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Nella bottega di zia Adele
Il lungo viale che conduce alla bottega d'antiquariato di zia Adele è sempre stato uno spettacolo di luci e suoni nel periodo natalizio. E anche quest'anno la magia che regala ai passanti è da togliere il fiato. Io e Lisa, mia sorella, osserviamo i grandi alberi coperti di decorazioni colorate a bocca aperta, mentre sottili scie di fiato caldo salgono verso il cielo. La notte risplende di colori intermittenti che attraversano la neve. Mamma ci sorride e indica di sbrigarsi se non vogliamo che zia Adele chiuda i battenti prima del nostro arrivo. Allungo il passo e mi aggrappo a un codino di Lisa che le sfugge da sotto il cappello di lana, un po per dispetto e un po per non perdermi fra la folla.
La bottega è una fonte inesauribile di scoperte, immagini e desideri. Un luogo nel quale facciamo visita poche volte nel corso dell'anno e dove ogni volta lo stupore si impadronisce di noi. La grande vetrina che dà sul viale alberato è colma degli oggetti più insoliti e strani, forse utili per chi è già grande e ne conosce l'utilizzo. Mamma spinge la porta d'ingresso e un babbo natale meccanico, alto poco più del mio orso di peluche, ci accoglie con un balletto a scatti e una canzone natalizia. Lisa si imbambola ad osservarlo, ma a me non piace per niente. Forse mi incute anche un po' di paura, e passo oltre. Alzo gli occhi verso quel mondo antico, fatto di lampadari, quadri senza cornice, piatti rotondi e inarcati, bambole dallo sguardo fisso e statue dalle pose più curiose. Ognuno di quegli oggetti sembra guardarmi da un altra epoca, da un mondo passato, dove qualcuno ha avuto modo di tenerli nella propria casa, di custodirli, di ammirarli, e ora restano lì, fermi, immobili, in attesa che un nuovo sguardo ricada su di loro, che nuove mani possano sfiorarli. E mentre mi perdo in mille pensieri ecco spuntare da dietro un alto scaffale una donnina riccioluta, sulla sessantina, con un paio di occhialetti sulla punta del naso, vestita di tutto punto ma con qualche millimetro di polvere sulle spalle. Fa un paio di colpi di tosse, scivola dagli ultimi due gradini di una scala di legno, si aggiusta gli occhiali e quando ci riconosce allarga le labbra in un gran sorriso. Zia Adele con due passi da gigante afferra sia me che Lisa in un abbraccio stretto, appiccicaticcio, odorato di lavanda e polvere. Mi scappa da starnutire. Ci bacia entrambi con forza, quasi una ventosa umida e schioccante cerchi di staccarci le guance. Io e Lisa ricambiamo l'amorevole saluto con leggeri cenni delle mani e deboli sorrisi, ma la nostra attenzione resta rivolta al negozio e alle sue stramberie. Zia Adele comprende al volo. Con una leggera spinta sui sederi ci incoraggia verso quel cimitero di oggetti antichi.
Lisa sceglie di seguire il corridoio a destra, dove un tripudio di bambole in porcellana vestite elegantemente riposano sulle mensole di legno intarsiato. Io invece prendo quello di sinistra e sfioro le riproduzioni di alcune auto d'epoca. Mi chiedo come funzionassero a quel tempo. Faccio spallucce e proseguo nel mio cammino. Quando ecco che all'incrocio dei due corridoi, proprio vicino al magazzino, davanti a una piccola vetrina debolmente illuminata Lisa cerca di salire su una pila di libri per osservare al meglio qualcosa. La invito a farmi vedere anche a me, ma lei risponde di arrangiarmi in qualche modo, che sui libri non c'è più spazio. "Che antipatica a volte!" penso. Mi guardo intorno e vedo un carrello che riposa a fianco di una grande statua dove un uomo, disteso con braccia e gambe a penzoloni, riposa fra le braccia di una donna con un velo che le ricopre i capelli. Chissà chi è. Prendo dal carrello alcuni libri che come mia sorella impilo uno sopra l'altro e finalmente raggiungo l'altezza giusta per guardare anch'io dentro la vetrina. Lo spettacolo è meraviglioso.
Non ho neanche il tempo di voltarmi verso Lisa con gli occhi lucidi, di rispondere al suo sorriso eccitato, di ascoltare i nostri cuori battere all'impazzata, che ci ritroviamo dentro un paese colorato, fatto interamente di qualcosa vagamente morbido, profumato. Plastilina. E più lo osservo più questo paese si fa piccolo davanti a me. Sento qualcosa fra le mani e la plastilina si modella fra le dita. Costruisco le casette, mattoncino per mattoncino, le finestrelle e le persone che vi guardano fuori, che posano torte profumate sui davanzali. E vedo Lisa correre per mano con una bimba dai capelli celesti, il vestito bianco e due grandi occhi blu. Una bimba di plastilina che quando salta si mischia con gli alberi, con le nuvole, con gli animali che le corrono in contro. C'è un cane con gli occhiali che cerca di insegnare la sua lingua a un gruppetto di gatti curiosi. C'è una grossa torta, con le fiammelle gialle dal cuore arancione, che cerca di essere mangiata da un orsetto paffuto, ma ogni volta il suo muso si mischia con la plastilina bianca della panna. Io rido da morire nell'inventare nuove creature, nuovi personaggi di quel paese bellissimo, e non mi accorgo che Lisa, con un balzo, è saltata sulla riva opposta di un azzurro rigagnolo. La imito e le corro dietro.
Senza confini davanti a noi c'è ora una grande radura, dove sbalorditi osserviamo un piede di dimensioni mastodontiche posarsi proprio davanti a noi. E su di esso i nostri sguardi scorrono da sinistra verso destra mentre uomini a cavallo, dalle teste grosse, deformate, si muovono in fila indiana tenendo alti quattro vessilli. I loro cappelli colano verso il basso come fossero fatti di cera calda, e scivolano lungo i vestiti fin sugli zoccoli degli animali. Sotto, un grosso pesce rosso decisamente fuori dal comune, spunta da un frutto con semi rossi, apre la bocca e ne esce una tigre che spalanca le fauci e si mette a correre verso l'orizzonte. Nonostante l'attenzione sia rivolta a quella scena insolita, mi sfugge lo sguardo verso un grande specchio. Batto leggermente le dita sulla spalla di Lisa e la invito a guardare anche lei. I nostri riflessi sono in mezzo a colonne e colonne di libri. Mia sorella sorride e ne apre alcuni. Ne escono grandi condottieri, damigelle impaurite che gridano aiuto dalle cima di alte torri, draghi sputa fuoco, poeti innamorati, menestrelli, ciurme di pirati e angeli dalle ali bianche. Insieme a lei corro lungo una grande scala, dove i fogli scorrono sotto i nostri piedi, leggeri e sottili. Tengono il nostro peso fino in cima, per poi scivolare lungo l'incurvatura della carta, fino al centro del libro, affondando nelle pagine, galleggiando fra le parole. Mi aggrappo a una di esse, mentre Lisa saltella da sillaba a sillaba. Cerco di capire il significato di "insignificante" o di "caparbietà", ma poi spalanco la bocca quando Lisa mi invita a raggiungerla sulla copertina. Afferro un cordino segnalibro e a poco a poco, arrampicandomi, la raggiungo. Insieme ci rituffiamo allegramente nelle pagine e questa volta diventiamo noi stessi le parole su quei fogli. A tratti sono una frase, altre volte un intero capitolo. Io leggo Lisa e lei legge me. Quando entrambi non capiamo quello che abbiamo appena letto oppure ne comprendiamo il significato sbagliato, bizzarro, scoppiamo a ridere e ci ributtiamo in mezzo a quel groviglio di lettere, puntini, virgole e parentesi.
Poi un terremoto. Tutto si scuote con forza. Ondate gigantesche d'acqua gelata ci invadono da ogni direzione. Io e Lisa, ora preoccupati, ci teniamo per mano mentre le onde si schiantano dappertutto. E quando finalmente si quieta, l'acqua si ritrae come il mare nella bassa marea e noi restiamo a guardare il cielo, fra sottili fiocchi di neve che scendono a tratti lentamente a tratti con forza. Si alzano in vortici, esplodono in burrascosi boati, ci avvolgono totalmente. Tutto è così bello da sembrare un sogno...
Dita allungate battono sulle nostre teste. Io e Lisa ci voltiamo in simultanea e guardiamo il viso di nostra zia che sorridente guarda la vetrina. Prende una delle palle in vetro, quella centrale, la più grande e stramba, dedicata a un certo Dalì. La capovolge, scuote un po, e quando la riappoggia sulla base la neve gira tutta intorno seguendo la forma del prezioso oggetto. A una a una la zia agita tutte le nevi sotto vetro e come una direttrice d'orchestra muove i polpastrelli sfiorandole. Mia sorella ed io ci guardiamo ancora una volta sorridenti più che mai, sicuri che questo posto resterà per sempre nei nostri cuori. Però una di quelle me la voglio portare a casa. Magari quella con il paese colorato... !
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