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La traversata notturna

Chiusa la porta alle mie spalle indossai frettolosamente il pesante mantello. Coprii la testa con il cappuccio, perfetto riparo dalle prime gocce di pioggia, a tratti leggere a tratti più pesanti. I miei passi, veloci e sicuri, furtivi e attenti. "Evitare di percorrere le strade illuminate dalla luna" mi ripetevo ogni istante, lungo i saliscendi di ponti e scale. Osservai la grande città con gli occhi di chi, costretto alla schiavitù, non può che ritrovarsi a odiarla ogni giorno. E poi tutta quell'acqua, regina di canali e fiumi. Acqua ovunque. Odiavo trovarmela intorno. Odiavo il sole che riflette su di lei con un abbaglio, il pesce che nuota attirato dall'amo. Odiavo perfino il rumore schioccante dei sassi che inabissano, lanciati da un bambino. E il tutto dal giorno del mio settimo anno di vita in cui rischiai di affogare nella laguna. Ricordo ancora l'uomo in maschera che mi afferrò trascinandomi a terra. Seppure la sua gentile voce paterna chiedeva se stessi bene, non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla sua maschera giullaresca che gocciolava su di me, perdeva forma e diventava una torbida chiazza azzurrastra. Cercai di coprirmi, di urlare, di agitarmi come potevo, di distogliere lo sguardo da quella folle visione opaca, ma le gocce avevano il potere di impedirmi di usare qualsiasi senso cercassi di mettere in atto per implorare aiuto. L'artista di strada riuscì a calmarmi dopo un tempo immemore, ma quel momento sarebbe rimasto nello scantinato della mia esistenza, fra una botte di speranze perdute e un vaso di sogni andato in frantumi.
Mentre attraversavo la grande piazza del mercato lanciai un'occhiata alla cattedrale che regna sul mare. La luna, un disco chiaro fra le nubi del cielo nero, disegnava i contorni delle statue lungo la facciata. Dalle loro nicchie come giudici inquisitori puntavano il loro sguardo ferreo e duro, un dito su me e sulle mie intenzioni. Prima o poi sarei morto per quello che stavo facendo, ma a che scopo vivere se non si dedica anima e corpo a una ragione che dia senso alla nostra esistenza? Avevo promesso che sarei andato fino in fondo, e fino in fondo volevo arrivare. A costo di lasciarmi divorare dalla mia stessa follia, dall'incubo che sovrasta la ragione. Mi nascosi alcuni secondi nell'ombra di un grande arco dall'altro lato della piazza, in attesa che le due guardie notturne si allontanassero, preoccupate del temporale in arrivo. Alzai lo sguardo lungo i piedritti e mi soffermai a guardare un rinfianco di sostegno dove, dalla bocca di una grossa testa mostruosa, usciva un getto d'acqua che ricadeva a cascata in una vasca a pochi piedi da me. Deglutii irrequieto. Non appena la fioca luce delle lanterne scomparve dietro la locanda uscii dal mio nascondiglio improvvisato e scesi velocemente le scale che portavano alla riva del mare. Mi bloccai di soprassalto alla vista della grande distesa oscura.
Ogni volta lo stomaco andava in subbuglio davanti a quello che mi parve un liquido incerto, tremolante, mosso dal primo vento del temporale che si avvicinava. Le nubi all'orizzonte si illuminavano disegnate dalle esplosioni di lampi alle loro spalle. La nebbia bloccava la vista in molti tratti. Qualche fulmine cadeva a pelo d'acqua, rimbalzava e sembrava quasi puntarmi dritto in pancia. Chiusi gli occhi, feci un lungo respiro e mi promisi di essere coraggioso ancora una volta. Raggiunsi l'unica imbarcazione a remi incustodita, sempre la stessa. Lentamente e con attenzione salii sulla barca, tenendomi in equilibrio, non so bene se sull'acqua o sulle mie incertezze. Afferrai l'unico remo e cominciai a spingerlo con forza, come se ogni remata fosse un peso che lasciavo cadere sul fondo, un ricordo, un giudizio che appesantiva il cuore e non vedeva l'ora di affondare. Tenni lo sguardo dritto davanti a me, puntato all'isola. Il vento lentamente si alzò. La burrasca era ormai vicina e il tempo stringeva inesorabile. Osservai il mare, che come un cane si metteva in allerta, si alzava e si muoveva prima lento, poi più nervoso. A un tratto il remo mi scivolò di mano e fui costretto a sporgermi fuori dalla barca per recuperarlo. In quei pochi istanti vidi il mio riflesso nell'acqua. La nera immagine compiva movimenti sinuosi seguendo il flusso delle onde, prendeva forma nelle sagome più strane e sembrava animata di vita propria. Quando chinai il viso per osservarla meglio e assicurarmi fosse reale, due occhi fiammeggianti le spuntarono d'improvviso. Fu a quel punto che la figura schizzò fuori dall'acqua. D'istinto mi ritrassi, chiusi le palpebre con terrore e quando le riaprii il mio riflesso era di nuovo lì, tremolante al suo posto. Compresi fino a che punto la mia follia si stava spingendo.

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2 commenti:

  • Andrew Abel il 27/12/2010 21:10
    È importante per me sapere che quello che sento e vedo in ogni mia storia arrivi nello stesso identico modo a chi mi legge. Quindi grazie davvero per il tuo commento.
  • Noir Santiago il 27/12/2010 10:38
    Le storie che scrivi sono davvero belle. Hai uno stile molto curato e scorrevole che riesce a esprimere le emozioni dei personaggi procurando nel lettore un'esplosione di passione. Si viene praticamente travolti e soggiogati dalle atmosfere che crei, senza accorgersene, leggendoti, si capitombola nella storia. Magnifico cinque stelle sono poche, davvero.

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