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La mia unità

Pressato da più parti a dover forzatamente scrivere qualcosa sull'unità d'Italia di cui l'anno prossimo ricorre il centocinquantenario, dopo strenua resistenza, per quieto vivere, ho dovuto capitolare. Sì, mi sono arreso ma a modo mio, ovverosia di scrivere sull'argomento tutto ciò che mi passa per la testa, che possa infine piacere o no agl'incauti committenti.
Così, prima d'iniziare a battere sui tasti mi sono documentato un po' sulla situazione peninsulare relativa al periodo tra la fine della joint venture napoleonica e le rocambolesche vicende che portarono alla unificazione italiana.
Ciò che risalta subito è la totale diversità che contraddistingue le contrade italiane da nord a sud della penisola. I comuni denominatori sono davvero pochi poiché cultura, sistemi amministrativi, usi, costumi, lingua parlata, più che unire dividono la popolazione del tempo, perciò gli unici elementi in comune sono la religione cattolica, la lingua ufficiale (ma non del tutto) e la miseria della popolazione, tradotta in lingua parlata: la fame.
Religione e miseria sono ovviamente estranei al processo che si scatena dopo Napoleone, periodo nel quale anche le scintille repubblicane covate in precedenza dalla brace della rivoluzione francese, sono del tutto sopite, perciò resta un solo elemento fondativo: la lingua.
Non c'è dubbio che l'intera penisola è un crogiuolo di etnie ognuna con un linguaggio parlato diverso l'uno dall'altro, i cosiddetti dialetti costituiscono la vera lingua italiana dove ad esempio un calabrese per intendersi con un bergamasco può riuscirci solo con la mimica, se aprono bocca avranno il sospetto che l'altro parli arabo.
La lingua ufficiale però è altra cosa. Dal latino in poi la lingua scritta si è evoluta fino a diventare quasi unica per tutti. Sebbene i maggiorenti del Paese, a partire da re e principi, parlino il loro dialetto tutto ciò che viene scritto è in italiano per i laici e in latino per i clericali.
Se prendiamo ad esempio i due re esistenti in quel periodo scopriamo come quello del sud Franceschiello parla in stretto napoletano e il suo antagonista del nord Vittorio Emanuele in stretto francese. Anzi, a ben vedere, anche molta documentazione ufficiale sabauda è scritta in francese, lingua ufficiale piemontese.
La lingua scritta, come dicevo sopra, viene insegnata nelle scuole, pressoché a esclusivo beneficio di chi possa permetterselo ma straordinariamente viene capita dalla popolazione, che sia del nord o del sud non fa differenza. Infatti se un letterato, non importa la sua provenienza, si reca lontano mille chilometri dal suo paese natio e interpella un indigeno in lingua italiana da costui sarà perfettamente capito sebbene poi la risposta, nel proprio dialetto, sarà incomprensibile.
Tanto per intenderci, un secolo dopo l'avvenuta unità ci sono stati dei programmi televisivi, rigorosamente in bianco e nero, condotti tra l'altro da Gregoretti e Mario Soldati, in cui viaggiando per l'Italia intervistavano contadini, braccianti, operai e casalinghe del posto, ebbene si potrà allora notare come tutti davanti alla telecamera non avevano alcuna difficoltà a comprendere le domande loro rivolte in italiano ma le risposte, per essere capite da tutti, venivano sottotitolate.

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13 commenti:

  • Anonimo il 23/08/2014 16:10
    Caro Michele ( non è il titolo del romanzo),
    il tuo excursus storico letterario fila bene fino ad un certo punto, poi sorge il problema della valigia di cartone e della Samsonite che forse sono ingombranti. Sono siciliano, mi viene spontaneo l'impulso campanilistico. Non ho mai avuto la valigia di cartone e ho girato il mondo. La mia terra la conosco come le mie tasche. Il boom economico dei '50/'60 è valso per l'Italia da Roma in sù, la Sicilia negli stessi anni viene sfregiata da gente del nord, alla ricerca del petrolio e del gas, inventando la falsa vocazione industriale in quei posti che erano paradisi del turismo trasformati in cimiteri... (Termini, Gela, Priolo, Augusta), dove gli operai facevano e continuano a fare la fame, mentre i dirigenti erano e sono strapagati e, guarda caso, sono tutti del nord.
  • Alessandro Bartoli il 20/12/2010 08:57
    Ciao Michele:
    sono Umbro, dalle nostre parti si giocava a nascondino (tingolo) e quando chi doveva trovare gli amici nascosti ne scovava uno correva alla "tana" (il luogo da cui partiva il gioco) e gridava: tana a... Michele! Quindi tana a Michele che ho scovato dal suo virtuale nascondiglio!
  • Salvatore Cipriano il 18/12/2010 22:33
    Bello il ripassino storico, W l'Italia, (forse non tanto), ma diciamolo per nazionalismo dai!
  • Michele Rotunno il 13/12/2010 22:39
    Mi gongolo nel meraviglioso ma "tana" me la devi proprio spiegare perchè nin ci arrivo.
    Ciao e grazie Alex
  • Alessandro Bartoli il 13/12/2010 21:15
    Non smetterò mai di sorprendermi del circolo vizioso che è questo sito... seguendo i commenti degli Amici, scopro sempre autori meravigliosi!
    tana a Michele!!
  • Michele Rotunno il 11/12/2010 11:48
    Felice e commosso me la sono salvata ed anche stampata.
    Una abbraccio riconoscente e di simpatia prorompente.
    (ho fatto anche la rima, io!. Mi sa che oggi riprende a nevicare)
    Ciao
  • Amorina Rojo il 11/12/2010 11:28
    Ecco fatto... tre minutini fedicati ad un bravo autore amico del mì amico Giacomo Colosio... se 'un ti piace te ne fò 'nantra... bacino...

    Certo che un racconto di tal fatta
    sull'unità di questa nostra italia
    non può che far pensare alla mì balia
    di questa tua version n'andrebbe matta.

    Ora si sa che l'omo l'è assai tosto
    dico di te Michele e poi Rotunno
    tu sei un'italiota... non un Unno
    le cose le sapresti mett'a posto.

    Per questo io ti voglio da'n bacino
    questa 'llè n'Unità con poha holla
    nel mare c'è n'è mezza che s'ammolla
    e 'n'antra che s'affoga nel buon vino.

    E qui da noi il vino l'è assai bono
    come questo racconto che ci dai
    quello che dice non lo scorderò mai
    e d'un bacino a te voglio far dono.
  • Amorina Rojo il 11/12/2010 11:25
    e potevo rifiutarmi di farlo... te la fò subito e la pubblico... come commento tu la vuoi?... bacino
  • Michele Rotunno il 11/12/2010 11:01
    Grazie Medina e anche a te Giac. per esserci passati.
    Nunzio, l'originale era ben più sarcastica, ma ho dovuto edulcolorarla per non venire alle mani cone le colleghe di mia moglie. ovvero le committenti. Tu pensa che la parte tagliata era pressappoco sgli italioti e le invasioni...
    Amorina, io che sono ostico alla poesia in generale e a quella rimata in particolare, non immagini cosa dare per un tuo commento in toscanaccio rimato. BACINO, (in anticipo)
  • Anonimo il 11/12/2010 10:26
    Michele, io dico che "cihai" ragione. L'unità d'Italia è stata in realtà una guerra di annessione, di uno Stato nei confronti dell'altro. Tutto il resto è pura retorica, così come i festeggiamenti attuali. Ma, sai com'è, per noi italioti: invasione più, invasione meno...
    Ottimo Michele. Ciao!
  • Amorina Rojo il 11/12/2010 10:21
    ebbravo Michele... c'è storia, ironia, un po' di tutto descritto con intelligenza e buona tecnica... bacino
  • Anonimo il 08/12/2010 07:28
    Grande lavoro... molta ironia ma anche molte verità... satira storica, la definirei... ciaociao
  • Anonimo il 08/12/2010 00:22
    Analisi davvero gustosa

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