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Una storia a matita
Agosto 2001
Se questo fosse un film si aprirebbe con una strettissima inquadratura sui suoi occhi.
Quando lui stava per raccontarmi una storia aveva gli occhi più giovani che si possano immaginare.
Nel rugosissimo incarnato si stagliavano, illuminati dall’improvviso lampo del ricordo, due occhi blu che il tempo e la malattia avevano reso sempre più vitrei. In quei momenti però quegli occhi si rivelavano così pieni di tutto ciò che avevano visto, così affaticati nel contenere tante immagini, che facevano dimenticare a chi si trovava davanti quanto poco in quel momento potessero vedere. Solo poche ombre sicuramente, che animavano il mondo di quel vecchio quasi cieco: mio nonno.
…….
In realtà egli non era mio nonno. Io così lo chiamavo, ma era solamente una persona anziana e malandata di cui avevo deciso di prendermi cura, e non gratis naturalmente.
Abitava nel mio stesso stabile, un vecchio palazzo anni quaranta, dalla facciata sobria, elegante ed anonima ad un tempo, nella cittadina più bella del mondo, l’unica che io abbia mai visto.
Io ero lì in affitto, studiavo, ma non avevo bisogno di lavorare per mantenermi agli studi: i miei mi passavano una quantità di denaro più che sufficiente; anche a sprecarne un po’. Dimoravo al quarto piano, al quinto ed ultimo lui.
Attirato dal suo forte tossire, una sera, annoiato, decisi di salire per chiedergli se aveva bisogno di qualche cosa. Ci mise del tempo per venire ad aprirmi. Immagino che si dovette alzare con molta lentezza ed altrettanta fatica, mi sembrava di vederlo attraverso la porta, ma quando mi aprì non mi diede il tempo di proferire parola: “Posso offrirle una tazza di tè?”, mi fece, gettando subito un ponte con la mia anima col suo largo sorriso sdentato.
…….
Il suo appartamento aveva una vista bellissima: l’intero golfo era dominabile da casa sua. È buffo, poco più sotto io non vedevo che palazzi e squallide scene di litigi familiari, una ogni giorno, una in ogni finestra dirimpetta.
Pensai che se avesse accettato la mia assistenza avrei potuto godere, per qualche fase della giornata, di quella vista che lui sprecava con la sua quasi cecità ed avrei anche sopportato il fastidio di quella televisione inspiegabilmente sempre accesa nel suo appartamento.
Gli proposi la mia compagnia " era evidente che di vera assistenza non avesse bisogno " per due ore al giorno dopo cena alla modica cifra di trentamila lire, poco meno di quindici euro, praticamente.
Accettò. Non avevamo bisogno l’uno dell’altro, ma andavamo ad intrecciare così le nostre vite.
…….
I suoi occhi dicevo, sì i suoi occhi. Quando lo guardavo non ricambiato pensavo a quanto avevano visto quegli occhi. Accidenti! Quanto avevano visto e quanto guardato quegli occhi di ottantenne? E quando il nonno fosse morto, pensavo, dove sarebbero finite tutte quelle immagini? Dove quelle istantanee che egli aveva scattato? Dove quei films che egli aveva voluto, o dovuto, girare? Al rogo, pensai, con la sua morte tutto ciò, con anche i suoi sentimenti, le cose lette, le paure provate, che tanto avrebbero potuto insegnare, sarebbe finito nel nulla. Che significato aveva tutto questo? Non avevo risposte.
Forse le cercavo ascoltando le storie che il nonno mi raccontava " presto mi diede del tu e prese a chiamarmi “bambino” " una quasi ogni giorno. Certe volte, quando la confidenza fu grande, potevamo permetterci di stare zitti, seduti l’uno di fronte all’altro e per me non erano delle brutte serate.
…….
Ed anche quella sera fissavo i suoi occhi quando dai suoi occhi capii che dovevo spostare il mio sguardo alle sue labbra oramai sottilissime che, come avevo previsto, si dischiusero per pronunciare la fatidica frase: “Ti voglio raccontare una storia”.
Come sempre un brivido mi percorse e passai a guardare le sue mani che, quando iniziava a raccontarmi una storia, scivolavano nervosamente sino alle sue ginocchia, parallele sulle cosce coperte dal suo elegante plaid scozzese, come se ogni volta fosse emozionato come un ragazzino. Emozionato quell’uomo? Emozionato un uomo di ottant’anni? È possibile?
Si, credo di si, e questa possibilità è ciò che dà alla vita anche un contenuto di bellezza. E lo dà anche a questa storia che mio nonno rivolse, come tutte le altre recenti volte, alla mia ombra che doveva amare ne sono certo con tutto il suo sentimento.
Non so in verità quanto restava da amare a quell’uomo di ottant’anni. In vita sua aveva amato così tanto che una persona normale avrebbe sicuramente esaurito da tempo le scorte di cui il buon Dio ha armato anche la persona più debole e più cattiva di tutte.
Ma lui aveva ancora da raccontare una storia e, così, amare me e forse voi che ora volete conoscerla da me ed anche se non è la stessa cosa, immaginate invecchiare il mio volto e roca la mia voce, come se poteste udirla direttamente da lui.
…….
Il soffitto. Vedevo quello che vedeva lei: il soffitto. Avevamo fatto l’amore, c’eravamo addormentati e c‘eravamo svegliati nello stesso istante. Ed in quel momento giacevamo sul letto. Non doveva essere un letto un granché ampio se, pancia in su, stavamo l’uno accanto all’altra sfiorandoci accaldati.
Stavamo certamente pensando lo stesso pensiero e cioè che eravamo infastiditi dal fatto che non essendo tante le occasioni di fare l’amore, era strano che non fosse andato tutto tecnicamente alla perfezione.
Eravamo infastiditi, ma sopraffatti da un senso di comune appagamento.
L’appagamento nasceva dalla sublimazione delle imperfezioni. L’imperfezione del nostro atto sessuale, dovuta a me sicuramente, si era fusa con l’imperfezione congenita delle nostre anime.
La miscela era esplosiva e fa si che ora io ricordi tutte quelle imperfezioni come qualcosa di sommamente perfetto e, infatti, degno di essere raccontato.
Smisi di fissare il soffitto e la anticipai nella decisione di mettere su un caffè.
Vorrei che esistesse una macchina che ci consenta di raccontare le nostre esperienze con anche gli odori e i rumori che sono parte integrante dei nostri ricordi e che renderebbero completo il mio racconto ed ingenererebbero in chi ascolta le sensazioni che io ho provato.
Penso ad esempio a lei distesa su un fianco, nuda, magrissima e bellissima e penso al gorgogliare del caffè ed al suo profumo. Sono passati quarant’anni ma mi sembra ieri.
Stai ascoltando un vecchio pazzo, bambino, lo so, stai ascoltando un vecchio pazzo.
“Lo vieni a prendere in cucina o te lo porto a letto?”
…….
Bevuto il caffè in cucina, ci alzammo e lei, guardandomi fisso negli occhi con un mezzo sorriso, mi si avvicinò e prese a baciarmi.
Alle sensazioni di prima ora devo aggiungere questa: il sapore del caffè, modificato dal sapore della sua lingua e delle sue labbra, era qualcosa di diverso dal sapore del caffè che io avevo bevuto, a causa del diverso sapore della mia lingua.
Perché una ragazza con la quale avevo fatto l’amore poche ore prima aveva già voglia di baciarmi? Era per me un mistero inesplicabile. Io l’amavo e lei non mi bastava mai, ma non mi capacitavo che qualcuno potesse amare me con altrettanta intensità.
Quel bacio al caffè, bambino, fu il più lungo della mia vita. È incredibile! Stavamo insieme da quasi un anno e ci baciavamo con la passione dei primi giorni. Era un bisogno, il nostro. Ci fermavamo dappertutto ove non ci fosse anima viva, anche sulle scale del palazzo in cui abitavo, anche se sapevamo che poco dopo avremmo potuto fare l’amore su da me. Facevamo di tutto per poterci baciare nelle scale, stando attenti a che non si fermasse l’ascensore proprio dove eravamo noi. Non avevamo nulla da nascondere ma non ci saremo mai baciati davanti ad una sola altra persona.
Ho i brividi, bambino! Solo a pensarci mi sembra di provare le sensazioni di un tempo. Se non fosse per questo inutile fossile che ha oramai irrimediabilmente preso il posto del mio pisello…
Non ricordo come andò a finire con quella ragazza, ma non posso scordare l’intensità di ciò che provavo per lei.
Questo volevo raccontarti, bambino. È la storia di un insieme di sensazioni, non una storia di fatti. È una storia in cui non succede nulla, come tutte le mie storie d’altra parte.
E tu ti annoi, bambino, ma ricordati di non sprecare il tuo tempo e se trovi una ragazza i cui occhi non mentono amala più forte che puoi, non risparmiarti.
Ehi, bambino, stai dormendo?
…….
Lo prendevo in giro: quando concludeva le storie rivolgendomi un consiglio facevo finta di dormire facendo rumore col naso.
In realtà non ne ho persa una di storia, non un finale, non un consiglio.
Il vero spreco di tempo sarebbe stato addormentarsi mentre lui parlava. Sarebbe stato come mandare al rogo prima del tempo ciò che quegli occhi spenti avevano visto in una vita di ottantanni forse per, un giorno, accendere i miei.
…….
Era invece il nonno che, qualche volta, finito uno dei suoi racconti, si assopiva. Succedeva normalmente verso le undici della sera, ora buona, pensavo, per un vecchio della sua età per mettersi a dormire.
Non osavo trasferirlo a letto. Era molto magro e sarei riuscito nell’operazione senza fatica, ma non osavo: era molto orgoglioso e se si fosse accorto sarebbe stato capace di non rivolgermi più la parola. Lo coprivo sino al collo sollevando delicatamente il plaid che aveva sulle gambe. Spegnevo la pur flebile luce della stanza per accendere quella ancora più tenue della lampada da soggiorno. Non spegnevo mai la televisione e mene andavo.
…….
Era strana la sensazione che mi assaliva ogni qual volta scendevo le scale per tornare giù da me. Era come se, arricchito ed eccitato dall’incontro, temessi che quella potesse essere stata l’ultima volta. Il mio cuore si riempiva di un sentimento di paura. Paura che il giorno dopo potesse essere diverso: paura che il nonno potesse morire o, peggio, perdere quella luce interiore che oramai stava guidando, senza che io lo sapessi, la mia vita.
Faticavo sempre ad addormentarmi. Con gli occhi sbarrati nel buio ripercorrevo la storia che lui mi aveva appena raccontato e mi chiedevo se il nonno ci mettesse del suo o fosse tutto vero.
Credo che in realtà non mi interessava per niente dare una soluzione a questo dubbio: le storie per me erano comunque bellissime!
…….
Il giorno dopo ebbi una giornata di studio più svogliata ed improduttiva del solito.
Ero in un momento di crisi: trascorrevo le giornate in funzione dell’incontro serale con quella persona che, mi chiedevo come, avendo con me ben cinquantacinque anni di differenza, riusciva a parlarmi così direttamente.
Quando lui mi parlava le differenze tra noi si annullavano sino a riportarci a ciò che in effetti entrambi eravamo: due esseri umani. Le diverse esperienze e i diversi anni ci avevano reso differenti, ma in fondo nella nostra appartenenza al genere umano eravamo perfettamente uguali. Un’umanità che prescindeva dall’età, dal sesso e da qualsiasi altro stupido accessorio.
Trascorrevo la giornata, dicevo, riflettendo su quanto la sera prima avevo ascoltato da lui.
Devo dire che se un incontro mai mi cambiò la vita, esso fu quello col nonno. Andai a ridiscutere la mia intera esistenza. Me stesso: principi, valori, ambizioni e vere passioni.
A scapito dello studio stavo imprimendo alla mia vita un’altra direzione. Non parlo del lavoro o di chissà che altro, parlo della direzione della mia anima. Andavo creando, senza traumi invero, un nuovo io. Iniziai allora a dare attenzione alle cose a cui ancora oggi dò grande importanza e fra esse la più importante di tutte: me stesso.
…….
Dicevo, la giornata successiva era stata particolarmente sciatta dal punto di vista dello studio. Senza far nulla si fecero le nove. Salii dal nonno e lo trovai che ancora cenava.
“Vieni bambino, siediti! Questo sugo alle vongole che mi sono organizzato è un vero portento! Ti servo un bel piatto di pasta ed anche se hai già cenato lo divorerai, telo assicuro”.
In effetti per un uomo nelle sue condizioni il nonno era abbastanza indipendente. Badava a sé e, a giudicare da quella pastasciutta, cucinava da dio.
“È una ricetta di mia nonna”, percepiva il mio apprezzamento.
Non potei fare a meno di pensare: “Caspita, sto mangiando qualcosa che qualcuno ha inventato centocinquant’anni fa!” E fu allora che pensai che con la morte non proprio tutto di una persona va al rogo.
Fu allora che compresi appieno il valore del tempo che impiegavo nell’ascoltare il nonno.
“Ti ricordi quella di ieri?” Pensai che alludesse alla storia e risposi: ”Si certo, nei minimi particolari.” “Quella…quella cucinava magnificamente. Faceva il purè di patate più buono del mondo!”, evidentemente alludeva piuttosto alla ragazza della storia.
…….
A proposito, bambino, ieri non ti ho detto che in quel periodo ero fidanzato ed ero nel pieno della mia attività di avvocato.
Ero fidanzato… ma non con quella. Insomma, bambino, non ti scandalizzare, ma ti ho raccontato la storia di un tradimento.
In realtà io ero fidanzato con una bellissima ragazza, un’architetto-arredatrice con la quale rimasi tre anni e non so bene perché finì. Era una relazione completa ed appagante, non chiedermi perché per più di un anno mi lasciai coinvolgere in un secondo rapporto. È che fu bellissimo anche questo e, se è vero che non potrei consigliarti di comportarti come me, è anche vero che, se lo facessi, ti capirei. È troppo difficile dire di no ad una persona interessante. E le donne belle sono tutte interessanti…
…….
Con la tipa del tradimento era stata vera passione. Ci scambiammo alcune lettere, le quali costruivano anch’esse il nostro rapporto.
Alla mia ragazza confessai il tradimento, ma lei non volle sapere niente. Ad ogni buon conto bruciammo le lettere. Lo facemmo insieme, una sera, davanti al caminetto. Le bruciammo una ad una, piangendo silenziosamente. La cingevo da dietro, fissavo il fuoco e su di esso le sue mani che bruciavano le lettere. Si stagliavano come agili ombre che si agitavano nel doloroso incombente.
In quel momento io e lei eravamo una cosa sola.
La nostra era stata una storia a matita: era stata vissuta sapendo che poteva essere cancellata nello spazio di un secondo. Questo non tolse nulla a quella storia, il tratto di quella matita era assai nitido.
Eravamo convinti che in un’altra vita le Eccezioni sarebbero diventate Regole e noi due avremmo vissuto uniti per sempre.
…….
Quella sera eravamo rimasti tutto il tempo in cucina e lui non smise un attimo di sgranocchiare qualcosa mentre parlava: ciò era insolito per lui.
Sapeva essere incredibilmente di compagnia se voleva, il nonno, ma non doveva essere sempre stato così. Doveva essersi ammorbidito con l’età, il nonno.
Lo lasciai che ancora mangiava e sorseggiava quel suo Porto che gli conciliava da sempre il sonno. Non ne faceva mai a meno.
…….
La mattina seguente mi svegliò il suono di una sirena proveniente dalla strada.
Ebbi un groppo in gola, il pensiero del nonno era fisso e pensai a lui. Mi precipitai alla finestra, sollevai la serranda e mi sporsi per vedere. Feci a tempo a riconoscerlo su una barella entrare nell’ambulanza, coperto sino al collo dal suo stesso plaid. Gli occhi aperti, mi sembrò. Rimasi immobile a guardare l’ambulanza allontanarsi veloce a sirene spiegate.
Ero ancora un po’ intontito dal sonno; ci misi del tempo per capire che non stavo sognando. Ebbi come un vuoto allo stomaco e dovetti faticare per non piangere. Mi ripetevo: non adesso, non ancora.
Mi riuscì di attaccarmi al telefono fino a sapere dove era stato portato.
Mi vestii alla buona e mi recai a trovarlo. Guidando per raggiungere l’ospedale continuai a provare quelle orribili sensazioni allo stomaco ed al volto.
Pregai fortissimo per lui. Il tragitto era lungo e non potei fare a meno di pensare che il nonno poteva essere già morto durante il trasporto.
Si può morire in automobile? È possibile? Che senso ha morire in un’automobile?
…….
La visione che ebbi quando finalmente potei entrare nella stanza nella quale era già sistemato mi trasmise una gioia indescrivibile. Una sensazione di liberazione simile a quella che si prova al termine di un esame universitario. Credo moltiplicata per mille.
Tardarono un po’ in ospedale a condurmi da lui. “Chi è lei?” “Un nipote.”, risposi, anche se per la prima volta pensai a me come ad un figlio.
…….
La visione, dicevo.
“Bambino!”, mi accolse già un po’ sollevato sul cuscino, vigile e con gli occhi aperti. Mi sorrise alla sua maniera. Io scoppiai a ridere con le lacrime agli occhi. Per la prima volta vidi lui con gli occhi lucidi che tratteneva a stento il pianto. C’era la paura della morte nei suoi occhi e, forse, l’affetto per me, improvvisamente ed inopinatamente materializzatosi.
La Morte l’aveva preso, squassato e lasciato andare, ma ancora per poco.
“Devo aver avuto un principio d’infarto, bambino. Ho sentito uno strano dolore al braccio ed ho chiamato subito il 118, come tu mi avevi detto di fare quella volta. Sono stato bravo, eh?” Era provato.
“Sono così contento di vederti ancora. Voglio raccontarti un’ultima storia.”
“Ora devi riposare, nonno, non devi affaticarti. Potrai raccontarmene più d’una quando sarai uscito da qui.” I ruoli si erano capovolti. Ero io ora a dover essere il saggio dei due. Ma in lui, moribondo, l’orgoglio era più vivo che mai: “Mi resta così poco da vivere, bambino, che potrei non finire la frase. La Morte mi ha preso con le sue due enormi mani per il bavero del colletto, mi ha tirato a sé sollevandomi da terra ed ha guardato fisso i miei occhi spenti da così vicino che quando mi ha scagliato via sembrava dire: “Ok, ancora qualche ora, vecchio bastardo di un cieco!”
…….
Tieniti forte, bambino: sono stato sposato!
Non fare quella faccia. Anche se non la vedo, so che la stai facendo
So che ti sei fatto una certa idea di me. Quella di un donnaiolo insomma. Poi la storia del tradimento… Sembra impossibile capire che guasti fa la vita. Eh bambino? Questo vecchio morente, sdentato e quasi cieco, è stato uno che ha vissuto la vita per davvero.
Ti leggo il pensiero, bambino: “Ed ora questo vecchio rincoglionito mi dice che è pure stato sposato. Chissà quante balle mi ha detto. Per fortuna ora è agli sgoccioli…”
…….
Si scherniva sempre ed io non gli avevo mai detto cosa pensavo di lui, né mai gli confessai quanto gli volevo bene. Sapevo che sarebbe morto e mi avrebbe torturato il rimpianto per non averlo mai abbracciato, né fisicamente, né con le parole.
Ma così ero io, così è sempre stata la mia natura. Mi consola la consapevolezza della sua sensibilità: comprese di sicuro l’affetto speciale che nutrivo per lui.
…….
Si, sposato, bambino, hai capito bene, sono stato sposato!
Il problema è che questa è una storia difficile da raccontare. Fu la mia vita per diversi anni e non ricordo particolari aneddoti.
È stata sicuramente l’esperienza per eccellenza. Totalizzante, andava fatta.
A questo punto ti stai chiedendo se ho dei figli, bambino? Non lo so, forse. Se esistono è evidente che mi hanno dimenticato, ma questo è normale, non devi stupirti.
Se non avessi incontrato te sarei morto solo, come, per certi versi, ho sempre vissuto.
Del matrimonio ricordo solamente che da un certo momento in poi non facevo altro che guardare la televisione. Guardavo sempre la televisione disprezzato da mia moglie, la quale non si accorgeva che io in realtà pensavo costantemente a lei. Guardavo la televisione ma non la seguivo, non mi interessava.
Stavo già diventando cieco e non riuscivo più a leggere, se non con grande fatica; ed allora non mi restava che sbattermi davanti alla televisione, per noia e per ascoltarla un po’.
Mia moglie non si accorgeva che andavo perdendo la vista. Mia moglie non si accorgeva più di nulla. Lei andava perdendo la sua sensibilità ed un giorno morì devastando ancora una volta la mia vita.
Non voglio dirti chi era mia moglie, se una delle donne di cui ti ho già parlato o un’altra. Non ha rilevanza, bambino, credimi. Sappi che prese il mio cognome e per tutti eravamo semplicemente “gli Addams”.
…….
La sua voce era andata affievolendosi. “Ora sono stanco, bambino, sono molto stanco. Lasciami stare, vivi e dimenticami. Abbi cura di te e non volere a nessuno il bene che hai voluto a me. Amare così fa troppo male…”
Furono le sue ultime parole. Le pronunciò lentamente, con un filo di voce e gli occhi secchi. Non aveva più lacrime, non gliene erano rimaste. Aveva pianto troppo in vita sua, anche se pochi poterono accorgersene.
Stava morendo davanti ai miei occhi. In quel momento avrei voluto prendere io la Morte per il bavero e cacciarla: “Lascialo stare!” Ma credo che lui non desiderasse che io lo facessi.
È giusto lasciare andare le persone che amiamo? Come possiamo accettare questa cosa? Dove trovare la forza di subire un abbandono?
Un amore ci lascia, una persona amata muore, un fratello ci tradisce, un amico ci volta le spalle ed un figlio sene va e non sceglie noi ma il mondo. Tutto questo si può accettare? Lo si può fare senza piangere?
Mi sciolsi in lacrime. Il pianto che avevo sino ad allora trattenuto s’impadronì di me con violenza.
Se questo fosse un film si chiuderebbe con una larga inquadratura dall’alto del nonno sul letto d’ospedale ed io seduto accanto col capo riverso su di lui. Poi l’inquadratura si stringerebbe strettissima sugli occhi del nonno.
Ed ora quegli occhi si chiudono e la loro storia finisce, cancellata in un istante come una storia a matita…
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