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L'uomo che doveva stare attento a come parlava
"Turn negative into positive"
E tutti vivranno felici e contenti.
Nei primi due mesi giocava in silenzio con i suoni. Li ascoltava.
Li accompagnava con lo sguardo pieno di meraviglia. Tentava di afferrarli. E loro vagavano inconsapevoli nell'aria. Come polline. Batuffoli primaverili portati dal vento.
Verso i quattro mesi era tutto un rincorrersi scomposto di:
ma... ma... da... da... ha... ha... ja... ja... ga... ga... va... va...
Verso gli otto un susseguirsi di:
bumba... bumba... nghè... nghé...
Suoni che cominciavano ad articolarsi. A prender forma. Anche se spesso perfino i decifratori della Stele di Rosetta si sarebbero trovati in difficoltà.
Gianluca attraversò quel periodo, che gli specialisti chiamano lallazione, come Beep Beep semina Willy il Coyote. Mentre, nel frattempo, mamma, papà, nonni, parenti tutti, conoscenti e amici si esibivano, come tanti minorati, in mille ghiro... ghiro... cette... cettete... amme amme... brum brum... fiu fiu - e altre amenità del genere. Rinforzate, a prova di cretino, da quella mimica che non deponeva certo a favore dell'homo sapiens-sapiens. Ma sembrava piuttosto appartenere al rustico repertorio dell'homo demens-demens. E lui li guardava con un misto di commiserazione e orrore. Con quegli occhioni sbarrati. Che passavano, con una rapidità missilistica, da sognoosondesto a mammaliturchi. Talvolta si metteva a strillare come un ossesso e tirava cazzotti a destra e a sinistra. Tanto che il nonno, colpito da un uppercut, venne ricoverato per commozione cerebrale e prognosi molto riservata.
Tutti, in famiglia, avrebbero voluto che questo periodo durasse il più a lungo possibile. Per egoismo. Puro divertimento. Per godersi il pupo fino in fondo. Per renderlo, senza malanimo, un infelice per tutta la vita. Per recitare, almeno fino alla soglia della maggiore età, in questo teatrino dei tonti ma felici.
-... Sono così carini a questa età... peccato che poi diventino grandi... allora si trasformano... diventano dei sandroni - dicevano tutti. Per fortuna lo spettacolo finì presto.
Gianluca non gli diede molta soddisfazione. La sua fu una lallazione interrupta. Non si sa se per predisposizione genetica, o volontaria fuga da quella insostenibile e imbarazzante situazione.
Esordì nel mondo dei grandi senza molta fantasia: -Cacca- urlò. Ne fece così tanta che avrebbe potuto seppellire insieme l'orso Yogi, Bubu, e la Fiat Marea del babbo.
- Non si fa - gli disse la nonna con affetto. Tutta compiaciuta, chissà perché, di quell'improvviso bendidio - Non sta bene fare tanta caccona.!-
E Gianluca rispose: - Ci, caccona!- scodellandone un'altra zuppiera. Tanto che la mamma si spaventò, e mentre controllava che non avesse ingoiato tutta la scatola del Rim, disse a bassa voce, - speriamo adesso non ci faccia anche pipì!..- Gianluca, che oltre ad una particolare predisposizione a fare le cose in grande, aveva anche un udito assai fine, colse la palla al balzo e urlò tutto intrippato:- Pipì, pipì!- E pipì fu. Tralascio i dettagli.
Procedeva veloce nell'acquisire familiarità con le parole. La sua pronuncia era perfetta. Tanto che il nonno, tornato dall'ospedale, diceva: - diventerà uno speaker della televisione... o un grande doppiatore! -
- Perché non un attore?- interveniva zia Adele, una zitella di lungo corso, da anni in naftalina - mica ci starebbe male un Marlon Brando in famiglia.-
In questa atmosfera di grandi sogni e sconfinate speranze, l'unico, ad essere un po' cupo e pensieroso, quando si parlava della facilità di apprendimento di Gianluca, era papà Alfredo.
Così come Gianluca concepiva le cose in grande, lui possedeva un acuto e insolito spirito di osservazione. Aveva notato più volte che molte parole pronunciate da Gianluca avevano un seguito. Una conseguenza. Positiva o negativa, secondo la parola. Non sembrava preveggenza. Semplicemente: la pura enunciazione sembrava provocare accadimenti, in stretta relazione con la parola. Almeno otto volte su dieci. Forse dipendeva dal coincidere di una serie di circostanze. Dall'umore. Dal tempo. Chissà.
Si ricordava con terrore il giorno in cui aveva detto - Balcone no... no balcone - indicando il balconcino del soggiorno.. E il balcone dopo un po' era crollato. Probabilmente se avesse detto - Balcone si - adesso avrebbero potuto continuare a uscire e godere della bella vista sul parco. Ciò che distingueva Gianluca da un Giona qualsiasi era che, se pronunciava una parola in senso positivo, si verificava, otto volte su dieci, per par condicio, un fatto positivo.
Altra cosa che papà Alfredo aveva notato era che il raggio d'azione di questa mina vagante era ravvicinato. Non produceva effetti a distanza. Solo a vista. Nella sfiga erano davvero fortunati.
Gianluca cresceva. Gli eventi si succedevano alternando momenti di letizia a momenti di panico. Ormai tutti in famiglia sapevano. Erano consapevoli di questa dote innaturale. Per fortuna si era cercato di contenere i danni. La collezione di statuine di Capodimonte era stata portata in solaio. I nonni, in presenza del bambino, nascondevano la dentiera. Il televisore era stato messo nel ripostiglio e lo guardavano a turno. Raccontandosi, quando uscivano, l'antefatto. Così che ogni programma diventava un sequel. Il lampadario in sala era stato smontato, imballato e portato in soffitta. Insomma sembrava un appartamento visitato in continuazione dall'ufficiale giudiziario. Inutile dire che, ormai lo avrete capito, era una vita difficile.
Per fortuna, dopo il balcone, con tutte queste cautele, riuscirono ad evitare danni rilevanti. Solo Ninetta, la colf, riportò gravi conseguenze. Un giorno che stava confessando a mamma Giulia di essere incinta e che voleva abortire, Gianluca mise dentro la testa: - Che bello... bambini. Tanti bambini! - esclamò. E Ninetta ebbe un parto quadrigemino. Tanto che dovette licenziarsi per badare alla prole.
Ma a tutto si fa il callo e Gianluca era un bambino davvero fortunato. Lo amavano tutti senza se e senza ma. Forse lo amavano di più. Proprio perché c'era questo piccolo problema.
Le sue uscite erano centellinate. Era più facile fosse portato a spasso di notte, dopo avergli fatto indossare degli occhiali da sole. Chi era con lui non smetteva mai di parlargli, cercando di trovare argomenti innocui che gli facessero volgere lo sguardo verso zone neutre. E, in ogni caso i discorsi erano tali da ispirargli solo parole positive. Ma anche qui bisognava stare attenti. Il confine era molto sottile.
Un pomeriggio che Alfredo lo aveva portato ai baracconi, Gianluca, adocchiato l'uomo dei palloncini, lo aveva guardato con estatica meraviglia esclamando: - vola, vola! - E l'uomo lentamente aveva cominciato ad alzarsi da terra. Per fortuna Alfredo, uomo di grande presenza di spirito, si era tuffato e lo aveva placcato. Al volo.
A quattro anni non fu mandato all'asilo. Suore volonterose e pie venivano a fargli lezione a casa. Si faceva voler bene da tutti Gianluca. Era allegro, esuberante, e di buon carattere. Un bambino d'oro.
Ma a scuola dovette andare. I suoi non potevano permettersi lezioni private fino alla fine degli studi. Università compresa.
Per questo avevano cercato di disinnescarlo con una lenta, assidua preparazione. Era tutto un:
- Gianluca stai attento alle parole -
- Gianluca dì sempre parole positive -
- Gianluca misura le parole -
- Gianluca pensa prima di aprir bocca-
- Gianluca cerca di volgere tutto in positivo-
"Gianluca stai attento a come parli" era la frase che lo avrebbe accompagnato negli anni a venire.
E Gianluca, da buon figliolo obbediente, seguiva alla lettera ogni indicazione. Ma era pur sempre un bambino. E ogni tanto qualcosa sfuggiva al suo controllo.
Gianluca era un bambino buono e generoso. E quando vedeva un compagno che si faceva male, ci metteva una buona parola. E la ferita si rimarginava.
Alfredo e mamma Giulia erano preoccupati. Non volevano che loro figlio diventasse uno di quei guaritori che si guadagnano la vita facendo miracoli. Preferivano per lui un sobrio anonimato. Cosa comunque difficile, vista la situazione. E allora un giorno andarono nella sua stanzetta e gli dissero con tono amorevole:
- Vedi, Gianluca, se il Signore avesse voluto che nessuno si facesse male, ci avrebbe pensato lui... e invece ha messo le cose in modo che incidenti e malattie siano fatti normali, facciano parte della nostra vita. Sappiamo che sei un bambino generoso, ma devi cercare di seguire le regole del mondo. Così come non devi pronunciare parole negative, dovresti cercare di non metterti in mezzo e rispettare la volontà di Dio-
Gianluca aveva capito e, anche se un po' a malincuore, si adeguò. Sentiva che i suoi genitori agivano per il suo bene. Si fidava ciecamente.
Non ebbe grossi problemi fino alle medie. Riusciva a evitare conseguenze in tutte le materie. Tranne storia. La storia era un vero calvario. Come si faceva con tutte quelle guerre, con tutti quei morti ammazzati a evitare di pronunciare certe parole. Era un vero e proprio terreno minato, dove le mine erano più del terreno. Sudava freddo ogni volta che era interrogato. E ci dava di slalom, di circonlocuzioni, di metafore, di sottintesi, di aumma- aumma, di gesti a non finire. Un mimo gli avrebbe fatto un pippa.
La tragedia fu sfiorata in seconda media. Quando l'insegnante, un po' distratta, gli chiese se si ricordava la famosa frase di Giuseppe Garibaldi. Tutta la classe ebbe un sussulto, la profe impallidì, mordendosi labbra e mani. Fra i compagni chi si fece il segno della croce, chi cominciò a pregare, chi fece testamento, chi schizzò dietro la lavagna, chi si chiuse negli armadietti, chi riusci a trovare la via di fuga dalla finestra. Gianluca prima rimase sorpreso, poi pensò che non si poteva tirare indietro e, dopo un bel respiro, con grande sprezzo del pericolo cominciò: - Allora Garibaldi disse...,.. disse... con voce ferma... decisa... eeee (cercava di prendere tempo per consentire ai compagni di trovare una via di scampo)... disse : qui si fa... l'Italia... o... o... - la profe intanto finita sotto la scrivania stava tremando - si fa l'Italia o... o... sono cazzi!!! - Concluse tutto soddisfatto. La soluzione non era propriamente da Monsignor della Casa, ma in ogni caso brillante. Tutti tirarono un sospiro di sollievo e gli offrirono pasticcini e bibite per una settimana intera.
Arrivò, senza grandi problemi all'età dello sviluppo. Gli ormoni cominciarono il loro sturm und drang. E con loro arrivò il desiderio. Cominciò a guardare l'altro sesso con un trasporto diverso. A vedere la cosa sotto un'altra luce. Soprattutto cominciò a capire il senso della frase chiedete e vi sarà dato. Eccome se lo capì. Gli bastava pronunciare alcune parole e non c'era ragazza che potesse resistergli.
Per non rendere la sua vita una prigione, papà Alfredo stavolta fu meno drastico. Gli disse semplicemente di non esagerare. Di pronunciarsi non solo quando l'ormone chiamava, ma quando sentiva un po' di trasporto, quando c'era anche un po' di sentimento. Perché, se no, era sleale. Visti i suoi poteri. E l'onestà prima di tutto. E poi dove lo metteva il piacere della conquista? Gianluca avrebbe saputo dove. Ma era educato e così, un tantino recalcitrante, mandò giù anche questo. Seppur con moderazione. Perché lui di sentimento ne aveva tanto.
Inutile dire che la prima giovinezza fu il periodo più bello. Finito il liceo, entrò all'Università.
Anche questi furono anni di grandi soddisfazioni. Nell'ateneo c'erano tante ragazze da perderci la testa: Gaudium SuperMagnum! Laureatosi con il massimo dei voti, pensò sarebbe stato opportuno, per la sua salute, prendersi una vacanza, un lungo periodo di riposo. Rispose con prontezza alla chiamata alle armi. La sua fama però lo aveva preceduto. Alla visita di leva, ci fu un lungo, lunghissimo consulto. Non riuscivano a trovare un motivo valido per riformarlo. E così, per ridurre il rischio, decisero di metterlo in fureria. Lui aveva chiesto Perdas de Fogu, alla base missilistica. Lo mandarono sul Carso. Tra falesie rocciose, muschi e bianchi bucaneve. In una base sperduta, dove erano cinque in tutto. Lui, un sardo, due bergamaschi e un altoatesino. Tutta gente coriacea. Temprata come l'acciaio. Che avrebbe riportato meno danni, se mai gli fosse sfuggita qualche parola inopportuna.
Non si verificarono incidenti di particolare rilievo. Gianluca era ormai un esperto nell'arte del pensiero positivo, dell'eloquio misurato. Un vero funambolo del metalinguaggio. Solo una volta, mentre erano tutti in fila su di uno stretto sentiero e procedevano lentamente, carichi come somari, inciampò e si lasciò sfuggire fra le tante cose:
- brutta roccia di merda! Tu possa... -
Dal crinale si staccarono enormi massi calcarei. La terra cominciò a tremare. E tutti, armi e bagagli rotolarono giù per il pendio insieme alle rocce. Il sardo si piantò dritto dritto in una grossa boascia carsica. I due bergamaschi finirono ambedue abbracciati a un albero. L'altoatesino volò disteso sopra la mucca autrice della boascia di cui sopra. E lui, dopo aver raccolto fiori col sedere per più di cinquecento metri, si arrotolò attorno ad una staccionata. Ma cosa volete che sia di fronte all'eruzione del Vesuvio, al terremoto di Messina, al diluvio Universale.
Tornato alla vita civile, dopo mesi di astinenza, rispolverò in tutta fretta quella frase biblica che tante soddisfazioni gli aveva dato. E riguadagnò il tempo perduto. Un bel giorno, come succede a tutti i comuni mortali, incontrò una ragazza che gli mise le briglie al collo. Gianluca mise la testa a posto.
Dopo aver fatto per qualche mese l'interprete a Bruxelles, finalmente trovò un impiego di tutto rispetto. Conforme con la sua specializzazione in fisica delle particelle e campi magnetici. Fu assunto presso il CERN di Ginevra. Come controllore di quella parte del tunnel dell'acceleratore dove avrebbe dovuto materializzarsi la particella di Dio. Ormai era un uomo affidabile. La sua soglia di vigilanza altissima. Supercollaudata.
Un giorno, a Milano, mentre stava facendo retromarcia, toccò leggermente col paraurti posteriore l'auto alle sue spalle. Immediatamente scese e si trovò di fronte un energumeno che, tutto paonazzo, si stava gonfiando prima di esplodergli in faccia tutta la sua rabbia. Gianluca, per evitargli un colpo apoplettico, cercò di precedere il suo imminente sfogo verbale:
- Mi scusi, non era mia intenzione rendere la sua auto meno bella... d'altronde, guardi, non mi pare ci sia nulla... In ogni caso sono assicurato...-
Apriti cielo: nel suo parlare un po' strano all'uomo parve percepire, tra le righe, una sorta di sfottò. Fu la goccia che diede la stura al suo sfogo. Cominciò ad investirlo con una sfilza di male parole, che durò per quasi dieci minuti. Sembrava un fiume in piena che avesse sfondato tutti gli argini. E concluse con il solito repertorio dell'italiota cretinetti: - lei non sa chi sono io. Badi bene a come parla!-
A quest'ultima frase, che aveva accompagnato Gianluca per più di un quarto di secolo come un precetto, un motto, una massima, istintivamente, senza pensarci su due volte, raccogliendo tutte le sue forze, con freddezza inglese, gli sferrò un pugno sul naso. Sarebbe bastato che avesse pensato a suo padre, che avesse contato fino a dieci, tirato fuori una di quelle circonlocuzioni in cui era maestro. Tipo:
-la vuole cortesemente smettere... se lo vada a prendere là dove non ba...-
E sarebbe finita lì. Invece no. Per la prima volta nella sua vita perse la pazienza. Probabilmente era arrivato il momento della sua guarigione. Forse Dio aveva pensato avesse già dato abbastanza.
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1 recensioni:
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- Scorrevole e divertente questo racconto che percorre la maggiorparte delle reali funzioni linguistiche individuate da Roman Jakobson per poi superarle con la fantasia
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