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Il ragno bianco, l'orchidea
Gli allievi erano tutti seduti, rumorosi e impazienti, nell'attesa del maestro.
La giornata era un dono che la primavera aveva fatto per quell'occasione speciale, come se tutto l'universo sapesse quanto fosse importante una cornice così splendente, e persino gli uccelli cinguettavano meno rumorosamente del solito, per non disturbare la rivelazione.
Ognuno aveva con sé il bicchiere, dal quale avrebbe bevuto quando sarebbe arrivato il momento, e sarebbe stato il momento più importante della loro esistenza, il momento per il quale attendevano da tempo, da quando erano nati e da prima ancora, a sentire le parole divinamente ispirate del maestro.
Tutti quei miscredenti impauriti che lo tacciavano come cialtrone, non sapevano nulla di lui, delle sue ispirazioni e della sua conoscenza, ma chi era lì quel giorno sapeva, ed era pronto!
Si mormoravano grandi cose in quello sparuto gruppo di persone, c'erano milioni di pensieri che prendevano forma e grandi aspettative, perché quel giorno il maestro avrebbe rivelato loro quella che era la verità; non una verità qualunque, quella no! La verità qualunque era quella che ti davano tutti, perfino la televisione e i politici! La verità del maestro era suprema, perché era una verità d'amore, di trascendenza e di pura pace...
Finalmente il maestro arrivò, puntuale ed avvolto in un invisibile ma tangibile candore, e non si perse in cerimonie, come un qualunque ciarlatano... NO! Era lì per raccontare, e dopo aver distribuito il nettare del sapere nei vari calici di quegli allievi che fino in quell'ultimo clamoroso giorno lo avevano seguito, cominciò a svelare loro la verità:
-miei amati figli... allievi e discepoli dell'amore...-le sue parole risuonavano con il rumore del mondo
-voglio raccontarvi una storia, una fola antica quanto il mondo stesso, di quando gli dei ancora non si vergognavano degli uomini, ma vivevano in stretto contatto con loro, facendogli omaggio di doni che però non sempre l'uomo, accecato dalla carnalità e dall'invidia, riusciva a comprendere...-
Fu un lungo silenzio, poi Demetrio, il più giovane ed impaziente tra i discepoli, disse:
-Maestro!! raccontaci, ti preghiamo! facci dono del sapere antico, che ci porti alla verità...-
Il maestro lo guardò, con un amorevole rimprovero nello sguardo, come si guarda un figlio che impaziente aspetta un regalo che il genitore indaffarato, che conosce il momento giusto per offrirlo, sta per donare, e poi prese ad inondare gli apprendisti con le sue serafiche parole.
-Ebbene in quel tempo, quando la terra era un paradiso di impensabile bellezza, e le genti scorrevano con lo stesso ritmo della natura che le circondava, gli dei vollero fare un dono all'uomo. Fecero sbocciare, al centro del giardino più bello, un fiore di inaudito splendore, un'orchidea talmente perfetta e splendente che nessun occhio umano aveva mai veduto prima!
I suoi colori riempivano gli animi di una calma infinita, la rugiada di cui era perennemente bagnata dissetava le gole al solo guardarla, ed il suo profumo inebriava le menti facendo sorgere l'ingegno e i pensieri più elevati!
Ma gli dei, amorevoli verso l'uomo e ben consapevoli della sua debolezza, sapevano; sapevano che ci sarebbe stato qualcuno, estasiato da tanta bellezza, che avrebbe provato a farla sua, estirpandola dalla madre terra.
Così, nella loro infinita sapienza, misero un guardiano al divino fiore... un ragno.
Una creatura antica e micidiale, dotata di un veleno mortale per qualsiasi uomo, ma anche di saggezza e dedizione, e bianco come il latte divino, per non offendere con altri colori quelli dei petali divini!-
si fermò a guardare gli allievi, voraci ascoltatori al suo cospetto
-questo grande guardiano, creatura divina, era immune sia alla fame che alla sete, e non abbisognava di dormire! Il custode perfetto, per un così grande tesoro, una creatura priva di coscienza, il cui solo scopo era quello di difendere il regalo degli dei, anche se questo significava avvelenare mortalmente chiunque avesse minacciato il fiore.
In molti provarono, ma si arrendevano ogni qualvolta, avvicinatisi al fiore, il ragno li bloccava, minacciandoli, e tracciando una linea per terra con una delle sue zampe; "chiunque superi il confine degli dei per soddisfare i suoi desideri, troverà veleno e morte!". Questa era la minaccia che il guardiano tuonava, e che fece fuggire centinaia di avventati!-
il maestro si interruppe un attimo, e colmò anche il suo boccale
-Un giorno il ragno, attento guardiano, si accorse di una donna, che ormai da tempo osservava il fiore da lontano, senza mai provare ad avvicinarsi, come altri avevano fatto. Ella stava a guardare la bellezza divina della pianta per giorni, senza cibarsi né dormire, quando poi la fame e la stanchezza prendevano il sopravvento sul suo corpo mortale, si cibava dell'erba del prato, e cadeva in un sonno profondo, al risveglio del quale beveva dell'acqua piovana e ritornava a contemplare il fiore, sempre senza distogliere lo sguardo.
Il ragno era allerta, ma anche incuriosito dal comportamento della donna, e non la perdeva mai di vista con uno dei suoi numerosi occhi, tenendo gli altri ben attenti ad eventuali ulteriori intrusi.
Tanta era la paura che il ragno faceva ai mortali, che ben presto più nessuno azzardò a cogliere quel prezioso fiore!
La gente si limitava a guardarlo da lontano, e a capire quanto fosse incredibile il potere della sua bellezza, ma nessuno osava più rischiare la vita per averlo.
Eppure, la donna rimaneva sempre lì, a volte immobile, a volte camminava intorno al fiore, ma sempre mantenendo le distanze dal suo micidiale guardiano!
Capitò un giorno, dopo svariati anni durante i quali nessuno si avvicinava al fiore, che la donna, ormai vecchia, cominciò ad avvicinarsi al ragno, il quale data la sua natura divina, non risentiva dello scorrere del tempo.
Ovviamente egli non si mosse dal suo posto, e senza manifestare il minimo intendimento si girò con tutto il suo enorme corpo verso la potenziale profanatrice.
Quando la donna fu così vicino al ragno da poterlo quasi toccare, lo guardò nei suoi infiniti occhi, e dopo che le lacrime presero a scendere sulle sue guance mortali, si gettò verso il fiore!
Il ragno, in un gesto automatico, allungò fulmineo due delle sue zampe, con le quali afferrò la sacrilega donna, e subito affondò i suoi enormi denti dentro al suo affannato petto, instillando in lei il mortale veleno, poi la posò per terra, attendendo il sopraggiungere della sua morte.
La donna sentiva già scorrere in lei il velenoso nettare che tutto toglie, e si rivolse al guardiano, con gli occhi ancora gonfi di lacrime e il respiro esagitato.
-finalmente... ti ho...-
il ragno, indifferente alle manie dei mortali, non le prestò attenzione
-tutti questi anni... a guardarti, a desiderare la tua bellezza... a bramare di poterti lasciare anche solo una carezza...-
Ora il ragno si incuriosì, e si rivolse alla donna
-Lo sai che quel fiore è precluso ai mortali!! la tua dedizione è stata davvero notevole, ma nessun umano può toccare il dono degli dei, pena la morte che ti ho vomitato nelle vene.
-non hai ancora capito, vero?-disse a fatica la donna- ma del resto hai natura divina, non capiresti...-sospirò roca-non parlavo del fiore, ma di te... la creatura più bella che avessi mai visto!... mi sono inebriata del tuo candore appena ti ho scorto, sono stata ferma a guardarti per anni, sapendo di non poterti nemmeno sfiorare, eppure era così bello...-
il ragno ascoltò
-ogni volta che ti staccavo gli occhi di dosso, la fame di te mi assaliva, e dovevo tornare a saziarla con la tua figura... e piangevo pensando che il tuo unico scopo era la difesa di quello stupido simbolo vanesio con cui gli dei si fanno beffe dell'uomo, ma gioivo e mi illudevo ogni volta che tu tenevi anche uno solo dei tuoi occhi fissi su di me!-il veleno stava ormai addormentando tutto quel che di vivo vi era nel corpo della donna-... ora sono vecchia, ho passato la mia vita a rifiutar pretendenti, a illudermi e a pensare se esisteva un modo per averti anche solo per un istante... e ho capito, che l'unica cosa che tu potevi darmi... era il tuo veleno, perché così volevano gli dei!... crudeli... loro non sanno... che cosa è l'amore...-
Il ragno, muto di fronte a tutto questo, ascoltò le ultime parole della sua vittima.
Ora muoio, contenta come non sono mai stata in vita... perché le tue forti zampe, anche se solo per un istante, mi hanno afferrata, e i tuoi denti hanno conosciuto il mio corpo... ma soprattutto... il veleno dolcissimo di cui sei fatto... scorre in tutta me stessa... addio... amore... ti amo...-
Il maestro rimase in silenzio, poi ricominciò lento a parlare.
-Leggenda narra, che il ragno rimase così colpito dai gesti e dalle parole della donna da innamorarsene all'istante, ma purtroppo, non gli rimaneva che il corpo morto del suo improvviso amore, così, senza perdere di vista il fiore, con lo stesso occhio con il quale l'aveva guardata in vita, guardò quel corpo finché il tempo non lo ridusse in polvere, e chi riuscì ad avvicinarsi al ragno, vide che quell'occhio eternamente lacrimava...-
Gli allievi erano tutti ammutoliti, con gli occhi rossi e tremanti, nessuno osò emettere un fiato!
-Vedete, cari discepoli, l'amore è degli dei, ma lo posseggono e basta, non riescono a comprenderlo e a sentirne ogni suo palpito! l'uomo invece, lo brama e lo ottiene, ma ne subisce tutti i suoi effetti, e se necessario ne muore...-
Il maestro sollevò il suo calice
-Se la sola maniera di avere davvero l'amore che fino adesso abbiamo osservato da lontano, è bere il veleno che ci ucciderà, allora così faremo, per avere un istante di felicità che ricompenserà da una vita di monotona inutile tristezza...-
avvicinò il bicchiere alla bocca
-discepoli, se volete liberarvi nella gioia, bevete con me...-
Tutti i discepoli, estasiati e commossi, portarono il calice alla bocca, e a lenti sorsi bevvero il dolce veleno che libera dall'oppressione della tristezza...
Il giorno dopo, quando la polizia fece irruzione nella sede della setta dell'orchidea divina, trovò circa una ventina di cadaveri, tutti vestiti con tuniche colorate, fatta eccezione per uno, vestito con un drappo dorato.
L'autopsia avrebbe poi rivelato che ad avvelenarli fu una massiccia dose di cianuro presente nei calici che qualcuno stringeva ancora in mano, ma la cosa più strana era un'altra:
La morte per cianuro provoca spasmi dolorosissimi-disse il medico legale al commissario
non riesco a capire come possano essere morti tutti con quell'espressione... così serena... e beata...-
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- Auguriamoci che non venga letto dal sig. B... sarebbe capace di farcelo bere a tutti. Comunque credo di essere immune al suo veleno
Ottima favola, a quando la prossima?