Dal mio ufficio vedo rossi palazzi, tinte salmone e mattone strisciate di bianco e di vetri lucenti. Mi torna in mente che devo lavare i vetri della mia finestra. Ma so che me ne dimenticherò prima di tornare a casa.
Accanto a me una scala anti-incendio. Di fronte una via trafficata da formiche-automobili di variopinti colori, guidate da stanchi conducenti in doppiopetto grigio.
Ai margini della strada i campi. Gialli di grano appena raccolto e cilindri di fieno sbiadito. Verdi di erba tagliata da poco e cespugli di rovi spinosi.
Un autobus arancione si erge solitario. Avanza con passo lento, maestoso, un po' vacillante. Il conducente è stordito dal suo spliff mattutino, pensieroso per l'ultimo litigio con la sua donna, dolorante per quello zoccolo di legno, con rinforzi in ferro bruciato, che ha centrato il suo occhio destro. Era primo mattino. I suoi riflessi appannati, i movimenti lenti. Così ha raccontato ai suoi amici al bar della stazione, tra un caffè e una sigaretta che aspirava lento.
Una scusa. I suoi amici lo sanno. Dieci anni fa avrebbe scansato il proiettile a occhi chiusi. Oggi è troppo vecchio.
E lei? Lei è invecchiata nella bellezza delle sue forme, non nella forza dei suoi lanci, nella precisione della sua mira, nella velocità con cui si chiude nel bagno, sfuggendo alla sua ira e alla sua vendetta.