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Te lo avevo detto che era una pipa
Spense la 37esima sigaretta del giorno nel posacenere, premendo e piegando la cicca come fosse un moscerino schifoso. Fanculo, disse. Sgranchì le gambe ferme da ormai 16 ore e inarcò la testa all'indietro distendendosi in tutta la sua lunghezza sul vecchio divano dei nonni, in soffitta. Appoggiò placidamente le mani sui due poggioli, tentando di dimostrare a se stesso una tranquillità che non c'era affatto. I suoi occhi osservarono il soffitto della casa in cerca di una qualche simmetria in cui perdersi. Non ne trovò. Però si distraette a vedere l'enorme quantità di ragnetele in giro. La casa dei ragni, tentò di sdrammatizzare.
Inorridì nel constatare la presenza di alcune sferette bianche in un angolo. Nidi. Cercò di immaginarsi dove potessero essere. In ognuno di quei cosi, almeno un centinaio di ragni. E di quei cosi ce n'erano molti. Cercò di non pensare ai ragni. Erano coinquilini, fine. Nulla di più. Ah, forse ogni tanto lo avrebbero morso. Niente di che, anche lui aveva morso il suo compagno di stanza al college.
Con un tonfo un libro cadde. Saranno i ragni. Vi prendo una mosca o due dal frigo ragazzi? Si sono davvero impazzito. Si alzò a raccogliere l'amasso di pagine ingiallite rilegate ancora per poco. Sulla pagina: Ceci n'est pas une pipe, Magritte. Quel cazzone ne sapeva. Però questa è proprio una cazzata. Tornò a buttarsi sul divano. La note del quadro diceva: La famosa tela del pittore belga è provocatoria: la pipa soggetto del quadro non è una pipa. Capirai, l'ha scritto lui. Grande critica del dipinto. Superba. E ancora: Quella è la rappresentazione di una pipia, ma non la pipa stessa in quanto, ovviamente, non la si può fumare. Chiuse il libro. Una nuvola di polvere lo fece tossire. Ad averla, quella tela. Basterebbe rollarla un po'. Poi l'accendi. E vedi che la fumi lo stesso, la pipa.
Finì per fumarsela davvero la pipa. La rappresentazione della rappresentazione di una pipa. La non pipa di una non pipa. Boh. Purtroppo era l'unico libro in quella soffitta.
Si svegliò ad un'ora sconosciuta. Si alzò grattandosi e stiracchiandosi. In giro era pieno di lattine, scatoloni, pagine strappate, e altro ancora. Ragazzi avete fame?, disse. Aprì il minifrigo trovato in discarica. La luce andava ad intermettenza. Ah, fanculo. Prese due mosche e andò a metterle proprio sulle due ragnatele maggiori, una nell'angolo, grande quanto un quadro, e l'altra che si estendeva dal centro del muro fino al soffito, grande quanto un maxischermo.
Aprì il pacchetto di sigarette: due. Scrollò la testa: Porca puttana. Risparmiava su tutto, acqua e cibo compreso, ma non poteva risparmiare sulle sigarette. Ne prese una e cominciò a fumarla, lasciando che la cenere cadesse come neve sul pavimento lercio.
Il momento peggiore arrivò quando si accorse di aver finito i risparmi e di essere rimasto solo con tre sigarette a mezzogiorno. Come avrebbe fatto per il resto della giornata? Merda, disse, devo uscire da questo sgabuzzino rialzato. In realtà non sapeva proprio come uscire da quella situazione.
L'aria fredda del mattino fu traumatica, ma benefica. Si sentiva diverso, migliore. Non voleva più vivere così, lì. Aveva bisogno di aiuto. Parenti non ne aveva, non vicini, o non vivi, o solo non disposti a dargli una mano. Alla fine cercò Rob. Ehi Rob scusa se ti ho morso quella volta! Bella Bobby, niente cicatrice niente rancore vero? Robert sono lieto che tu stia bene, sono mortificato per quell'incidente. Che poteva dire a Rob? Non lo vedeva da almeno sei mesi e lo aveva morso. Non poteva nemmeno buttarla sul tempo. Visto che bella giornata di sole Bob? Ma tu mi hai morso! No, doveva iniziare con un bel paio di scuse. In fondo gliele doveva. Ero fatto però, pensò. Del tutto. Totale. Completo. Chissà cosa credeva che fosse il suo braccio. Magari un panino. Gli erano sempre piaciuti i panini. E poi chi gliel'aveva data la roba? Lui. Quindi che non faccia tante storie.
Finì a bussare alla sua porta senza uno straccio di discorso pronto. Forse fu meglio così, ce l'aveva Rob il discorso. Lo insultò, lo maledisse, lo sbattè dentro la stanza e finalmente stette zitto.
Rob. Scusa eh.
Zitto.
Non è che mi potresti aiutare.
Zitto.
A parte tutto Robbie, cioè non voglio che pensi che voglia solo la coscienza pulita. Ero fatto ed era tutta roba tua, cioè non hai colpa tu però cazzo.
Zitto.
È che ho bisogno di aiuto.
Il giorno dopo si risvegliò che erano le cinque del pomeriggio. Si guardò in giro. Un tavolino senza una gamba in mezzo alla stanza con po' di carta straccia sopra. Era l'unico segno di civiltà in quel miasma di scarti e rifiuti. Faticò a tenere gli occhi aperti. Si sedette sulla sedia di fianco al tavolo e si mise a guardare i fogli. Il primo nome della lista era: Rudolf Cartman, Kirchoff Street, 18. Prese tutto il necessario e s'incamminò, non dopo aver salutato i suoi ragni.
Già a 100 m scorse l'uomo e aveva l'aria d'esser quello giusto. Gli si affiancò: Cartman?, chiese. Si, rispose l'altro. Tirò fuori un'oncia di fumo e gliela infilò in tasca. L'altro mise qualche banconata fra le sue mani.
Siamo a posto?, chiese Rudolf.
C'è anche ciò che gli devi?
Si.
Lui controllò. Battè una mano sulla spalla di Rudolf: Siamo a posto.
Guardò il tavolino in mezzo alla stanza. Decine di pacchetti di sigaretta ammucchiati lo occupavano. Decine di pacchetti caddero quando mutilò il tavolo. La gamba gli serviva. Aspettò il buio per uscire, gamba in spalla. Non ci mise molto a capire che non era possibile stordire qualcuno con la gamba di un tavolino, e rientrò. Non guardarmi così, stronzo. Ci metto un attimo a distruggere la tua tela. Si sdraiò sul suo solito divano. Ci ho anche perso il tavolino, disse. Stette in silenzio a pensare finchè non si addormentò. Scusami, ero stanco, disse quando si svegliò. E ho bisogno di fumare. Chissà se uno dei suoi otto cazzo di occhi mi guarda almeno. Tutto come prima dai. No ma non me la sono presa. Non te la romperei mai. È stato un errore l'altra volta. Al massimo ti do una mano a rifarla se succede di nuovo. A posto? Mi ci metto di impegno e imparo. Attaccò la bocca ad un angolo ancora libero di parete. Si allontnò lentamente per dare tempo alla saliva pastosa di attecchire e fissarsi. Sbavò un po' poi rinunciò. Se avessi una sigaretta, una sola. Mi riuscirebbe.
Si addormentò, seduto. Al suo risveglio un ragno aveva gettato le fondamenta per un bell'attico. No su di me non potete era stato chiaro. Ognuno ha i suoi spazi! E se voi vi prendete i miei. Si alzò. Io mi prendo i vostri. Avanzò verso la più grande ragnatela della stanza e la ruppe. I patti erano chiari, ora lo sono ancora di più. La strappò completamente, e si rimise sul suo divano. La sua ragnatela.
I ragni si erano rimessi al lavoro per costruirne un'altra. Piccoli opportunisti, ognuno cercava di accaparrarsi un pezzetto del nuovo terreno, ma almeno facevano qualcosa. La noia, stava tornando. Le sigarette lo aiutavano a superarla. Solo dopo una decina di minuti si accorse di aver rollato la tela del suo coinquilino. Gli venne da ridere. Un gesto automatico! Non c'è che dire, era un bel lavoro considerando il materiale. Tanto valeva rifinirla. Si aiutò con i nidi lasciati vuoti dagli ultimi arrivati. Finita. Guardò il suo lavoro: una sigaretta di ragnatela! Peccato non si fumi. Però potrei. Un'illuminazione. Chi era, c'era un'autore che lo descriveva. Il vedersi vivere. Ecco, lui si vide nella sua stanza. Con i ragni. Ragni. Ragni. Lui li aveva sempre odiati i ragni. Ragnatele, polvere, le macchie bagnate della sua saliva sui muri.
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