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Nebbia
Mi apprestavo a ritornare da un lungo e stressante viaggio, erano le due del pomeriggio di una giornata calda e umida e da un'ora ero in attesa di un treno locale col quale contavo di raggiungere il capoluogo di provincia laddove avrei finalmente preso un treno Eurostar per completare il mio ritorno. Non essendo un bravo automobilista avevo affrontato il viaggio con i mezzi pubblici, treni ed autobus, portando con me solo un grosso trolley che avevo riempito all'inverosimile.
Da alcune ore mi ritrovavo in quella sperduta località dove mi era stato detto che il treno locale passava tre volte al giorno, ma puntualmente, alle otto del mattino poi alle quindici e infine alle ventidue. Nel paesino non vi era nemmeno una locanda e mi ero arrangiato con un sostanzioso panino farcito con prosciutto e formaggio e da bere una lattina grande di una sconosciuta birra.
La stazione era grande poco più di un tinello da cucina ma in compenso aveva prospiciente l'entrata un piccolo giardino che attorniava un grande salice piangente. Posizionate a formare una quadrato vi erano otto panchine che data l'ora godevano tutte dell'ombra del salice.
Presi posto su una di esse e consumai il mio solitario pasto, dopo, vuoi per la digestione vuoi per il caldo e la stanchezza e il tepore offerto da quel piccolo paradiso cominciai ad avvertire un senso di spossatezza, gli occhi mi si chiudevano da soli e, prima di crollare tra le braccia di Morfeo, calcolando che avevo a disposizione circa un'ora prima dell'arrivo del mio treno, posizionai il trolley sulla panchina al mio fianco e trovata una comoda posizione mi lasciai andare, non prima di essermi tolti gli occhiali per non forzare la montatura sul naso che mi avrebbe lasciato un bel segno al mio risveglio.
Mi addormentai quasi di colpo e nello stesso modo mi svegliai forse pochi minuti dopo. La cosa strana del mio risveglio fu la luce intensa che mi avvolgeva, causata anche da una leggera nebbia che ostacolava la vista in lontananza ma lasciava vedere nitidamente ogni oggetto nei dintorni.
Svegliandomi non ricordai affatto dov'ero e nemmeno cosa ci facessi in quel posto, la nebbia in pratica aveva avvolto anche il padiglione dei ricordi della mente, notai solo che davanti a me vi era solo una strada larga e dritta che si perdeva all'orizzonte. Il riposo mi aveva giovato perché ogni stanchezza era svanita e sentivo i miei sensi attenti e vigili, mi alzai dalla panchina e incurante del trolley mi avviai per quella strada. Già dai primi passi mi accorsi che sebbene sembrasse in salita non affaticava affatto percorrerla. Essa era larga abbastanza da essere un viale ma sul bordo non vi erano lecci o platani, alberi tipici dei viali, ma ogni tanto un alberello che non sapevo classificare, notai anche che non vi erano altre strade che la intersecavano, né grandi e nemmeno piccole, la strada infatti non aveva soluzione di continuità.
Ancora più straordinaria mi appariva l'ambientazione del posto. Ai lati della strada vi erano una in fila all'altra tante casette simili a villini di campagna con antistante giardino che li separava dalla strada e steccati in legno colorato bianco alti circa un metro con al centro un piccolo cancello che li separava anche dai giardini laterali. Le case sembravano costruite anch'esse in legno ed erano colorate tutte bianche, un colore che spiccava sui variopinti colori del giardino. Le finestre sulla parte di fronte la strada erano piccole e si intravedevano all'interno tendine bianche annodate con fiocchi colorati.
Proseguendo il cammino notai anche l'assoluta mancanza di autoveicoli di ogni genere, eppure la strada era larga abbastanza per consentire un agevole traffico, e poi, pur essendo l'unica persona che la percorreva, dai vari abitanti che vedevo indaffarati in lavori di giardino non mi perveniva alcun segno di interessamento alla mia persona, come se io non esistessi nemmeno.
Incuriosito continuai il mio cammino, volevo vedere dove portava quella strada e cosa vi fosse all'orizzonte, che peraltro non riuscivo a intravedere causa la nebbia così come non riuscivo a vedere lateralmente oltre quella lunga fila di case cosa ci fosse. Intanto nel mio solitario cammino non incrociavo alcun altro passante però ogni tanto qualcuna delle persone occupate nei lavori domestici si volgeva al mio passare e mi faceva un cenno di saluto che io ricambiavo sorpreso.
Fu così che nel bel mezzo del mio cammino sentii evocare il mio nome da una voce allegra e familiare. Girandomi in sua direzione vidi Alberto, un mio compagno di scuola, in una tuta da giardiniere con le mani infilate in un paio di enormi guantoni e la sinistra che impugnava una grossa cesoia.
"Michele, che piacere vederti! Dove stai andando?" disse mentre si avvicinava allo steccato in legno prospiciente la strada. Io rimasi meravigliato vederlo in tal posto sapendo com'egli avesse lasciato la vita terrena ben otto anni prima causa lunga e sofferta malattia. Ancor più sorpreso fui nel vedere su di lui l'assoluta mancanza di cotanta sofferenza patita. Non fosse per la sicurezza com'egli m'aveva chiamato lo avrei scambiato per altra persona.
"Alberto, il piacere di vederti è solo mio, ma.. ma sei proprio tu?"
"Certo che sono io, sciocco, non mi riconosci più?"
"Non lo so, sembri molto cambiato dall'ultima volta.." risposi mentre mi avvicinavo allo steccato.
"Anche tu sei cambiato, vediamo.. hai messo su qualche chilo di troppo eh?"
"Se è per questo eri emaciato e con un colorito giallastro, ora ti vedo roseo e in carne, vieni, lasciati toccare" dissi allungando una mano al che lui subito si ritrasse facendo un passo indietro.
"Non puoi, Michele, tu non puoi farlo, sei qui solo di passaggio" si giustificò con serie movenze.
"Che significa che sono di passaggio?"
"Che tu non vivi con noi, almeno non ancora"
"Allora tu e tutte le persone che ho visto qui... non appartenete più al mio mondo?"
"Sì, è così" mi specificò sorridendo.
"Da quanto tempo sei in questo posto?"
"Lo sai Michele, sono otto anni" disse infine subito dopo aggiunse "Ora devo andare, sai ci sono molte cose da fare, ma è stato un piacere rivederti. Addio!" e dandomi le spalle si allontanò da me.
Ancora incredulo per quella chiacchierata, quando lui scomparve dentro la casa ripresi il mio cammino verso l'ignoto di quella interminabile strada. Oltrepassai un'altra dozzina di casette da un lato e dall'altro della strada, altre persone mi salutarono con un cenno della mano e altre mi ignorarono del tutto, fin quando una figura femminile, dapprima intravista nella nebbia, si concretizzò davanti ai miei occhi. Era una donna anziana, non ancora vecchia, non molto alta e nemmeno magra ma piuttosto in carne, aveva i capelli quasi del tutto bianchi, lunghi e raccolti dietro la nuca, indossava un grande grembiule di tela variopinta con tanti fiori dipinti, sotto si intravedeva una camicetta a maniche corte infilata in una gonna senza tasche di color marrone, lunga fin sotto il ginocchio. Il cuore già mi batteva quando arrivai a pochi metri da lei, allora esclamai meravigliato.
"Mamma, mamma!" non riuscii a dire altro per un groppo alla gola.
"Michele, bambino mio caro, finalmente posso rivederti!" disse lei sorridendo felice.
"Mamma, è qui che vivi ora?"
"Sì Michele mio, questa è la mia casa" disse indicandomi la casetta alle sue spalle. Io mi avvicinai ancora di più cercando di poggiarmi allo steccato, ma le mie mani caddero nel vuoto. Lo steccato lo vedevo ma non potevo toccarlo.
Lei, al mio goffo tentativo sorrise e commentò:
"Sei sempre lo stesso, non sei cambiato affatto"
"Mamma, non rimproverarmi, dimmi piuttosto come stai in questo posto?"
"Vuoi dire se sto bene? Si, qui è bellissimo, anche la nostra casa è bella e comoda"
"Nostra?, vuoi dire che c'è anche papà con te?"
"Sì, certamente che c'è anche lui, solo che adesso sta riposando, è meglio non svegliarlo, non credi?"
"Sì mamma hai ragione, se lo si sveglia poi non è mai di buon umore. Dimmi almeno, come vivete qui? Voglio dire che non vedo nient'altro che le case allineate l'una affianco dell'altra, non vedo fili di corrente elettrica né antenne televisive.."
"Oh, non farmi ridere, figlio mio, qui non ci servono queste cose, qui si vive solamente in pace, per il cibo ogni giorno ci portano un vassoio con il pranzo e la sera, al calar del sole ci addormentiamo serenamente.
"Mamma, dimmi, nel sonno voi sognate?"
"No, tesoro mio, questa è l'unica cosa che infatti ci manca, ci addormentiamo e basta, poi ci svegliamo alla luce del sole, ci vestiamo e ci affaccendiamo nelle solite cose domestiche.
"Ma così non vi annoiate?"
"No, il tempo trascorre senza che ce ne accorgiamo"
"Potreste unirvi con i vostri vicini, fare due chiacchiere, pranzare insieme, fare una passeggiata"
"No Michele, non conosciamo affatto i nostri vicini, non li vediamo mai e non possiamo nemmeno fare una passeggiata perché il recinto è fisso e non si apre dall'interno"
"Allora è come una prigione?"
"Nooo, che dici? È un luogo di pace, quando siamo arrivati qui sapessi quanti altri posti abbiamo oltrepassato, alcuni erano davvero terribili, case brutte senza giardino, cadenti e fredde, finestre senza vetri e nebbia fitta perennemente buia e umida. Noo, qui stiamo davvero bene.
"Queste case allora sono nel posto più bello?"
"Oh no, vi sono altri posti migliori di questo, sai li abbiamo intravisti venendo qua, le villette sono davvero graziose con i giardini più ampi e la gente che vi abita può parlare con i propri vicini e passeggiare e scherzare, i bambini possono giocare e la sera, prima del tramonto tutti si riuniscono e stanno insieme. Ma qui, vedi, non possiamo proprio lamentarci"
"Non lo so, mi piacerebbe vivere un giorno in un posto come questo"
"Forse ci abiterai, forse no, io non so dirtelo, dipenderà da te. Ora, però, figlio mio devo lasciarti, tuo padre tra poco si sveglierà e avrà bisogno della mia presenza"
"Sì mamma, addio, mi hai fatto felice ancora una volta e, sai, mi piacerebbe un giorno..."
"Signore, gli occhiali, signore.." Il suo volto è sopra di me, capelli lunghi, viso bellissimo, la sua mano mi scrolla dolcemente. La guardo confuso, poi mi guardo intorno, la nebbia è sparita, la stazione è di fronte a me, mi sento leggermente accaldato nonostante l'ombra protettrice del salice, il braccio poggiato sul trolley è indolenzito e le dita della mia mano hanno abbandonato la stanghetta degli occhiali che stanno in bilico sul ginocchio. Sbatto le palpebre, sono ormai desto, lei mi ripete:
"Signore, i suoi occhiali, stanno cadendo"
"Co.. come.., ah sì, sì, grazie!" esclamo afferrandoli prima che cadano del tutto. Poi guardo l'ora sono quasi le quindici, il treno dovrebbe arrivare a minuti. Sorrido alla signorina di buon cuore e mentre mi alzo dalla panchina mormoro tra me:
"Un giorno mi piacerebbe..."
"Come dice signore?" mi chiede lei non del tutto convinta del mio risveglio.
"Oh, nulla, non si preoccupi, stavo solo pensando a voce alta"
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0 recensioni:
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Anonimo il 16/02/2011 18:39
scabio di favori come si dice in gergo! eheh... mi piace, mi piace anche se questo aldilà sembra una cittadina brianzola qualsiasi.. ma a parte gli scherzi, bravo davvero.. xkè se parli della nebbia devi sapela evocare e tu ci sei riuscito in pieno!
- Michele, ma quale poco tempo che mi importa.
Ho letto di questo piccolo posto di pace. Ho letto e mi sono meravigliato.
Grazie
- E invece ti sbagli perchè ci sono già stato, invitato da Pietro, vabbè...?
Ciao
- Originale Mikey, però vedi l'aldilà ha una struttura un po' diversa, non ci sono caseggiati, giardini e finestre ne belli ne brutti, li tutti sono uguali agli altri, non conta se in vita sei stato principe o clochard, dirigente o dipendente, comandante o servo. Liì tutti divengono uguali e godono ognuno dello stesso bene dell'altro e sono uguali ai tipetti alati che ci piace disegnare.
- Ttu scrivi tanto... mi piace leggerti.
Mi hai fatto ridere con il tuo commento, adesso per un po' basta cimiteri ahah
- Gradevole la lettura di questo brano.
Grazie per il tuo commento. Il solo fatto che il mio brano ti abbia ricordato quel grandissimo romanzo, mi ha riempito di piacere.
Anonimo il 19/11/2010 13:31
Ecco ritrovato il Michele apparentemente misterioso ma pieno di buoni sentimenti che gli permettono di scrivere in modo superbo ed originale dei suoi cari ricordi e della nostalgia del vivere famigliare. belli anche i dialoghi... si arriva in fondo senza accorgersi che stanno cadendo gli occhiali. Ciaociao...
Anonimo il 19/11/2010 09:58
Ottimo racconto Michele!! Una lunga fila di belle case allineate, ognuna con il suo grazioso giardino. Il paradiso del geometra!! Io mi prenoto!
- Ops! Svista madornale, grazie Stefano.
Anonimo il 18/11/2010 17:56
"prima di crollare tra le braccia di Orfeo" Volevi dire "Morfeo", probabilmente! Cfr. http://it. wikipedia. org/wiki/Morfeo
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