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Erano tutti vuoti quei posti
Erano tutti vuoti quei posti e le sue gambe non reggevano più. Ma la volontà era più forte... non doveva sedersi! Non poteva sedersi! Quelli erano posti riservati: RISERVATI AI BIANCHI!
Lei aveva un bel colore nocciola, grandi occhi scuri, capelli neri lucenti e lunghe gambe ambrate. Da bambina aveva sognato di vivere in città. Lei era nata e vissuta in campagna fino a quando aveva deciso di abbandonarla. Abitava in una fattoria dell'Alabama con la madre e una sorella e conduceva una vita umile ma serena. Aveva conosciuto solo gente di colore, aveva avuto molti amici, di quelli buoni, fedeli per la vita. Quando partì per cercare lavoro in città, in una torrida mattina del 26 giugno 1954, fu un giorno triste per tutti, ma non per lei. Sua madre aveva le lacrime agli occhi e i suoi amici non osavano parlare per via di quel groppo alla gola che ti prende in queste circostanze e non ti lascia libero fino a quando in solitudine sfoghi tutta la tua angoscia. Lei non era triste, solo un po' malinconica per il fatto di doversi allontanare dai suoi affetti. Aveva tante aspettative e la gioia di vivere che appartiene a una quindicenne che non ha ancora conosciuto la delusione o ancora peggio la disillusione. La città era grande, ci sarebbe stato posto anche per lei e presto l'avrebbero raggiunta sua madre e sua sorella. Contrariamente alla maggior parte dei figli di contadini lei era andata a scuola, una piccolissima scuola di campagna dove aveva imparato le principali nozioni. Adorava leggere e il suo sogno era diventare giornalista. Sapeva che la città l'avrebbe aiutata a realizzare il suo sogno, credeva che la città l'avrebbe accolta, con le sue grandi strade, i negozi illuminati, i ristoranti, i bar, i teatri e le biblioteche. Sognava ad occhi aperti di perdersi tra gli scaffali pieni di libri delle biblioteche, lei non ne aveva mai posseduto uno, la sua insegnante gliene prestava di tanto in tanto e lei li accettava con gratitudine ed emozione e leggeva voracemente le storie romantiche o di avventura ... la vita era fantastica e lei voleva viverla pienamente.
Aveva un bel colore nocciola, grandi occhi scuri e lunghe gambe ambrate, ma nonostante possedesse tutte queste grazie non le era consentito sedersi: NON ERA BIANCA!
Aveva sentito parlare degli uomini bianchi dai suoi amici. Ne parlavano male, come di gente cattiva. Le dicevano di stare attenta, erano una razza diversa e disprezzavano i neri. Lei, malgrado il timore, era curiosa di incontrarli. Aveva letto tanto su di loro, avevano scritto cose meravigliose, come potevano essere così malvagi? L'avrebbero conosciuta e rispettata, non bisognava mai essere prevenuti, sua madre glielo diceva sempre. Sua madre non parlava mai dei bianchi ma, anche se non lo aveva mai raccontato, sapeva che suo padre aveva tanto sofferto per colpa di un padrone bianco. Era stato il padrone bianco che l'aveva portato alla morte, quando lei era molto piccola. L'aveva sfruttato finché era stato in salute, poi quando si era ammalato di tubercolosi, l'aveva abbandonato al suo destino, scacciandolo insieme alla sua famiglia. Morì dopo pochi mesi e sua madre con le due bambine fu costretta a chiedere la carità e a dormire per strada. Furono aiutate dai loro fratelli neri, altrimenti sarebbero morte di stenti.
Era davvero molto stanca, aveva lavorato tutta la notte in piedi in una lavanderia, a lavare e profumare gli indumenti che i clienti avrebbero indossato: I CLIENTI BIANCHI.
Quando arrivò in città constatò immediatamente che le cose sarebbero state più dure del previsto. La gente la guardava con occhi pieni di disprezzo e rispondeva in malo modo alle sue domande. Aveva trovato lavoro tramite dei conoscenti che vivevano già lì. Doveva fare la serva nella grande casa di un ricco commerciante. Solo per iniziare, per metter via un po' di soldi e cercare con più tranquillità qualcosa di più decoroso per poi potersi iscrivere alla scuola superiore. La sua camera era un sottotetto umido, lavorava quindici ore al giorno, mangiava pochissimo. Presto il suo buon umore passò e cominciò a rendersi conto che niente sarebbe stato facile, avrebbe dovuto sudare ogni piccola briciola di pane, sopportando il rancore e il disprezzo dei bianchi che la circondavano.
La strada da percorrere era lunga, faceva molto caldo sebbene fossero solo le sette di mattina. Il traffico era già caotico, l'autobus procedeva a passo d'uomo. La volontà era forte ma più forte fu la stanchezza... alla fine cedette e si sedette in un posto riservato... UN POSTO RISERVATO ALL'UOMO BIANCO.
Dopo due anni trovò lavoro in una lavanderia, solo dieci ore ma di notte. Tutte le notti dalle nove di sera alle sette di mattina. Accettò! la paga era più alta. Almeno sarebbe potuta andar via da quella camera malsana e allontanarsi da quella gente odiosa che l'aveva schiavizzata. In lavanderia si trovava bene, erano tutte ragazze di colore. Lì almeno poteva essere se stessa e sfogarsi con le amiche delle angherie e confidare le sue delusioni. Lavorava tantissimo, non faceva mai una pausa. La mattina era stanca, così stanca che si reggeva in piedi a malapena.
Dopo qualche fermata salirono dei bianchi, la guardarono sbigottiti e le ordinarono di alzarsi, nonostante ci fossero ancora molti posti liberi. Lei tremava ma presa da un moto d'orgoglio si rifiutò. Un vecchio dallo sguardo cattivo, malgrado fosse curvo e macilento le si accostò e cominciò a strattonarla, nessuno la difese. Non fece in tempo a proferire parola che all'improvviso non capì più nulla, fu colpita: COLPITA DAI BIANCHI.
Sognava la città, le sue strade grandi, i suoi negozi, i teatri, le biblioteche... ma aveva presto dimenticato perché era arrivata lì. Non aveva avuto più un briciolo di tempo per ricordarlo.
Spinta malamente, buttata a terra, insultata e malmenata.
L'autista fermò l'autobus e la costrinse a scendere. Quasi senza più coscienza obbedì, tremando tutta dal terrore.
Senti lacrime calde accarezzargli il viso. L'unica carezza che le era consentito ricevere.
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