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Il Buco
C'era un paesino, mi raccontavano, sorto tra le montagne al confine tra la Svizzera e l'Austria, immemori tempi addietro su quello, dicevano, che era un lazzaretto dove venivano rinchiusi i malati senza ormai alcuna speranza di sopravvivenza.
La storia recita così, ma le testimonianze poco certe la rendono solo una pittoresca leggenda sulle origini del posto, che i vecchi amavano raccontare alle feste del paese ai giovani tra un bicchiere e l'altro.
Resta il fatto che, comunque, l'isolamento era una prassi per quelle poche decine di anime che vi vivevano, lebbrosi o no che fossero.
Oltre alla tempra burbera della gente di montagna, già di suo poco propensa a interporre rapporti di buon vicinato con le pochi distanti cittadine, tuttavia, v'era ulteriore motivo per cui forestieri e viandanti erano poco bene accetti in quel paese.
Solo ai residenti, che una volta nati o arrivati difficilmente se ne andavano, veniva concesso di sapere il motivo per cui, appunto, non se ne sarebbero più andati.
L'apparente sempiterna giocondità che aleggiava tra gli appartenenti a quella piccola realtà, il segreto per cui, a detta di tutti, Goulias era il paese più bello del mondo.
Nelle più profonde cavità delle montagne, non si sa dove e da quanto tempo, era custodito - e potrebbe esserlo tutt'ora - con rigore da quella gente, che di generazione in generazione si tramandava l'importante compito, una fossa. Un buco.
Circolare, con diametro di circa tre metri, nel mezzo di una caverna che si allargava tra i cunicoli più oscuri che penetravano la scorza di quella parte di mondo.
La particolarità di questo buco, che lo distingueva dagli altri, era la luce verdastra che scaturiva dal suo profondo, forte abbastanza da salire lungo tutte le pareti e creare una cupola spettrale di verde riverenza attorno a quel luogo dall'aspetto insieme sacro e terrificante.
Nessuno sa come si fosse formato, ne se avesse sempre emanato quel bagliore, ma il principio, il perché esista qualcosa, è irrilevante quando ormai è certa la sua funzione.
Questa fossa divina, questo è certo, cancellava i ricordi.
E i paesani lo sapevano bene, e caro a loro era questo privilegio di poter vivere tenendo a mente solo la propria serenità e le cose che l'avevano condotta.
Tre volte l'anno nelle feste del paese, o singolarmente ogniqualvolta qualcuno ne sentisse il bisogno, venivano buttati li dentro fotografie, vecchi giocattoli, diari o vestiti intrisi di ricordi o anche solo pensieri scritti su carta di cui si sentiva il bisogno di sbarazzarsi.
Cosa fosse, da cosa derivasse questa capacità, non importava, tanto più che le discese in cordata nel buco avevano portato solo alla conoscenza del fatto che, aspettandosi montagne di fotografie, vecchi giocattoli ecc. buttati alla rinfusa, arrivati in fondo si rimaneva stupiti del fatto che non vi fosse niente; solo liscia pietra severa e compatta, costellata da una strana peluria, rocciosa, che solenne emanava i mistici raggi.
Ma i dubbi e le domande svanirono presto, ognuno nel paese era libero di pensare a cosa voleva, e l'armonia che regnava rendeva beati gli abitanti e faceva di Goulias il paese più felice del mondo.
Fu proprio in una di quelle feste, dove il vino sgorgava a fiotti dalle botti e interi cesti di ricordi venivano scaricati prima nel bicchiere poi nel buco, che si scatenò una rissa tra di loro.
Coinvolse prima due, poi quattro, poi una buona dozzina di persone tra i presenti.
A quanto pare qualcuno si era appropriato di ricordi altrui nell'atto di gettarli nel ventre della montagna! Nel tafferuglio che si creava intorno a quei pochi metri, con le persone che ai loro piedi avevano pile e pile di brutti pensieri, era facile confondersi e, nell'estasi, magari raccogliere e gettar via i ricordi di qualcun altro.
Ma certi pensieri sono importanti e delicati da maneggiare, certi brutti pensieri vanno accarezzati con cura prima di liberarsene, vanno vezzeggiati, e cullati come un bambino finché si addormenta.
Certo che, se trattati con leggerezza da estranei, possono ben dar motivo di rissa.
Ma anche quel ricordo, placati gli scazzottanti, venne impacchettato e dimenticato.
Questi piccoli screzi non sono importanti, non vale la pena ricordarli.
Quella sera comunque, si racconta, un uomo non riusciva a prendere sonno. Lo si vide, allora, gironzolare per casa, la moglie ignara che placida dormiva nella stanza da letto. Uscì dalla porta, e ramingo per le vie del paese continuò a camminare, fino ad uscire dal centro abitato e dirigersi verso le grotte dove precipitava il buco.
Seduto a dirimpetto del precipizio, l'oscurità della notte che fuori incombeva quando, alzatosi, abbracciò l'estremo atto e si lasciò cadere dentro.
Le motivazioni precise di questo gesto non si conoscono, forse sopraffatto dal ricordo dei ricordi capì che il tormento gli era prezioso quanto il sorriso, e, non sentendosi più vivo, il ricordo di lui stesso si frantumò nell'infinito, andando a sfracellarsi nei reconditi della fossa dove tutto andava perduto.
Come la goccia che fa traboccare il vaso, le moltitudini che la intasavano non ressero, e dalle budella del buco esplose, come una bolla d'aria che gonfia le sue pareti fino allo stremo, tutto il senno immagazzinato e li sepolto fin'ora.
Nel paese, solamente le case più vicine risentirono della violenta massa di pensieri che scaraventata via dalle gallerie di roccia invadeva l'aria, e crollarono in pezzi all'istante. Dicono, la casa dell'uomo si frantumò per metà, lasciando intatta la parte dove sua moglie avrebbe dormito ancora fino al mattino seguente.
Le mura diroccate sono ancora lì, a monumento e monito, accanto a quella parte della montagna che è franata.
Ma, a Goulias, ormai tutti si sono dimenticati di cosa successe veramente, di quell'uomo, di quel buco, rimane solo una leggenda che i vecchi amano raccontare durante le feste.
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