apro il frigo e il freddo mi si deposita sulla mani in molto piacevole. Certe volte dico che se potessi, vorrei dormirci in frigo, ora come ora, con quanto detesto il caldo mi viene voglia di farlo davvero.
Un cartone di latte, due uova, una lattina di red Bull, niente di invitante, anzi quasi niente di niente e quando accade questo, c'è solo una cosa da fare: trovare tre euro e andare da Ming a "fale colazione distluggi budella".
Torno in camera a vestirmi.
A terra ci sono due calzini di colori diversi, ma non importa, tanto dentro le scarpe non li vedrà mai nessuno, credo.
M'inginocchio e sotto al letto afferro una t-shirt nera tutta polverosa, la annuso e a parte l'odore di povere va bene
123456
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Anonimo il 29/12/2010 17:20
sisi siamo tutti frementi eheh!
Anonimo il 27/12/2010 11:24
Una bella lettura; scorrevole e precisa la forma ( a parte il refuso della seconda pagina...
Le sigarette cosano due euro...
Aspetto anch'io di leggere il seguito... ciaociao
Anonimo il 14/11/2010 14:04
... buffo come spesso ciò che ci lega agli "altri esseri umani" sia la nostra solitudine!...
- Bravo, Noir! vedo che hai iniziato a pubblicarlo... attendo con ansia il seguito
- molto interessante... attendo il seguito!!
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0