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La donna del lago
"Le dirò la verità, non credo molto nella psicoanalisi se sono qui è perché ne ho provate tante. È una vita che tento di uscire da questo incubo, è diventato impossibile, se non risolvo..."
"Va bene, andiamo con calma. Da quello che ho capito questo disagio se lo porta dietro da molto tempo, quanto?"
Filippo Moroni era sdraiato sul divano dello psicanalista Carlo Sigismondo, un eletto nel settore, le sue sedute erano rinomate e la sua parcella era talmente elevata da incidere sul ripristino psico-salutare del paziente.
"La prima volta è successo a sei anni, anni di incubi persistenti che poi sono passati fino a sei mesi fa, quando sono ricominciati. Non voglio tornare nell'angoscia, nel tormento. Voglio uscirne. Questa volta dev'essere definitiva".
Lo psicanalista stava seduto alle sue spalle, le gambe incrociate e sopra un quadernino su cui segnava le parole che si ripetevano o che sembravano la chiave per aprire ambienti ormai stagnanti nella mente del paziente.
"Cominciamo dall'inizio, quando lei aveva sei anni. Cosa è successo?"
Filippo sospirò, la stanza era leggermente buia, chiuse gli occhi e con gli occhi della mente tornò nel lontano 1981, quando era un felice bambino di sei anni in visita dalla nonna.
"Quell'estate i miei genitori decisero di fare una crociera da soli e mi lasciarono nella villetta di mia nonna in campagna. Quella era la casa dove era cresciuto mio padre, poco lontano dal paese di Montespertoli; vicino c'è un grande lago dove puoi fare gite in barca. Amavo andare da mia nonna, avevo delle amicizie con i bambini delle case vicine, ero libero di giocare per la campagna senza essere sorvegliato e questo mi faceva sentire grande e autonomo. Ero contento di andare là."
"Un giorno fu organizzato un picnic insieme ad altre famiglie sulle rive del lago. La mattina tutti i bambini fecero il bagno, abbiamo giocato con la palla in acqua, io quell'inverno avevo fatto il corso di nuoto e mi sentivo importante perché sapevo nuotare. Poi, giocando, la palla andò un po' più al largo ed io mi lanciai subito al suo inseguimento. La presi con facilità e la rilanciai ai miei amici. Ripresi a nuotare e... le giuro, la sensazione fu proprio quella: una mano rigida e fredda mi trattenne la caviglia e mi tirò giù, sott'acqua."
"Una mano rigida e fredda"
"Sì, e non è tutto. Mentre ero sott'acqua ho sentito una voce, lì per lì non mi ha spaventato molto, mi sembrava di averla già udita. È stato il tono e le emozioni che si trascinavano dietro a mettermi paura e inquietudine".
"Si ricorda cosa le ha detto?"
"Sono ventinove anni che quelle parole mi risuonano dentro, per quanto voglia scordarle riappaiono sempre nei miei incubi. È come una filastrocca, quello fu il primo verso:
Vieni da me
non te ne andare
liberami dalle catene
che mi fanno affondare."
"Quindi quella fu la prima volta che la sentì, l'ha sentita altre volte? E che voce era?"
"Adesso direi la voce di una giovane donna. Me lo ripeté due o tre volte, non ricordo bene e poi mi lasciò andare. Nuotai via velocemente e quando uscì dalle acque non fui più il bambino di prima. Da quel momento diventai più cupo e più triste. Tutti dettero la colpa al fatto che stessi per affogare, nessuno credette alla mano, dicevano che fosse un'alga così non raccontai della voce.
Quella voce mi rimase dentro. Era triste, si sentiva che stava male. Era come se volesse il mio aiuto e per anni mi sono chiesto come potevo aiutare la donna del lago".
"La donna del lago... non la sentì più?"
"La sentii nei miei incubi. Vedevo la mano scheletrica che afferrava la mia caviglia e chiedeva il mio aiuto. Lei non ce l'aveva con me, voleva solo che l'aiutassi; ed io, mi sentivo impotente."
"Sei anni dopo, passammo uno dei tanti fine settimana da mia nonna. Mio padre ha sempre amato andare a pescare sul lago, mi chiese di accompagnarlo insieme a mia mamma. Io ero un po' titubante, dopo quell'episodio vedevo il lago come un qualcosa di sacro e oscuro. Mi avvicinavo ad osservarlo e stavo in ascolto. Non la sentii più quella voce fino a quel giorno.
Lui insistette e così li accompagnai. Prendemmo il motoscafo di mio nonno e ci sistemammo al centro del lago. C'era silenzio, di solito amo il silenzio ma, non quel tipo di silenzio. Sembrava tutto vuoto: nessun pesce, nessun alito di vento, nessun insetto che desse noia. Non era naturale. Mio padre cercava di smorzare la tensione facendo qualche battuta, la mamma leggeva una rivista e poi, ci sentimmo scaraventare nell'acqua. Il motoscafo si era rigirato, noi allontanati dalle onde inesistenti poco prima. Mio padre ci chiamò, non vedevamo la mamma allora lui si immerse. Riemerse, mi disse di stare tranquillo e ritornò giù.
Non riemergeva, io aspettavo che riapparisse con la mamma ma, non riemergeva. Li chiamai più volte, poi andai giù e la sentii nuovamente".
"La solita voce?"
"Sì, era lei"
"E..."
"Fui ingannata
diceva di amarmi
mi ha affogata.
E poi:
Vieni da me
portami via
la mia giustizia
è anche la tua."
"I miei genitori morirono. Li trovammo il giorno dopo sul fondo del lago. Io non li vidi ma mia nonna diceva sempre che il babbo aveva una brutta espressione; diceva che sembrava terrorizzato, che prima di morire avesse visto... non lo sapeva neanche lei, forse, la morte in faccia."
"La seduta per oggi è finita, ci rivediamo fra tre giorni".
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